Andrà tutto bene. È tutto sotto controllo
I moduli delle Forze dell’Ordine, tamponi a tappeto e le app che tracciano tutto del “modello” Seul. A che serve il triangolo della sorveglianza di massa che piace a Conte e non dispiace all’opposizione
C’è uno strano clima di intesa in Italia. Mentre l’economia è allo sfacelo e tutto ciò che non è digitale muore, mentre gli anziani periscono nelle case di riposo e i senzatetto muoiono nelle strade perché non c’è più chi gli porta un piatto caldo, i due estremi della politica si trovano finalmente d’accordo. Così quello che intima Renzi fa eco con quello che chiedono i colonnelli della Lega. La linea Rec News, in tempi non sospetti, del resto l’aveva tracciata.
Passo 1: chiudere tutto e depotenziare il Parlamento
Mentre Conte e sodali chiudono l’Italia e depotenziano il Parlamento italiano (ma quello europeo rimane aperto e attivo) e ci prepariamo a un esercito di nuovi poveri e decessi indotti causati dalla crisi – non dal virus che per l’ISS fa dodici morti ogni duemila dichiarati – Salvini e Meloni sono soddisfatti. L’avvocato mondialista che scriveva a un Gran Maestro, l’amico di Bill Gates, ha sigillato e messo al tappeto tutto quello che “non è strategico”, come chiesto dal leader della Lega a cui la scenata sullo stato di emergenza non dispiace. Poi vai a spiegare al piccolo commerciante che ridurrà se stesso e la sua famiglia sul lastrico che la colpa della chiusura è sua e non della politica: non ha saputo tirar su una multinazionale al posto di una bottega.
Passo 2: la sopravvivenza del più forte. E del più ricco
C’è una nuova Europa che si affaccia all’orizzonte, e piace – trasversalmente – a tutta l’élite politica, mediatica e aziendale. È costruita sui criteri più crudi della sopravvivenza del più forte, e per incominciare nonostante i miliardi stanziati lascia perire tutto ciò che non genera grossi guadagni. Persone comprese. È un’Europa smart e digitale, diversa da come è sempre stata: si lavora da casa, si paga da casa con una carta e presto con la moneta digitale cara al governo Conte, si interconnette tutto, dalla lavastoviglie al citofono. Si instaura un circolo infinito: si fa tutto con un click e si viene controllati, con un click. È un’Europa sostenibile, che guarda ai nuovi mercati come quello che si cela dietro l’acronimo Afcfta, completamente disinteressata ai prodotti italiani che hanno smesso da un decennio di essere competitivi. È green, di un ambientalismo di stampo nazista che interpreta la presenza umana come parassitaggio, e che specula in titoli (Greenbond? Coronabond?) e sigla trattati sul ridimensionamento coatto delle emissioni che poi ci obbligano a stare chiusi in casa. Altro che coronavirus.
Passo 3: cavalcare un’emergenza debitamente costruita
I governanti messi alle strette dalla mancanza di strategie reali dell’Ue hanno ora un piano: cavalcare l’onda del coronavirus e accelerare i processi dell’Agenda 2030 e dell’Agenda 21. Tra i sostenitori del piano c’è di tutto, senza colori politici: una forzista come Casellati può sentirsi a suo agio con la stellata Del Re, perché l’ONU e le sue risorse infinite mettono tutti d’accordo. Sembrava che gli obiettivi si fossero allontanati, ma c’è gente come Conte che intende fare quello per cui è stato programmato. Cavalcare un’emergenza che è stata costruita tramite tutti i tentacoli presenti sul territorio, è cosa utile perché in un colpo solo cancella problemi (anziani e indigenti a carico di un Welfare che non ha più risorse a disposizione) e crea nuove “opportunità”: 5G, titoli speculativi particolarmente vantaggiosi, blockchain, moneta elettronica e, dunque, controllo e grassi guadagni per pochi. Sarà il trionfo della dittatura mascherata da democrazia.
