Riace, Zaira Bartucca: “Recosol risponda nel merito”
“L’associazione avrebbe dovuto rispondere ai quesiti sollevati anziché inviare a mezzo stampa minacce di querele tentando di tapparci la bocca. Se non lo fa, se non invia richieste di rettifica, è perché teme il confronto”
«Recosol avrebbe dovuto rispondere nel merito, anziché inviare a mezzo stampa minacce di querele tentando di tapparci la bocca. Se non lo fa, se non invia richieste di rettifica, è perché teme il confronto sulle questioni sollevate da Rec News, tutte supportate da fonti documentali».
Silenzio sul frantoio, i progetti e i finanziamenti
È quanto ha fatto sapere la responsabile di Rec News Zaira Bartucca tramite un comunicato inviato alla stampa locale, dopo aver appreso di un “articolo” pubblicato su un sito vicino all’entourage di Lucano. «Per esempio avremmo voluto chiedere lumi al signor Maiolo – ha proseguito Bartucca – sui progetti, i finanziamenti e i rendiconti, gli stessi scartabellati dalla Guardia di Finanza e dalla Procura di Locri nell’ambito dell’operazione Xenia. E la signora Sasso? Tanto prolifica sul “modello” Riace, non ha mai speso una parola sul frantoio venduto dal marito “perché con Chiara non ci sono problemi” (cit. Lucano) o su un’operazione e un processo concreti, reali, ma che la testata per cui lavora ignora sistematicamente».
“In caso contro-quereleremo presentando prove e documenti, anche quelli inediti”
«Chi ci minaccia di querele – ha detto ancora Bartucca – dovrebbe sapere che la diffamazione si configura solo nel caso in cui siano state scritte falsità: in caso di querela agiremo in contro-querela, adducendo tutte le prove del caso, comprese quelle inedite. Chi si lamenta di vivere nel mondo di Cetto La Qualunque – ha detto – dovrebbe prendersela con chi ha più di un’analogia con il personaggio di Albanese, come alcuni cattivi amministratori ed ex amministratori ignoranti fino all’osso, bugiardi e in malafede. Gli stessi che hanno contribuito ad affossare la Calabria».
Si tengano “Cetto”: più che una caricatura, un ritratto
«Un qualcosa – ha proseguito – che non ha nulla a che vedere con noi, che anzi proprio in questi giorni festeggiamo il nostro inserimento in un Collettivo internazionale di giornalisti investigativi mobilitato per Julian Assange. Se, detto questo, il nostro lavoro è “sottocultura” o un qualcosa da “contrastare duramente”, allora tutta la produzione di bassa lega degli strilloni locali e dei romanzieri del modello Riace, gente che scrive sotto dettatura, non ha mai scritto un’inchiesta in vita propria né saprebbe come farlo, può andare a farsi benedire. Sempre che il rapporto con l’acqua Santa sia buono. L’idea di contrastare l’informazione libera espressa da presunti “democratici”, non può fare che ridere. Con tutti i nostri limiti, non siamo in Cina o Turchia: chi non vuole che i giornalisti scrivano, può emigrare».
Nonostante le connessioni con il sistema Riace, alcune sezioni di Recosol continuano indisturbate
«Mi chiedo – si è interrogata, concludendo, Bartucca – come sia possibile che una delle realtà così connesse al sistema Riace continui a gestire progetti, collabori con ministeri e organismi pubblici, stringa partnership con Comuni e amministratori forse ignari dei casi calabresi di cattiva gestione e si prenda, per giunta, la briga di tentare di censurare i media indipendenti».
PRIMO PIANO
Fiction su Riace,
la Rai se ne lava
le mani: “Lucano
dice falsità”
Sembra che anche da Viale Mazzini si stiano accorgendo di che pasta è fatto l’ex sindaco di Riace. Il pretesto per un botta e risposta che dura giorni e che è rimpallato dal sito dell’Ansa a quello dell’emittente è stata la fiction “Tutto il mondo è paese”. Avrebbe dovuto contribuire a formare l’immagine del primo cittadino eroe dell’accoglienza ma, complici le variegate vicende giudiziarie, non è mai andata in onda. Rec News è stato l’unico sito a svelare particolari tuttora ignorati dai media mainstream che riguardano il suo produttore e anche il cast. Particolari che, dicono i ben informati, dall’inchiesta Xenia I potrebbero transitare ad altre scrivanie e dare il via a nuove vicende giudiziarie. Il che potrebbe spiegare la reazione della Rai alle parole di Lucano.
L’idillio tra l’ex sindaco di Riace e i divulgatori di fiction a orologeria, insomma, per il momento è accantonato, e a riprova di questo oggi la Rai ha pubblicato un comunicato stampa dai toni piuttosto eloquenti, che peraltro diffida Lucano a rigettare quanto detto. «In merito alla notizia di un colloquio tra l’Amministratore delegato Rai Roberto Sergio e il produttore Roberto Sessa – scrivono dall’Ufficio Stampa – come riferito dal signor Mimmo Lucano, nel quale si sarebbe parlato della messa in onda della Fiction sul “modello Riace” – (tra virgolette, ndr) – si precisa che quanto riportato è totalmente falso. I termini attribuiti e riportati dal produttore non appartengono alla dialettica dell’Amministratore delegato. In assenza di una smentita ufficiale l’Azienda si riserva di tutelarsi in ogni sede».
