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Illustrazione di Juta tratta da Vice.com. Ogni decennio ha avuto le sue piaghe: passando dai basettoni degli anni ’70 alle spalline quadrate negli anni ’80, e finendo ai cinepanettoni degli anni ’90. E ai giorni nostri? La vera piaga è il rosicone. Può essere uomo o donna, ragazzo o ragazza. Infante, almeno a livello intellettivo. Tutti ne conosciamo almeno uno. E’ il collega di lavoro che si crede progressista e invece è un retrograde degno dell’epoca vittoriana, è l’amica che spende fior di quattrini per informarsi sulle riviste patinate che le insegnano come pettinarsi ma anche come pensarla su finocchi e altri ortaggi, ché la cucina oggi giorno è fin troppo varia. Il rosicone o la rosicona rigirano le frittate meglio di Antonino Cannavacciuolo, hanno argomenti sempre pronti, basta togliere la pellicola e attendere quei cinque minuti che faranno del malcapitato interlocutore un essere stremato. Crede di essere di sinistra, ma di sinistro ha solo l’atteggiamento. Incoerente, intollerante, ai limiti del paranoico. I rosiconi sono i nuovi derelitti sociali. Il Saccente ha pensato di sedare i loro succhi gastrici in ebollizione con un vademecum diviso per categorie. Un elenco ragionato, da utilizzare quando la vita pratica diventa (per loro e per i “sani” dall’altro lato della barricata) difficoltosa.

1. Rapportarsi con la politica. Liquidiamo il tasto più dolente subito: milioni di persone hanno accettato con favore la nascita di un nuovo governo confidando in un cambiamento ma tu, il tuo gatto e tuo nonno Oreste non siete d’accordo. Anche se la gente dotata di sinapsi integre ti percepisce come un molestatore non troppo intelligente, tu ti senti un disobbediente, uno con la testa sulle spalle. Il consiglio migliore è quello di dedicarsi al corpo anziché alla mente. Per la seconda è troppo tardi, per il primo, compresse al bicarbonato o rimedi omeopatici sono validi alleati. Attenzione però: non sono panacee. Così come non lo sono i raduni con altri nerd globalisti che, anzi, potrebbero peggiorare un quadro clinico già precario.

2. Fare pace con le proprie origini. Sei italiano o italiana, ma i costosi master pagati da mammina e da papino (magari evasori totali) ti hanno insegnato che “italiano è brutto, tutto il resto è bello”. Così i ravioli cinesi sono meglio della pizza, il deserto del Sahara è più accogliente di piazza San Marco e l’arabo è più musicale della Lingua di Dante. L’isterismo di Marina Abramovic, meglio del Giudizio Universale di Michelangelo. Ma i paraocchi, mio caro o mia cara, servono ai cavalli. A te bastano gli occhiali, da soli o da vista che siano. Quando ti limiterai alle lenti e metterai da parte i visori in cui riproduci una realtà solo tua – un po’ patetica, per giunta – capirai che il tuo è un Paese bellissimo. Con tanto da offrire, e che già ha dato più di tutti in termini di cervelli, creatività, storia. Non serve essere un genio per capire che, proprio per questo, c’è volontà di cancellarlo da parte di chi al massimo sarà ricordato per le persecuzioni di massa e per aver inventato utilitarie piuttosto scadenti.

3. Capire le dinamiche vere della vita sociale. Ti hanno detto che due papi e un bimbo comprato al mercato come si fa con le mele fanno una famiglia. Poi che l’omogenitore, uno o due che sia, è meglio del genitore. Esci con una ragazza in quanto maschio ma a volte vieni definito “datato”, “palloso”. Così hai deciso di “sperimentare”. Sai per certo, tuttavia, che non è affondando in un corpo accogliente come il materasso dei francescani che troverai la felicità. Nemmeno fingendosi per quello che non sei solo per sentirti più “in”. Ti svelo un segreto: comportarti da gay mentre la natura di chiama a essere padre o madre o a riprodurti come si fa dalla notte dei tempi non ti darà nessun valore aggiunto. Certo: sarai alternativo e meno male, almeno se la vediamo nell’ottica della conservazione della specie umana. Fossero tutti come te, infatti, ci estingueremmo in dieci anni.

