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Il Patto per le migrazioni voluto dall’Onu sarà discusso e approvato a Marrakech il 10 e l’11 dicembre. Si tratta di un documento “non vincolante”, cioè che non impegna ufficialmente. Il dato non è necessariamente rassicurante. Tutta l’Unione europea, per esempio, non avendo un parlamento capace di legiferare, si fonda su trattati, convenzioni, patti. Documenti che non hanno il valore che è, per esempio, insito in una carta costituzionale, ma che vanno via via assumendo peso crescente dopo i colpi inflitti alla sovranità nazionale e monetaria di diversi Paesi.

L’Onu – e indirettamente l’Unione europea – non vuole farsi sfuggire di mano un’occasione ghiotta: quella di “indebolire” i confini degli Stati aderenti tramite azioni mirate che ufficialmente riguarderanno la gestione dei flussi migratori. Si agirà tramite aiuti, leggi, iniziative culturali o legate all’informazione. Ma nei fatti, che succederà? Ce lo spiega una frase del Global compact che, guarda caso, non è disponibile in italiano. L’Onu giustifica la scelta con il fatto di aver reso “il documento disponibile in tutte le lingue ufficiali“, che per l’organismo sono arabo, cinese, spagnolo, russo e francese. Messa da parte la (loro) sconfitta culturale sul fatto che l’idioma di Dante non venga conosciuto e riconosciuto, entriamo nel merito del documento. Che riporta, testuale, come “Nessuno Stato può affrontare da solo la migrazione e rispettare la sovranità degli Stati e i loro obblighi ai sensi del diritto internazionale”.

Cosa potrebbe quindi comportare la ratifica da parte dell’Italia, tenendo sempre presente che i patti – anche quando non vincolanti – possano assumere ulteriore valore attraverso l’azione del legislatore? L’Europa, per dirne una, non ha una Costituzione, ma un trattato fondativo. Un nulla cosmico, che tuttavia le permette di sedere ai tavoli delle trattative e di dettare leggi agli Stati legittimamente formati e fondati. A Bruxelles ci sono diversi volti noti in doppiopetto, che però hanno lo stesso peso legale di un amministratore di condominio. Il Global compact permetterà a organismi consunti di questa fattispecie di poter esercitare la propria influenza sul business per eccellenza costruito sulla crisi e sull’austerità: quello dei migranti. Quello che succederebbe, è presto detto.


1) L’Italia firmerebbe un documento che dice che il diritto internazionale viene prima di quello nazionale. Lo metterebbe per iscritto, nero su bianco, in qualche modo sopperendo ai mancati tentativi di modifica della Costituzione che, se fossero andati a buon fine, avrebbero permesso per esempio all’Europa di manovrare l’Italia come si fa con i pupi. Così non è, almeno per il momento.

“Nessuno Stato può affrontare da solo la migrazione e rispettare la sovranità degli Stati e i loro obblighi ai sensi del diritto internazionale”.

2)  Sarebbe un organismo esterno a dirci come legiferare, quando e perché in tema di migranti. E non che l’Onu si sia dimostrato il massimo in fatto di buone politiche. Lo stesso ci imporrebbe di accettare indiscriminatamente gli sbarchi o i viaggi aerei che il ministro dell’Interno sta già promuovendo, perché per il Global compact un migrante è uguale a un rifugiato. Non si può mandare indietro ma bisogna per forza caricarselo sul groppone.

3) Stati piegati dall’Austerity come l’Italia e la Grecia si riempirebbero di migranti. La conseguenza più immediata sarebbe l’uscita della popolazione residente. Il migrante sarebbe iper-tutelato, il cittadino, semplificando, povero, disoccupato, e in cerca del necessario. 

4) Nel territorio africano, notevolmente esteso e ricco di risorse, le multinazionali interessate allo sfruttamento a basso costo avrebbero mano libera. Da un’Africa “rinnovata” dal colonialismo moderno che ha sposato la politica e la criminalità locale, si imporrebbe l’ultimo pezzo del puzzle dei cosiddetti paesi emergenti, i Brics. Brasile, Russia, India, Cina e, appunto, Sudafrica, hanno com’è noto usufruito di trampolini costruiti dagli amanti del mondialismo. Erano il “Terzo Mondo”, oggi più di uno studio accreditato mostra che l’etichetta definirà Paesi come l’Italia e la Grecia. Italy is too big to fail? No, e le manovre che avvengono alle sue spalle (ma anche al suo interno) mirano proprio a minarne le fondamenta.