Passo 4: intensificare i controlli di massa
Il controllo è fatto a strati. Quello più superficiale lo sperimentiamo nella vita pratica. Ci muoviamo, acquistiamo, viviamo, e nel farlo cediamo più o meno consapevolmente un pezzo di noi alle aziende. Così Trenitalia è in grado di sapere che a nostro nome è prenotato un Intercity ogni tre mesi, Facebook che abbiamo dei figli e ci piace il gelato. In uno stato di cose come quello che abbiamo conosciuto fino a oggi (tolti gli spionaggi di massa dell’NSA e scandali come Cambridge Analytica) conoscerci meglio può aiutare alle aziende a consigliarci cosa comprare. Ma con l’avvento del 5G le aziende ora chiedono il salto di qualità, e per precise ragioni. Nella terra desolata generata dallo spettro del Covid-19, i loro interessi si incontrano con quelli di una politica cui la gente guarda con crescente diffidenza, che però vuole mantenere a tutti i costi i suoi privilegi.
Passo 5: dividere la torta Belpaese
Il patto non scritto che nello specifico sta facendo soccombere l’Italia è questo: dividere la torta Belpaese e dare la fetta più grossa a Pechino, il padre della Belt and Road Iniziative (BRI), la cosiddetta Via della Seta. Alla Cina i quasi due bilioni di investimenti italiani non sono piaciuti, perché fino a questo momento non potevano consentire il prevalere dell’interesse cinese su snodi come Venezia e Trieste. Ma nell’Italia del lockdown e del nulla economico, tutto è possibile, anche installare lanterne cinesi sulle guglie del Duomo di Milano o al posto dei leoni di San Marco. La fetta che Conte sta regalando a Xi lascia delle briciole che devono saziare chi è affamato: sono le aziende delle Telecomunicazioni e del digitale che si illudono di poter fare il salto di qualità con la tecnologia di quinta generazione, che genererà introiti che si potrebbero cercare in cose che non danneggiano la salute pubblica. Democraticamente, tutti rischieranno di ammalarsi, politici e Ceo compresi. A meno che non ci si abitui a stare tutti trincerati in casa.
Traguardo: passo 6. I tre livelli per acquisire dati. Il coronavirus non c’entra nulla
Il giochetto redditizio necessita di un presupposto: i nostri dati. Presto saremo associati all’identità digitale (SPID), a pagamenti esclusivamente digitali e a un numero crescente di dispositivi. Dovremo diventare per forza clienti di un sistema che qualcuno ha pensato per noi senza chiederci il permesso. Ma questo non è possibile se non ci presentiamo alle aziende che ancora non ci conoscono con il nostro nome e cognome, con il nostro numero di telefono e, addirittura, con il nostro DNA. In tempi di “emergenza” un semplice modulo di autocertificazione permette di acquisire un primo livello base. Così governo e governatori che hanno aderito se ne andranno ora a casa con un pacco di numeri di cellulari da smistare a multinazionali in grado di far quadrare i bilanci. Un secondo livello che denomineremo “Crisanti”, prevede che vengano fatti tamponi a ogni cosa che si muove, anche se la comunità scientifica afferma che non servono a nulla. La domanda è ovvia: che ci fanno in realtà col nostro DNA? Siamo a un passo da esperimenti di massa come quelli già condotti in piccola scala da Neuralink? Un terzo livello è quello del “modello Seul” chiesto da Renzi, che prevede l’utilizzo di app che ci seguono e ci controllano ovunque, e che fa in modo che i cittadini vengano costretti a indossare braccialetti come quelli dei detenuti. Ma che reato avremo mai commesso per essere controllati H24, non poterci spostare di città in città ed essere condotti ai domiciliari?