3. Pensare prima di pontificare. Veloce sei veloce. Un lampo. Tuo zio ha votato Salvini? Lo ha fatto perché è razzista. Il tuo amico si è sposato con una donna anziché farsi maritare da Nichy Vendola in un qualche comune gay-friendly o invece di optare per una prostituta africana giù a Riace? E’ omofobo, questo spiega la sua insana passione per le femmine caucasiche. L’insegnante di tua figlia ha esternato delle perplessità sul fatto di escludere dalle lezioni chi non presenta il certificato delle avvenute vaccinazioni? E’ una terrorista incosciente, va licenziata dopo e malmenata prima, le venisse un accidente a lei e a tutta la sua stirpe. Un vecchio adagio dice che a sputare in aria ci si bagna, prima o poi, la faccia. Non è bello. Ti capiterà se continui così quindi (ultima dritta) smetti: tanto il mondo continua a girare come deve. Che tu lo voglia o no, che tu ti agiti nel verso opposto o no. Succede perché, come dicevano gli antichi greci, è la maggioranza che decide. E perché un popolo risvegliato e consapevole, a differenza tua, non si lascia ingannare dai messaggi da cui è bombardato, ma agisce per riprendersi il proprio destino e cambiarlo.

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Massimo Russo

satirico ma c’è tanta verità. Non c’entra più la differenza destra e sinistra, o almeno io non mi ci ritrovo. Si parla di benessere dell’Italia, chi non lo capisce è limitato, punto.

OPINIONI

“I poveri mangiano meglio dei ricchi”. Sia data a Lollobrigida la possibilità di provare i benefici dell’indigenza

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"I poveri mangiano meglio dei ricchi". Sia data a Lollobrigida la possibilità di provare i benefici dell'indigenza | Rec News

“In Italia abbiamo un’educazione alimentare interclassista: spesso i poveri mangiano meglio, perché comprano dal produttore e a basso costo prodotti di qualità”. Lollobrigida lo ha detto davvero e, del resto, eravamo già a conoscenza delle qualità del ministro-cognato. E’ davvero una fortuna, non c’è che dire, fare parte della singolare èlite a cui si riferisce il ministro delle Politiche agricole, che è stata fotografata dall’Istat in maniera impietosa.

In Italia quindi a sentire il nipote della compianta Gina Lollobrigida esistono milioni di privilegiati che possono comprare le carote direttamente dai contadini, e che – contemporaneamente – hanno la fortuna di mandare i figli a scuola senza colazione, perché non possono permettersela. Che non hanno un lavoro, fanno fatica ad arrivare alla fine del mese e, ormai, devono scegliere tra il pagare la benzina e le bollette e tra il mettere il piatto in tavola.

Per questo c’è da dire grazie anche al governo di cui fa parte il ministro Lollobrigida che, al pari di quelli che li hanno preceduti, non ha la volontà o le competenze per portare l’Italia al di fuori del limbo economico a cui l’ha condannata l’Unione europea. Ma vuoi mettere, in ogni caso e pur nelle ristrettezze, il vantaggi di avere il contadino sempre lì, quasi onnipresente, che ti spaccia il poco che puoi permetterti a prezzi contenuti con un’attenzione particolare ai nutrienti presenti nella dieta mediterranea?

Sono lussi che Lollobrigida – adottato dalla politica fin da ragazzo – dovrebbe provare almeno una volta nella vita. Come accade in alcuni film, dovrebbe scambiare un mese della sua esistenza con qualcuno preso a caso dal Paese reale. Lasciargli il posto di frequentatore di ristoranti gestiti da chef stellati e catapultarsi all’interno di una famiglia come tante, a mangiare i piatti poveri della cucina italiana per l’occasione elogiati da Vissani. Che saranno gustosi e nutrienti e piacevoli da mangiare, ma quando si è liberi di farlo. Quando, cioè, non rappresentano l’unica possibilità.

Chissà che non ci si possa giovare dello scambio di identità e non si possa avere un ministro dell’Agricoltura – anche se per un periodo limitato – che sa di cosa parla e che si occupi dei veri problemi che il suo dicastero dovrebbe risolvere.

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OPINIONI

Che orrore parlare di maternità “solidale” e “commerciale”

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Che orrore parlare di maternità "solidale" e "commerciale" | Rec News dir. Zaira Bartucca

La si chiami GPA – gravidanza o gestazione per altri – maternità surrogata o utero in affitto, il risultato non cambia. Si tratta di una pratica grazie al Cielo illegale in Italia, che in altri Paesi – purtroppo – si continua a praticare. Portando con sé il suo strascico di sofferenze: quelle di una donna trattata come un’oggetto o come incubatrice, indigente e costretta dalle vicissitudini della vita a dare alla luce un figlio o una figlia che non potrà crescere e da cui dovrà separarsi.

