Manfrin e la parola che “non si deve dire” (cit. Treccani). Ma ora se ne occupano i MEP
“Clandestino” per l’associazione Carta di Roma, l’Odg e la Treccani è come Lord Voldemort di Harry Potter. Ma la storia di Manfrin, il giornalista che ha il coraggio di chiamare le cose con il loro nome, ora approda in europarlamento
Una parola può, da sola, dire la verità? Certo che sì. Un dato talmente vero, che spesso le cose – per nasconderle – non si chiamano con il loro nome. Accade allora che il MES che per i critici danneggerà l’Italia, si trasformi nel “Salva-Stati”; che nella bilancia dei fatti di cronaca che interessano ugualmente uomini e donne si dia enfasi ai “femminicidi” (termine peraltro ignorante del fatto che il prefisso non sia riferito all’uomo in sé) e che il dissesto idrogeologico si chiami cambiamento climatico. La lista è, purtroppo, ancora lunga.
Ormai con il termine “razzista” viene tacciato chi ha pensiero critico sui migranti
Come etichettare, allora, un extra-comunitario (da quanto non sentite questa parola?) che raggiunge l’Italia a bordo di un barcone pagando i trafficanti, e sì che con gli stessi soldi potrebbe prendere svariati aerei e diversi pullmann? Non vi affrettate a rispondere “clandestino” se non volete che questa o quell’associazione, questo o quell’ordine professionale vi sguinzagli contro commissioni, vi invii lettere dal contenuto paradossale e vi faccia passare per “razzista”. Che oggi – tradotto dalla neolingua – significa “persona che ha pensiero critico rispetto ai migranti”.
La “colpa” di un giovane giornalista
Non è una barzelletta, è successo nelle scorse settimane ad Andrea Manfrin, consigliere della Valle d’Aosta in quota Lega e giornalista “colpevole” di aver utilizzato una parola all’interno di un post Facebook. E’ l’innominabile “clandestino”, il vocabolo che rispetto agli altri è come Lord Voldemort di Harry Potter: non devi pronunciarlo mai, altrimenti Ordine dei giornalisti, mandrie di associazioni imbufalite come Carta di Roma e i nazi-grammar vicini alla Treccani, ti bastonano.
Il post “incriminato”
A Manfrin sono toccati i primi due, Odg e Carta di Roma (più sodalizio che documento vincolante), perché l’Ordine sulle cui incoerenze abbiamo sprecato fiumi di inchiostro, gli ha inviato una lettera in cui gli annunciava la sospensione per due mesi. Ma cosa avrà mai scritto di così terribile o, come si sono affrettati a urlare i media mainstream, di “razzista”? Leggiamolo dal post “incriminato”.
Tra (vero) negazionismo e tentativi di epurazione
Ma è possibile che ormai si arrivi al negazionismo, a negare il fatto che i migranti, soprattutto gli africani che giugono illegalmente sul territorio italiano, non siano “clandestini”, e che – per citare la stessa Treccani – si arrivi addirittura a dire che “non bisogna usare” il termine? Esiste la psico-polizia immaginata da Orwell in 1984? Sembra di sì, e si chiama Ordine dei giornalisti, organismo ormai deputato all’epurazione dei giornalisti scomodi, quale sembra sia essere Manfrin.
Ma l’Odg non tutelava i giornalisti?
Giovane giornalista iscritto dal 2014, collabora con un settimanale locale ma l’Odg anziché tutelare la sua collaborazione come dovrebbe, la mette a repentaglio con una sospensione. Se questa dovesse diventare effettiva nonostante il ricorso opposto il 21 novembre e l’azione recente dell’europarlamento, dove è approdato il caso, Manfrin potrebbe salutare in via temporanea la sua carriera giornalistica. Forse, vedersela danneggiata, perché molte testate che si sono fermate sulla superficie non hanno esitato ad accusarlo.
Manfrin a Rec News: “In fondo mi hanno fatto un favore”
Il boomerang, del resto, è sempre dietro l’angolo, e ce lo ha raccontato lo stesso Manfrin: “La solidarietà pubblica – ci ha detto – è giunta solo dai miei colleghi di gruppo, dal presidente del Consiglio Regionale e da un collega di un altro partito. Il resto del consiglio è stato zitto, ma in privato molti mi hanno manifestato il loro disappunto: il polverone dei giornali, mi hanno detto, si è ritorto contro di loro, aumentando la mia popolarità tra i cittadini”. Chi la fa, sarebbe il caso di dire, l’aspetti.