CONTROLLO
Rischio Phishing con il sistema di allarme It Alert. Come difendersi
It Alert, il servizio nazionale di allarme e controllo promosso dal governo e dalla protezione civile, non ha mancato di sollevare critiche per i rischi connessi alla privacy e per l’effettiva inefficacia nel segnalare le calamità. Nonostante tutto continua la sperimentazione: il 19 settembre è stata la volta di Lombardia, Molise e Basilicata, mentre i cittadini di altre regioni saranno interessati dall’invio di notifiche di massa nei prossimi giorni. I test andranno avanti fino a ottobre.
C’è da dire subito che chi non vuole ricevere le notifiche push di It Alert può disattivare una specifica funzione presente negli smartphone, come si leggerà nei prossimi paragrafi. Si tratta di un buon modo per troncare a monte le possibilità di finire nella rete dei cybercriminali, che stanno sfruttando il sistema di allarme e controllo per inviare messaggi e notifiche del tutto simili a quelle inviate dalla protezione civile.
Gli avvisi e il rischio di incorrere nella rete dei cyber-criminali
IT Alert potrebbe infatti rappresentare un ponte tra l’utente del tutto ignaro e i malintenzionati che sfruttano le dinamiche digitali. E’ quanto ha affermato il Cybersecurity di NordVPN Adrianus Warmenhoven, che ha chiarito come “gli avvisi governativi possano essere utilizzati in modo improprio da terzi che non hanno buone intenzioni”. Il riferimento è alle truffe via phishing, e al rischio di ricevere messaggi contenenti link che molti potrebbero essere indotti a cliccare nella convinzione che si tratti degli avvisi di It Alert.
Come disattivare It Alert
Per disattivare il servizio IT-Alert sui dispositivi Android:
- Accedere alle Impostazioni dello smartphone.
- Fare clic su “Sicurezza ed emergenza” o “Password e Sicurezza” oppure “Alert e terremoti”, a seconda del tipo di dispositivo.
- Nella sezione “Avvisi di emergenza” o “Allarmi pubblici” troverete l’opzione IT-Alert. Potrete disattivarla semplicemente rimuovendo il flag di attivazione. Per evitare di ricevere notifiche, è però necessario deselezionare tre voci: “Consenti allerte“, “IT Alert” e “Messaggi di test“. E’ inoltre necessario selezionare la voce “Mai” nella scheda “Promemoria allerte”. Queste funzioni sono poste una di seguito alle altre. Per verificare se è già stata ricevuta una notifica IT Alert, si può invece cliccare su “Cronologia allerte di emergenza”.
Per chi utilizza dispositivi Apple, disattivare IT-Alert è altrettanto semplice:
- Accedere alle Impostazioni.
- Selezionare “Notifiche” e scorrere verso il basso fino alla sezione denominata “Avvisi di emergenza”.
- Disattivare la funzione IT-Alert in questa sezione per non ricevere più notifiche e controllare le aree che potrebbero aggiungersi a seguito di aggiornamenti dello smartphone.
CONTROLLO
L’ennesimo Pass (con tanto di microchip) per oggetti che ci seguono ovunque
Gianluca Isaia, presidente e Amministratore Delegato di ISAIA S.p.a., ha un modo tutto suo di interpretare il controllo e la volontà di estenderlo in sempre più settori della vita quotidiana. E’ una “coccola” – ha detto ieri alla Farnesina presentando il progetto esteso di un passaporto digitale per i capi di abbigliamento – che si fa al cittadino, che però in alcuni casi è ignaro delle decisioni che vengono prese ai piani alti e in altri non gradisce questo tipo di “attenzioni”. Per il supermanager Vittorio Colao l’idea di controllo coincideva con quella di “aiuto“, per l’AD della Società per azioni specializzata in abbigliamento maschile è più attinente alla sfera delle sensazioni. Sarà.