Occasione mancata di propaganda in tempo di Europee
Chiaramente, la messa in onda della Fiction “Tutto il mondo è Paese” avrebbe potuto rappresentare un’ottima occasione di propaganda per Mimmo Lucano, che meno di un mese fa ha annunciato la sua candidatura alle Europee tra le fila di Alleanza Verdi Sinistra. Dunque il momento sarebbe stato più che propizio per rilanciare la storia – gradita agli elettori di certa parte politica – del sindaco campione dell’accoglienza. Peccato che da Viale Mazzini, per il momento, abbiano chiuso i cancelli.
CONTESTI
Processo Xenia, chiesti più di dieci anni di carcere per Lucano
Più di dieci anni di carcere per Mimmo Lucano. E’ la richiesta che la Procura generale di Reggio Calabria ha fatto per l’ex sindaco principale imputato del processo Xenia, considerato il dominus del sistema Riace. Davanti alla Corte d’Appello di Reggio – presieduta da Giancarlo Bianchi – ha avuto luogo la requisitoria dei sostituti procuratori generali Adriana Fimiani e Antonio Giuttari, che hanno chiesto per l’ex amministratore accusato di associazione per delinquere, truffa, peculato e abuso d’ufficio una pena detentiva di dieci anni e cinque mesi.
Al centro del Processo Xenia, la distrazione di fondi destinati all’accoglienza dei migranti documentata dalle varie relazioni della Guardia di Finanza e la gestione opaca della cosa pubblica da parte delle cooperative e del Comune di Riace, ai tempi dell’amministrazione Lucano.
SISTEMA RIACE
La conferma nella sentenza del processo Xenia: a Riace niente accoglienza ma sistema criminale
Lucano per anni è stato descritto con toni agiografici. Un’immagine che – scorrendo le 904 pagine delle motivazioni – soccombe sotto il peso di accuse ben circoscritte e di reati ben delineati, per lasciare il posto al “furbo” che dirigeva un’associazione a delinquere “tutt’altro che rudimentale”
Mimmo Lucano eroe dell’accoglienza, idealista, che agiva per l’esclusivo interesse dei migranti. Colui che salvò Becky Moses dall’oblio, che “risollevò Riace” e la “ripopolò”. Tutto – ovviamente – per la sua sconfinata generosità e per il suo sconfinato buon cuore. Con questi toni agiografici è stato per anni descritto il dominus del sistema Riace. Un’immagine che – scorrendo le 904 pagine delle motivazioni della sentenza di primo grado del Processo Xenia – soccombe profondamente sotto il peso di accuse ben circoscritte e di reati ben delineati, per lasciare il posto a un Lucano “furbo”, esclusivamente preoccupato di procurarsi vantaggi personali.
Non uno sprovveduto, ma – scrivono il presidente del Tribunale di Locri Fulvio Accurso e i giudici a latere Cristina Foti e Rosario Sobbrio – un soggetto che pur ammantandosi di un alone di “falsa innocenza” rappresentava il perno di un sistema “tutt’altro che rudimentale”. Non era il solo a farne parte: con Lucano – condannato in primo grado a 13 anni e due mesi di carcere – gli altri componenti di quello che secondo la sentenza era un sodalizio criminale vero e proprio, un’associazione a delinquere strutturata e composta da attori che ricoprivano determinati ruoli strategici con il fine di “commettere un numero indeterminato di delitti contro la pubblica amministrazione, la fede pubblica e il patrimonio”. Un sodalizio di cui faceva parte la compagna Tesfahun e i vicinissimi di Lucano che si muovevano all’interno di Città Futura – associazione di cui nei fatti Lucano aveva il controllo completo – e all’interno del resto delle cooperative apparentemente preposte all’accoglienza.
I motivi del sostegno politico a Lucano
Un ruolo aveva anche l’esperienza politica di Lucano, sostenuto da determinati partiti ed ex sindaco di Riace. A dargli man forte – nell’ottica di un sistema basato sul voto di scambio e sull’acquisizione di utilità personali – i sodali condannati assieme a lui e portatori di “pacchetti di voti”, i quali “hanno agito accettando di sostenere politicamente Lucano ricevendo da esso, in cambio, piena libertà di movimento nella loro azione illecita di accaparramento delle risorse pubbliche”.