ESTERI
Moldavia, il governo europeista di Sandu fa chiudere il quinto canale
Il governo moldavo guidato dall’europeista di ferro Maia Sandu ha sospeso la licenza a un altro canale televisivo. Questa volta a fare le spese delle politiche repressive in fatto di libertà di stampa è stato il quinto canale. La decisione della sospensione è stata presa dal Consiglio per la promozione dei progetti di investimento di importanza nazionale il 21 di questo mese, ed è stata motivata con la necessità di esaminare la documentazione relativa alla concessione all’emittente. “Troppi file da consultare”, la scusa arrivata dal Palazzo di Chisinau, mentre fuori le proteste dei giornalisti imbavagliati si fanno sempre più accese.
“Questo caso dimostra ancora una volta che in Moldavia non ci sono più media liberi, poiché il governo teme che un canale televisivo possa compromettere la sicurezza dello Stato”, ha detto Ludmila Belcencova, presidente dell’organizzazione non governativa di giornalisti Stop Media Ban. “Il nostro governo tratta i giornalisti come criminali e questo dovrebbe preoccupare molto la comunità internazionale”, ha detto ancora Belcencova, che ha ricordato il ruolo usurpatore di alcuni organismi.
“Sono ormai due anni – ha detto l’attivista – che il giornalismo in Moldavia non è regolato dal Consiglio per l’audiovisivo, ma da organismi che non hanno nulla a che fare con i media, come la commissione temporanea creata per mitigare la crisi energetica o gli investimenti. Questo dimostra solo che il nostro governo ha troppa paura del pluralismo delle opinioni e delle voci della gente. Non c’è più libertà di parola in Moldavia”. Da qui la richiesta, conclusiva, rivolta alla comunità europea di “prendere posizione contro la repressione della libertà di stampa e di parola in Moldavia”.
ESTERI
Canada, proposta
di legge di Trudeau
per silenziare il dissenso online
Che Justin Trudeau, il primo ministro canadese, non fosse un campione in fatto di libertà garantite lo si era capito nel periodo covid, quando aveva promosso lockdown, Green Pass e vaccinazioni di massa. Adesso a certificare quest’ansia di controllo è arrivata una proposta di legge sui social media che si chiama Online Harms Act, che dietro gli apparenti buoni propositi nasconderebbe la volontà di silenziare il dissenso online, sempre maggiore dopo le scelte impopolari assunte da Trudeau.
Secondo Fox News la proposta scaturita dal disegno di legge del ministro alla Giustizia Arif Virani, consentirebbe di punire una persona prima che abbia commesso un reato, sulla base di informazioni quali la recidività del soggetto e il suo comportamento. Un’applicazione di quella Giustizia predittiva di cui si sente parlare sempre più spesso. “Un giudice provinciale – hanno rimarcato dall’emittente statunitense – potrebbe imporre gli arresti domiciliari o una multa se ci fossero ragionevoli motivi per credere che un imputato commetterà un reato.”
Una proposta che non ha frenato il dissenso online in Canada ma, anzi, lo ha aumentato, come raccontano le esternazioni di alcuni utenti alla notizia del prosieguo dell’iter del disegno di legge C – 63, pubblicato a febbraio e dal cui testo si è giunti all’Online Harms Act. “Riposa in pace libertà di parola”, ha scritto un utente canadese, mentre un altro ha ipotizzato che il primo ministro voglia assumere “un ruolo da dittatore”.
La versione del governo canadese
Ovviamente – come dicevamo – non sono mancate le giustificazioni da parte del governo canadese, che non vorrebbe altro che “frenare l’incitamento all’odio online”. E, a questo fine, starebbe facendo scandagliare i contenuti che conterrebbero “estremismo” e “violenza” e quelli dannosi per i minori. Cosa Trudeau intenda per “estremismo” e “violenza” non è però chiaro, né cosa consideri dannoso per i minori, giacché nei fatti a eccezione di molti post di dissenso silenziati tutto è rimasto praticamente immutato. E se tanti sono stati i proclami del governo canadese per proteggere i bambini dallo sfruttamento online, nei fatti nulla è stato fatto per rendere più attiva la macchina della giustizia quando si tratta di punire molestatori, pedofili e altre categorie che inquinano la rete.
Un recente sondaggio dell’Istituto Leger, del resto, ha rilevato che meno della metà dei canadesi pensa che l’Online Harms Act si tradurrà in un’atmosfera più sicura online. Parte degli interpellati hanno infatti detto di essere “diffidenti” nei confronti della capacità del governo di proteggere la libertà di parola.
FREE SPEECH
Guerra in Medio Oriente, vandalizzato il murales dedicato alla giornalista Shireen Abu Akleh uccisa a Jenin
Vandalizzato il murales dedicato a Shireen Abu Akleh e della libertà di stampa a via di Valco San Paolo, nel cuore di Roma Sud. Nelle scorse ore il volto stilizzato della giornalista palestinese di Al Jazeera, colpita a morte dall’esercito israeliano l’11 maggio 2022 durante uno dei suoi tanti servizi nei campi profughi di Jenin, in Cisgiordania, è stato imbrattato da una macchia di vernice rosso sangue mentre accanto alla figura della donna si legge la scritta “assassini”.