Quel che è certo, è che non sanno più cosa inventarsi per farci digerire un passaporto digitale dietro l’altro. L’archetipo sperimentale è stato il Green Pass, ma non è con la tessera sanitaria che si sono esaurite le mire dei vari governi che si succedono, che in tema di controllo la pensano tutti allo stesso modo. Nel caso appena citato si cavalca l’idea – tutto sommato accettabile in alcuni casi specifici – di “dare più informazioni” per citare lo stesso Isaia e, anche, quella già stantìa del “passaporto di unicità”. Ma è sulla possibilità di geolocalizzare le persone che indossano un determinato abito che, ovviamente, si concentrano i dubbi degli scettici.
E’ possibile tracciare gli spostamenti di una persona che indossa un abito dotato di chip RFID? A quanto pare, sì. La questione è stata sollevata nel 2017 da alcuni sindacati che agivano in tutela di 22mila dipendenti del sistema sanitario pubblico della Liguria, regione posta già allora sotto le ali del governatore Toti. Un fervente sostenitore, sia detto per inciso, del Green Pass e delle vaccinazioni di massa. Il caso era stato riportato dalla Repubblica di Genova, che così scriveva: “Il portiere del Galliera, Tullio Rossi, non sapeva di portare addosso un microchip. Lo ha scoperto, abbottonandosi la camicia della divisa: ha toccato un affarino duro all’interno della cucitura, l’ha tagliata ed ha visto la “cimice nera” grossa quanto una lenticchia. Si è chiesto cos’era. Nessuno lo aveva avvertito (anche se è un rappresentante sindacale) che l’ospedale avrebbe introdotto la novità”.
“In ogni momento e durante le ore di servizio, quel micro trasmettitore inserito in ciascun capo di abbigliamento, emanerà un segnale elettronico, permetterà di sapere dove si trova quella “divisa”. E pure chi la indossa“, scriveva Giuseppe Filetto in una disamina inquietante di sapore decisamente orwelliano. Cosa ne pensavano i dipendenti di questa “coccola”, come la chiamerebbe Isaia? Presto detto. “Credono che il localizzatore sia una grave violazione della Privacy e un controllo “fuorilegge” sul posto di lavoro. Si sentono spiati” e pensano che “la presenza di più microchip a contatto con varie parti del corpo costituisca un rischio per la salute”.
Il tema del controllo nascosto, operato senza informare chi ne è bersaglio, è dunque quanto mai attuale, come pure quello delle epurazioni contro chi dissente, come si legge ancora nell’articolo del 2017. All’epoca un appalto di 66 milioni suggellato dall’Azienda Ligure Sanitaria – che aveva a capo lo stesso Giovanni Toti – permetteva di affidare i camici dei dipendenti a una ditta di lavaggio e asciugatura che, in più, ha offerto il singolare extra della chippatura. Non è un caso isolato e non riguarda la sola Liguria: il sito di Noleggio Divise di questi servizi se ne fa addirittura un vanto: “Applichiamo un chip/tag con tecnologia a radio frequenza (RFID) su tutti i capi lavati per monitorare le entrate e le uscite dalla lavanderia”. Ma, usciti dalla lavanderia, i chip continuano il loro viaggio sui corpi dei dipendenti – spesso inconsapevoli – collocati nei diversi settori strategici serviti dall’azienda.
CONTROLLO
IT Alert “non dà indicazioni sull’esposizione al rischio”. Ma, allora, a che serve?
IT Alert è stato definito il “Sistema di allarme pubblico italiano” ma – complice la diffidenza verso determinati servizi digitali che si registra dal periodo covid in poi – la sua presentazione è stata accompagnata da critiche e da dubbi sulla Privacy. In che modo la Protezione Civile, che promuove il servizio, entrerà negli smartphone senza un consenso propedeutico dell’utente? Rimarranno file temporanei nei dispositivi di destinazione? Il servizio sarà così risolutivo nell’Italia in cui non si puliscono gli argini dei fiumi e si aspettano le catastrofi nella convinzione che un’app salverà tutti? Le domande sono davvero tante e chi le fa, come sempre, è considerato un “complottista autore di fake news”, per citare Sky Tg 24.