5) E’ lecito pensare che la firma del Global compact restituisca al governo qualche “contentino“. Forse gli agognati margini di manovra, forse un peso maggiore nei tavoli delle trattative. Forse mano libera su alcuni aspetti su cui la triade Conte-Salvini-Di Maio non intende retrocedere. Oppure i fondi strutturali necessari a tentare la quadra nel complicato (ma non impossibile) equilibrio economico. Ma a quale prezzo? Quello di mettere per iscritto che la nostra sovranità nazionale vale meno del due di coppe. Ripetiamo che il fatto che il trattato non sia “vincolante” convincerebbe solo uno stupido a metterci sopra la firma.

6) Nell’ambito del G20 verranno ridiscussi anche gli accordi internazionale sul Cambiamento climatico. Si legge cambiamento ma si pronuncia “controllo“. E’ in questi ambiti che viene fatto il punto sulla salute e sull’evoluzione del clima, in quali modi e con quali dinamiche è in grado di incidere sull’economia, sulle popolazioni, sui tornaconti del vari Stati e continenti. Per capire l’importanza del Global compact non si possono trascurare i cambiamenti del clima. In Italia le coltivazioni vengono distrutte sempre più frequentemente da violenti fenomeni atmosferici. Grandinate killer, piogge dirompenti che provocano inondazioni e straripamenti. L’Africa, invece, da tali eventi trae vantaggio, con l’irroramento delle colture e la mitizzazione del caldo. Questo la collocherà, in modo per metà fisiologico e per metà costruito, tra le mete principali degli investitor di domani. Un atto forse dovuto dopo alcune politiche predatorie portate avanti dall’Occidente, ma che se rafforzato per trattato, per patto, non farà altro che contribuire a reprimere economie come quella italiana. Un tempo legata a un’agricoltura che oggi è sterile, impoverita da campagne virali importate dall’estero (per esempio la Xilella che ha decimato gli ulivi pugliesi) e dalle imposizioni dell’Unione europea.

7) Il Global compact prevede inoltre un controllo sulle informazioni che riguardano i flussi migratori. Dopo l’Ordine dei giornalisti e Carta di Roma, subentrerebbe un terzo strumento di controllo e manipolazione semantica dell’informazione italiana. Il tutto si tradurrà in un margine di azione nullo dell’indagine giornalistica riferita, per esempio, al traffico di migranti o all’operato criminale di alcune Ong. Per il cittadino, le fonti ufficiali (cui l’Ue tenta di dare credito imponendo la presunta cesura tra Good News e Fake News), saranno ancora più contaminate, ripulite e corrette. L’idea di migrazione, insomma, non verrà solo imposta, ma debitamente costruita. 

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Andrea

Concordo con Natale. Io penso che un governo che si vuole imporre deve scegliere bene i tavoli dove sedere. I vecchi governi si sono imposti in negativo. Servono scelte coraggiose e di rottura. Qst vuol dire selezionare i propri interlocutori. A certi argomenti e a determinati paesi bisogna solo dire ciao per poter essere coerenti con la propria linea politica.

Natale

Assolutamente non partecipare.

POLITICA

Zuckerberg: “Su covid e vaccini costretti alla censura dagli uomini di Biden”

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Zuckerberg: "Su covid e vaccini costretti alla censura dall'amministrazione Biden" | Rec News

Dopo la decisione di sospendere i finanziamenti ai Fact Checker, il Ceo di Meta Mark Zuckerberg ha deciso di vuotare il sacco su alcune questioni controverse che avrebbero “costretto” il Social a fare piazza pulita di determinati contenuti. In particolare quelli riguardanti il covid e la campagna vaccinale, che negli Stati Uniti come altrove è stata caratterizzata dalla stigmatizzazione di chiunque osava avanzare dubbi e qualsivoglia critica rispetto al pensiero dominante.