Oppure le sofferenze riconducibili all’applicazione di questa pratica barbara, che spesso avviene in cliniche degli orrori di cui ci siamo già occupati. Ancora, le sofferenze a cui incorrono i nati da GPA, impossibilitati come sono a sapere chi sia la loro vera madre e, dunque, condannati ad avere un’identità a metà.

Un quadro ancor più desolante se si pensa che tutto ciò avviene in tempi in cui della condizione della donna si fa una bandiera, per poi tralasciare deliberatamente episodi di sfruttamento come questi. Non solo. C’è chi addirittura ci tiene a operare i doverosi distinguo, parlando di GPA “solidale” e “commerciale”. L’articolano in questi termini ormai tutti i media mainstream, le associazioni e anche alcuni partiti, facendo un po’ il verso alla legislazione britannica che da tempo permette la surroga “altruistica”, con tanto di “rimborsi” e compensi ammessi.

Questo per rispondere al tentativo – promosso da Fratelli d’Italia – di rendere l’utero in affitto reato universale. E’ di ieri la notizia del primo via libera della Camera alla proposta di legge della deputata Carolina Varchi. A guardarla di fretta ce ne sarebbe abbastanza per esultare. Ma prima di farlo bisognerebbe domandarsi cosa rimarrà, alla fine di tutto l’iter, di questa proposta di legge.

Ci si deve anzitutto augurare che non sia l’ennesimo cavallo di Troia per trasformare quello che oggi è un reato in una pratica da sfaldare, un domani, con una modifica dopo l’altra alla legge che sarà, oppure con la solita serie di sentenze strumentali che spesso si antepongono alle stesse leggi.

E’ forse in questo contesto che va inserito un dibattito preparatorio e una propaganda che cerca costantemente di avvicinare e rendere familiari determinati argomenti. Senza, si badi bene, mai demolirli, criticarli e chiamarli con i giusti termini, che sono quelli che non ammettono sfumature di sorta.

In questo intreccio sembrano muoversi, con gli stessi identici fini, sia i cerchiobottisti che quelli che danno platealmente all’utero in affitto una connotazione solidale e, dunque, in fin dei conti accettabile e positiva.

La GPA rimane comunque commerciale anche quando è altruistica (perché comunque prevede un pagamento e, letteralmente, la vendita del malcapitato bambino) ma per convenienza viene chiamata in un altro modo, così da darle un valore etico e morale che venga accettato dai più distratti. Che, spesso, non sanno nemmeno cosa si celi dietro determinati acronimi o dietro gli slogan della politica.

Se fa orrore l’idea di arrivare a commercializzare anche la Vita che nasce? Ovviamente sì, o, almeno, alle persone normali o per intenderci umane dovrebbe farne. Eppure l’opera di sdoganamento continua imperterrita senza che nessuno batta ciglio, anzi a utilizzare questi termini spesso sono proprio quelli che dicono di battersi contro l’utero in affitto.

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OPINIONI

È morto Berlusconi, ma non il berlusconismo

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È morto Berlusconi, non il berlusconismo | Rec News dir. Zaira Bartucca
Immagine EPA/JACEK TURCZYK POLAND OUT

Berlusconi non lascia solo un impero finanziario e un partito in cerca di leader. Se il lascito morale è stato quasi nullo, tanto è stato quello pratico. All’ex fondatore di Forza Italia devono praticamente tutto uno stuolo di politici rampanti strategicamente posizionati (che già sgomitavano dalla fondazione del Popolo delle Libertà e oggi si trovano a essere ministri e sottosegretari) e volti noti del giornalismo mainstream.

Se, dunque, è morto Berlusconi, lo stesso non si può dire del berlusconismo. Una sorta di movimento parallelo – sia esso sincero o fieramente utilitaristico – in cui militano decine di attivisti, che oggi comunque potrebbe avere vita più difficile. Lo raccontano le ultime considerazioni del senatore Gianfranco Micciché, che già dà il partito per estinto, ma anche le tensioni che si rincorrono per le varie successioni.

Una delle foto di rito del IV governo Berlusconi. A sin. l’attuale premier Giorgia Meloni (allora ministro alla Gioventù), al centro l’attuale governatore del Veneto Luca Zaia e poco distante l’attuale ministro per gli Affari europei Raffaele Fitto. A sinistra, l’attuale presidente del Senato Ignazio La Russa

Piaccia o meno la sua figura, Berlusconi – uomo controverso che ha incarnato lo spirito italiano con i suoi pregi e difetti – ha rappresentato un pezzo di storia nazionale e internazionale. Uomo visionario e di sistema, il suo approccio ha avuto impatto sul mondo produttivo, sul mondo dell’informazione e sul costume. A conti fatti, sulla società stessa, (purtroppo) riscritta e riprogrammata dai codici della tv commerciale. E’ questo, forse, il lascito più pesante.