Eppure di certezze ce ne sono davvero poche, se si fa eccezione per i test che – a rotazione – riguarderanno diverse città italiane e che consisteranno nell’invio di una notifica standard. Il 5 luglio, tra qualche giorno, sarà la volta della Sicilia, mentre il 7 toccherà alla Calabria. Chiusura estiva il 10 luglio che – ironia della sorte – toccherà all’Emilia Romagna, regione recentemente martoriata dall’alluvione. IT Alert, fanno sapere dalla Protezione Civile, “potrebbe raggiungere i territori interessati” da “gravi emergenti e imminenti catastrofi” ma, una volta arrivata la notifica, spetterà al cittadino cavarsela. L’app infatti, spiega la Prociv nella cartella stampa inviata ai giornalisti, “non fornisce indicazioni rispetto all’esposizione individuale al rischio“.
Ma, allora, a cosa serve in realtà? E in che modo inciderà positivamente sulle “imminenti catastrofi” quali – mano all’elenco ufficiale – maremoto da sisma, collasso di grande diga, attività vulcanica, precipitazioni intense e incidente nucleare? Tutto molto rasserenante, non c’è che dire. Ma se, anziché “inculcare la cultura del rischio” si iniziasse ad amministrare e a curare il territorio in maniera tale da prevenire i danni a cose e persone? E’ pur vero che, a quel punto, organismi costosi come la protezione civile non avrebbero più motivo di esistere.
CONTROLLO
La boutade di Butti: per curarsi, votare e guidare servirà l’app IO
Lo abbiamo già scritto: anche il governo Meloni ha il suo “Colao”, laddove il termine più che un cognome è un eufemismo per indicare una persona votata alla digitalizzazione a tutti i costi, proprio come l’ex ministro all’Innovazione del governo Draghi. E’ Alessio Butti, zelante sottosegretario all’Innovazione tecnologica strappato alla politica locale per far sì che portasse a termine l’Agenda tech scritta dai piani alti. Unico vincolo: nessun apporto originale ma tanta adesione – a secchi – verso i dettami che provengono dall’Europa e dai vari forum che contano. Testa bassa e fare (solo ed esclusivamente) quanto è richiesto.
E’ in questo contesto che nascono idee – se così si possono definire – come quella di subordinare all’utilizzo di un app la possibilità di accedere a cure, di guidare e di andare a votare. Proprio così, perché Butti e il governo Meloni sono al lavoro per inserire la tessera elettorale, la patente di guida e la tessera sanitaria direttamente nell’App IO. Che è, per chi non lo ricorda, la controversa applicazione introdotta dal governo Conte e bocciata dal Garante per la Privacy, ma poi riesumata dai governi Draghi e Meloni. Ci sarà libertà di scegliere tra un documento cartaceo e la sua versione digitale? Non è dato saperlo, e quel poco che si sa è emerso nel corso di un’audizione sulla digitalizzazione della pubblica amministrazione che si è tenuta negli scorsi giorni presso la Camera dei Deputati.
“Entro la fine dell’anno prevediamo un ulteriore importante cambiamento positivo per la vita quotidiana di tutti gli italiani. Se così sarà, saremo anche tra i più virtuosi in Europa, anticipando il percorso previsto dalla UE per il portafoglio elettronico europeo” ha detto Butti nell’occasione. Resta da capire che fine faranno i documenti cartacei e in che modo sarà garantita la parità di fruizione dei servizi essenziali agli anziani – che spesso non hanno familiarità con i dispositivi elettronici – o ai non vedenti, che sono impossibilitati a usare gli smartphone tradizionali. E, non da ultimo, con quali modalità avverrà l’esercizio del diritto di voto, visto che il decreto-legge 1°aprile 2008, n. 49 è vieta di introdurre nelle cabine elettorali “telefoni cellulari o altre apparecchiature in grado di fotografare o registrare immagini”.