Non un semplice caso – per quanto eclatante – di limitazione della libertà di espressione. Perché a sentire Zuckerberg dietro alla volontà di bannare i comunicatori indipendenti ci sarebbe stato un vero e proprio disegno politico messo in pratica per preservare gli interessi dei democratici. “Durante l’amministrazione Biden, quando cercavano di lanciare il programma di vaccinazione, mentre cercavano di promuovere quel programma, cercavano anche di censurare chiunque sostanzialmente si opponesse ad esso. E ci hanno pressati super forte per eliminare cose che, onestamente, erano vere… Fondamentalmente ci pressavano e dicevano “qualsiasi cosa dica che i vaccini potrebbero avere effetti collaterali, in pratica dovete rimuoverla“. E’ quanto ha dichiarato il Ceo di Meta l’altro ieri, ospite di un podcast condotto da Joe Rogan.

“Queste persone dell’amministrazione Biden – ha proseguito Zuckerberg – chiamavano la nostra squadra e urlavano contro di loro e imprecavano… ci sono i documenti, è tutto pubblico”. E ancora: “Non penso che le pressioni affinché le società di social media censurassero i contenuti fosse legale. Il Primo Emendamento si applica al governo. Questo è il punto. Che al governo non è consentito censurare queste cose. Quindi, a un certo livello penso che, sì, avere persone nell’amministrazione che chiamano i ragazzi del nostro team e urlano contro di loro e imprecano e minacciano ripercussioni se non eliminiamo cose che sono vere, è piuttosto brutto”.

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POLITICA

Maduro e la “grande alleanza mondiale contro i tiranni”

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Maduro e la "grande alleanza mondiale contro i tiranni" | Rec News

Nicolàs Maduro, presidente della Repubblica Bolivariana del Venezuela, ha giurato per il nuovo mandato nel corso della cerimonia che si è tenuta nei locali dell’Assemblea nazionale a Caracas. “Il Venezuela – ha detto il neo-eletto in occasione del discorso di insediamento – si prepara insieme a Cuba, al Nicaragua e ai nostri fratelli maggiori nel mondo, nel caso in cui un giorno dovessimo prendere le armi per difendere il diritto alla pace, il diritto alla sovranità e i diritti storici della nostra patria”. Concludendo il Festival internazionale antifascista mondiale, il successore di Hugo Chavez ha inoltre evocato una “grande alleanza globale” simile a quella che sconfisse il fascismo durante la Seconda guerra mondiale in grado di sfidare “la tirannia dei potentati occidentali”.

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Vogliono aumentare (ancora) l’età pensionabile

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Vogliono aumentare (ancora) l'età pensionabile | Rec News

Nel panorama economico e sociale attuale, il tema dell’età pensionabile è diventato particolarmente rilevante. L’aumento dell’età pensionabile che sarebbe previsto per il 2027 rappresenta una questione di grande interesse e preoccupazione per molti lavoratori. In questo articolo, esploreremo le ragioni dietro questa decisione, le sue implicazioni e cosa ci si può aspettare nel breve e nel lungo termine.

Le ragioni dietro l’aumento. La “sostenibilità” del sistema pensionistico

Uno dei motivi principali per cui il governo sta considerando l’aumento dell’età pensionabile è la cosiddetta “sostenibilità del sistema pensionistico”, che in realtà ha molto a che vedere con le casse sempre più asciutte dei sistemi di previdenza. Con l’allungamento della vita media e con produttività e turnover sempre più risicati, il numero di anni in cui le persone percepiscono la pensione è aumentato, mettendo sotto pressione i fondi pensionistici. Secondo i promotori dell’iniziativa, dunque, aumentare l’età pensionabile potrebbe tamponare la situazione bilanciando entrate e uscite. Non si sa per quanto, però, in mancanza di una riforma che possa dirsi tale e che tenga conto di necessità variegate.