Il murales, opera dell’artista Erica Silvestri, nelle scorse settimane era stato realizzato per celebrare il sacrificio di una reporter che, come tanti inviati di guerra ogni anno, è morta mentre svolgeva la professione di raccontare gli orrori della guerra e, in questo caso, anche cosa succede nei campi profughi palestinesi: a promuovere l’iniziativa, che ha ottenuto il sostegno della Federazione Nazionale della Stampa, è stato l’VIII municipio della Capitale, l’associazione dei Giovani Palestinesi di Roma e “Join The Resistance” in collaborazione con Radio Roma che da sempre segue con particolare attenzione le vicende estere ma anche le dinamiche delle comunità straniere che vivono in città. Proprio per dare visibilità al messaggio, si era scelto di creare il murales in un punto di via di Valco San Paolo particolarmente trafficato e l’opera era diventata ben presto meta di molti cittadini incuriositi.
L’episodio di vandalismo, scoperto nelle scorse ore, viene facilmente messo in relazione con quanto sta accadendo in Medio Oriente e con la guerra di Israele contro i terroristi di Hamas: “I drammi degli ultimi giorni tra Israele e Palestina stanno esacerbando tutto ciò che ruota intorno alla questione israelo-palestinese” – spiega Andrea Candelaresi, giornalista di Radio Roma e promotore del murales: “Questo clima di tensione arriva fin qui, a Roma, dove l’odio non fa altro che creare inutili confusioni. Shireen Abu Akleh non c’entrava nulla con Hamas, né con la scia di morte e distruzione di questi giorni. Vandalizzare quel murales ha significato, per noi, infangare la memoria di un’abile giornalista morta per una nobile causa: raccontare la verità per formare coscienze. Ma è anche la spia, rossa, sul motore della qualità della stampa perché se il popolo è informato male si creano le tifoserie ed essere ultras porta alla radicalizzazione, la quale genera confusione e odio. Confusione e odio che hanno colpito un murales, ma anche una donna morta per il suo lavoro; hanno colpito chi ci portava la realtà dei fatti in casa e questo non possiamo né dobbiamo dimenticarlo”.
Dopo la segnalazione del vandalismo, il murales è stato restaurato la scorsa notte dalla sua autrice, Erica Silvestri, che ha deciso di “rispondere con l’arte all’odio”.
ARTE & CULTURA
Bandire i forestierismi. “Ricorda il fascismo, lasciare libertà di espressione”
“Sono rimasto sorpreso dalla scelta di questo tema nell’era del simultaneo”, ha affermato durante il programma radiofonico “Base Luna chiama Terra” su Radio Cusano Campus il professor Marco Belpoliti, autore della traccia selezionata per la prima prova scritta della Maturità 2023, scrittore, italianista e docente di Critica Letteraria e Letterature Comparate all’Università di Bergamo.
“C’è stata la pandemia che ci ha messo in attesa, come nelle telefonate: ‘La preghiamo di attendere’. Tutto ora è ricominciato accelerando, ma l’attesa è ancora lì e resta in attesa”. L’attesa, secondo Belpoliti, è ancora “una questione rilevante nelle nostre vite nonostante la velocità che ci circonda” ha sostenuto durante l’intervista.
Parlando dell’influenza della tecnologia sulla comunicazione, Belpoliti ha poi sottolineato che il senso dominante è diventato quello visivo. “C’è sempre stata più gente che guardava piuttosto che gente che leggeva. Parlare, parlano tutti, c’è il costante desiderio di parlare. Una volta un uomo nel corso della sua vita vedeva un centinaio di immagini. Ora ne vediamo migliaia ogni giorno, anche solo sui social”, ha proseguito Belpoliti.
Riguardo alla trasformazione delle modalità espressive, il professore ha poi evidenziato “il ritorno a un regime del flusso nella scrittura, simile alle scritture pubbliche dell’epoca romana che non conoscevano la punteggiatura. Ora usiamo i puntini sospensivi” ha ribadito. “L’emoticon crea l’elemento espressivo, disegnando le emozioni che non possono essere contenute nella scrittura, che dal canto suo non ha dei modi per dichiarare il tono con cui viene pronunciata una frase. C’è qualcosa di antico e contemporaneo allo stesso tempo. Qualcosa che è in evoluzione. Questa comunicazione non cancella l’altra. Una si sovrappone all’altra. Una predomina, l’altra regredisce” .
E sull’uso dei forestierismi nella lingua italiana, Belpoliti ha concluso l’intervista dicendo “Non sono spaventato dalla presenza di parole inglesi. Cancellare le parole inglesi, ricorda il fascismo. La pulizia linguistica mi ricorda un altro tipo di pulizia meno nobile. Bisogna lasciare anche una libertà all’espressione”.