Se c’è, infatti, una cosa che dovrebbe estinguersi del berlusconismo, è l’idea malsana che tutto l’illecito può diventare lecito dopo il giusto trattamento, nonché quel fardello che continua a gravare sull’autonomia di certi giornalisti e comunicatori che non sanno o non vogliono scrollarsi di dosso quel piglio di referenza verso il padrone che li ha portati a occupare i posti che occupano, tralasciando questioni di capitale importanza come la libertà di stampa e i diritti di critica e di cronaca.

Non è, certo, questo, il tempo della critica o peggio dell’odio fine a sé stesso che sta eviscerando chi non riesce ad avere rispetto nemmeno davanti alla morte. Ma dovrà di certo venire il tempo dei bilanci, e se è vero che Berlusconi ha avuto impatto sulla storia dei partiti e dell’Italia – un Paese che ha tentato di plasmare e ridurre a sua immagine e somiglianza – lo è altrettanto che chi si interfaccia con il centrodestra merita di più di un esercito di Yes man che in queste ore ricordano i personaggi in cerca di autore di pirandelliana memoria.

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OPINIONI

Alluvione in Emilia, l’ipocrita circo mediatico per nascondere la verità

E’ un bilancio da guerra quello dell’ultima alluvione in Emilia Romagna. Un copione destinato a ripetersi ancora e ancora, una volta in questo pezzo d’Italia e una volta in quell’altro

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Alluvione in Emilia, l'ipocrita circo mediatico per nascondere la verità | Rec News dir. Zaira Bartucca

Quattordici morti e 36mila sfollati. Abitazioni, strutture, aziende, fabbriche e campi da coltivazione distrutti, con il fango che inghiotte tutto e porta con sé devastazione e precarietà. E’ un bilancio da guerra quello dell’ultima alluvione in Emilia Romagna. Un copione destinato a ripetersi ancora e ancora, una volta in questo pezzo d’Italia e una volta in quell’altro, perché i miliardi stanziati dai vari governi per mitigare gli effetti del dissesto idrogeologico – sia esso frutto di comportamenti umani irrispettosi o di eventi naturali – non vengono mai impiegati dove servono.

Costruzione di dighe di contenimento, pulizia degli argini di fiumi e torrenti, prevenzione dell’abusivismo e suoi rimedi: nonostante le iniezioni continue di denaro (tanto), è ormai abitudine consolidata trascurare tutto, perché tanto poi a danni fatti si mette in moto la solita macchina dell’emergenza. Dopo l’acqua iniziano a piovere i miliardi, inizia il “magna magna” di chi controlla il business della solidarietà e si fa a gara a chi è più bravo a dire la frase a effetto per sostenere le popolazioni colpite, a chi fa la donazione più cospicua o a chi si intesta il gesto più eclatante.

Tutto doveroso, sia chiaro, ma non saranno certo 900 euro a testa o la premier in stivali a riportare in vita quattordici persone, oppure a restituire ai romagnoli le attività andate distrutte, forse per sempre. Senza contare che il circo mediatico che si è attivato fin da subito è tuttora teso a nascondere quello che conta davvero: le responsabilità. Quelle che negli ultimi anni – stando ai dati pubblicati da Legambiente – hanno fatto registrare dal 2010 a oggi 510 eventi alluvionali (per contare solo quelli censiti), con i relativi danni a cose e persone.

Si poteva evitare tutto questo? Di chi è la colpa? Cosa è mancato e continua a mancare? Cosa non hanno fatto e cosa hanno sbagliato gli enti che negli anni hanno amministrato i territori colpiti? E ancora: come evitare che catastrofi del genere si verifichino di nuovo? Perché se le alluvioni in Italia sono diventate la “nuova normalità” – per rubare un’espressione usata in epoca covid – si deve pensare che esista una certa volontà o quantomeno una qualche tolleranza verso questi fenomeni assolutamente prevedibili ed evitabili. Si sa che prima o poi pioverà, e oggettivamente esistono modi anche sofisticati per verificare se il territorio è pronto a gestire eventi piovosi di una certa portata. Se non lo è, basta intervenire, senza aspettare nuovi danni.

Scomodare il cambiamento climatico o “la siccità che rende i terreni impermeabili” non basta più, sono scuse che non possono reggere a lungo e soprattutto non possono bastare a chi ha perso tutto, tanto più che se le alluvioni in Europa sono un costume nazionale prettamente italiano un motivo ci deve essere.

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