Cambiamenti demografici

Un altro fattore cruciale è il cambiamento demografico. La diminuzione del tasso di natalità e l’invecchiamento della popolazione significano che ci sono meno giovani lavoratori per sostenere finanziariamente i pensionati. L’aumento dell’età pensionabile potrebbe ridurre il rapporto tra pensionati e lavoratori attivi, ma ha ripercussioni dirette su quei lavoratori costretti a rimandare la loro uscita dal mercato del lavoro.

Le implicazioni per i lavoratori: maggior tempo nel mercato del lavoro, più il problema dei lavori usuranti

Con l’aumento dell’età pensionabile, i lavoratori dovranno necessariamente rimanere nel mercato del lavoro più a lungo. Questo può avere effetti sia positivi che negativi. Da un lato alcuni potrebbero trovare utile risparmiare di più per la pensione. D’altro canto, tuttavia, le nuove regole potrebbero essere sfidanti per coloro che svolgono lavori fisicamente usuranti o per chi desidera ritirarsi prima dal mercato del lavoro.

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Terzo mandato su misura. Ecco chi agevolerebbe

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Terzo mandato su misura. Ecco chi agevolerebbe | Rec News

Quest’anno si torna alle urne per decretare sei nuovi governatori, quelli di Campania, Marche, Puglia, Toscana, Valle d’Aosta e Veneto. Di questi solo due sono investiti dal problema del terzo mandato: Vincenzo De Luca in Campania e Luca Zaia in Veneto.

In teoria anche la Puglia di Michele Emiliano rientrerebbe nella conta dei presidenti di regione che hanno già compiuto due mandati ma lo stesso Emiliano ha annunciato la sua intenzione di farsi da parte per garantire il ricambio generazionale. Diverso il caso di Lombardia e Friuli Venezia Giulia: due regioni dove si potrebbe porre il problema del terzo mandato visto che sia Attilio Fontana che Massimiliano Fedriga stanno compiendo il loro secondo giro alla presidenza. Ma il tema è decisamente prematuro perché, in assenza di crisi politiche, le due regioni andranno al voto solo nel 2028.

Le Regioni che andranno al voto nel 2025, come detto, sono sei. Certamente quella più al centro delle polemiche è la Campania: i cittadini dovranno scegliere il successore di Vincenzo De Luca (Pd). Al voto anche le Marche governate da Francesco Acquaroli (Fratelli d’Italia), la Puglia guidata da Michele Emiliano (Pd), la Toscana di Eugenio Giani (Pd), la Regione speciale della Valle d’Aosta governata da Renzo Testolin (Union Valdôtaine), subentrato in corso d’opera ad Erik Lavévaz (dimessosi nel 2023 a seguito di una forte crisi politica) e il Veneto guidato da Luca Zaia (Lega).


 Complessa è la situazione del Veneto. Perché, con una rincorsa partita già da un anno, è in gioco il nome di Luca Zaia, che allo stato non sarebbe ricandidabile ad una presidenza numero 3 nel 2025. Formalmente Luca Zaia è al secondo incarico consecutivo, perché la legge regionale che ha introdotto il limite dei due mandati ininterrotti per le cariche elettive – recependo la norma nazionale 2004 – è stata approvata dal Consiglio Veneto nel 2012, con decorrenza dal 2015, fatto salvo il mandato che era già in corso. Zaia in quel momento era al suo primo quinquennio da presidente, dopo l’elezione-plebiscito del 2010. L’eventuale ricandidatura – per la prossima legislatura – aprirebbe di fatto per l’esponente leghista la possibilità di una quarta elezione a presidente del Veneto.

Anche in Valle d’Aosta, seppur in forme diverse, c’è un acceso dibattito intorno al limite dei mandati per le cariche apicali all’interno della Giunta regionale. La vicenda, in particolare, riguarda l’attuale presidente della Regione, Renzo Testolin, e il vice presidente, Luigi Bertschy, entrambi esponenti dell’Union valdotaine. Le forze di opposizione sostengono che, secondo la legge regionale 21/2007, entrambi non potranno ricoprire incarichi nella prossima Giunta, anche se eletti (il voto è previsto nel settembre 2025). Ovvero al massimo dovranno “accontentarsi” di fare il semplice consigliere. Della vicenda è stata investita la presidenza del Consiglio regionale.  (ANSA)

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