Dietro il paravento dell’accoglienza c’era la distrazione di somme che venivano utilizzate a fini personali
Formalmente, il “modello” Riace aveva creato le botteghe artigiane, la cittadella solidale, il frantoio, l’accoglienza diffusa (in realtà inesistente e dai numeri su carta). Nei fatti, scrivono i giudici, tutto si traduceva in un sistema illecito caratterizzato da ripetute occasioni di guadagno personale, per sottrazioni milionarie. Lucano e gli altri, insomma, fiutato l’affare delle cifre da capogiro che transitavano a Riace con la scusa dell’accoglienza, secondo la Procura di Locri “piuttosto che restituire ciò che veniva versato, aveva ben pensato di reinvestire in forma privata la gran parte di quelle risorse”, operando “con costanza nell’illecito, in modo studiato, consapevole e volontario” e mettendo in pratica una sistematica “falsificazione dei rendiconti”. I giudici non hanno dubbi: si sarebbe trattato di un “vero e proprio arrembaggio ai cospicui finanziamenti”. Altro che nessun arricchimento e altro che reato di umanità. A questo “quadro a tinte fosche” si aggiunge il ruolo di associazioni come Città Futura che erano diretta emanazione di Lucano, che ogni mese riceveva somme “dalle Isole Cayman”.
Le condanne in primo grado
Abraha Gebremarian (4 mesi)
Ammendolia Giuseppe detto “Luca” (3 anni e 6 mesi)
Balde Assan (1 anno)
Curiale Oberdan (6 anni)
Ierinò Cosimina (8 anni e 10 mesi)
Keita Oumar (1 anno)
Lucano Domenico (13 anni e 2 mesi)
Maiolo Annamaria (6 anni)
Musuraca Cosimo Damiano (1 anno)
Musuraca Gianfranco (4 anni)
Romeo Salvatore (6 anni)
Taverniti Maria (6 anni e 8 mesi)
Tesfahun Lemlem (4 anni e 10 mesi)
Tesfalem Filmon (1 anno)
Tornese Jerry (6 anni)
Le assoluzioni
Gervasi Alberto
Latella Domenico
Moumen Nabil
Petrolo Antonio Santo
Prencess Daniele
Romeo Salvatore
Valilà Renzo
Rosario Zurzolo
Articolo Rec News dir. Zaira Bartucca – recnews.it
INCHIESTE
Lucano visita la tomba di Becky Moses. Ma perché bloccò la sua salma per più di quattro mesi?
L’ex sindaco di Riace decise che il corpo carbonizzato della povera 26enne dovesse restare per mesi e mesi nella sala Morgue dell’ospedale di Polistena, nonostante i solleciti. Oggi omaggia quel loculo realizzato in ritardo per colpa dell’autorizzazione che non voleva dare
Mimmo Lucano – l’ex sindaco di Riace condannato a 13 anni e due mesi di carcere per associazione a delinquere, peculato, truffa allo Stato, truffa per erogazioni pubbliche e falso in atto pubblico – ha recentemente visitato la tomba di Becky Moses, come riporta la stampa locale. Chi era Becky? Per chi non avesse ancora avuto modo di conoscere la sua storia drammatica, era la ragazza nigeriana appena 26enne trovata morta – riportano le cronache – nel rogo sviluppato nel campo di San Ferdinando.
Becky, stando a quanto afferma una testimone oculare che la conosceva di persona che abbiamo raggiunto tempo fa, era giunta a Riace credendo alla favola dell’accoglienza, ma lì più che aiuto aveva trovato Lemlem Tesfahun e le sue volontà lapidarie e insindacabili. Quanto decideva Lemlem – compagna di Lucano – non poteva essere discusso, e lei aveva deciso che per Becky non c’erano progetti solidali. “Cacciata” e in difficoltà estrema, era dunque giunta nel campo di San Ferdinando, dove ha trovato la morte.
Un decesso su cui tuttora non è stata fatta luce, nonostante i tentativi. Ma perché Mimmo Lucano (che all’epoca della morte della giovane era sindaco di Riace) lasciò il corpo carbonizzato della povera Becky per almeno quattro mesi nella cella frigo della sala Morgue dell’ospedale di Polistena senza autorizzarne il trasferimento e dunque la tumulazione? Abbiamo sollevato varie volte questo quesito, basandoci su due documenti pubblicati in esclusiva, cioè due relazioni dell’Asp di Polistena del 13 aprile e del 14 maggio 2020, ma ad oggi non ci sono risposte. Oggi – paradossalmente, richiamo della coscienza o meno, Lucano va a rendere omaggio a un corpo che ha trovato degna sepoltura quattro mesi più tardi del previsto, e proprio in forza della sua volontà di non autorizzarne il trasferimento.
La giovane nigeriana, infatti, è stata tumulata dopo mesi e mesi di dimenticanza, quando Lucano ha deciso che era abbastanza e che addirittura la volontà di seppellirla andasse pubblicizzata perché – riporta un articolo online – “ha voluto che la propria amministrazione si facesse carico delle spese di un rito funerario formale e solenne”. Ma perché, allora, non lo ha fatto prima, sollecitato com’era dai dirigenti dell’Asp, e soprattutto perché sulla vicenda di Becky Moses dopo tre anni non è stata ancora fatta chiarezza?