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Tre date: 1998, 2016 e 2020. Senza voler spoilerare, negli anni ’90 gli Stati Uniti vengono attraversati da uno degli scandali peggiori degli ultimi decenni. Un qualcosa che riguarda la salute dei cittadini, bene pubblico per eccellenza, messa a repentaglio dall’avvelenamento delle falde acquifere da parte di alcuni colossi industriali.

Non è la prima volta che il cinema d’autore si concede escursioni nel giornalismo d’inchiesta

Un qualcosa che resta sottotraccia e corre assieme ai rivoli di acqua sporca e nociva. Si naviga a vista, fino al 2016, quando il New York Times pubblica un articolo che svela quanto stava accadendo nell’articolo “The Lawyer Who Became DuPont’s Worst Nightmare“. Non è la prima volta che il mondo cinematografico rimane impressionato dal giornalismo di inchiesta, che purtroppo rischia sempre più l’estinzione.

Il salto di qualità di Ruffalo: da Hulk a “Spotlight” e “Cattive acque”

È già accaduto con Spotlight, dove si è affermato lo stesso Mark Ruffalo che oggi, 2020 (e siamo alla terza data) firma un’interpretazione magistrale in “Cattive acque”. Ruffalo – attore Italo-americano che il grande pubblico conosce per gli Avengers e i Marvels, in definitiva per essere il supereroe Hulk – si è fatto ricordare per l’interpretazione di uno dei giornalisti che hanno scoperchiato gli abusi sui minori in Vaticano, e qui si sente particolarmente a suo agio. Se nei cinema purtroppo interdetti film così impegnativi esporrebbero alla sonnolenza, sui dispositivi mobile danno il meglio di sé, perché ci permettono di concentrarci sulla storia.

Un legal movie che spinge a cercare

La pellicola del regista Todd Heynes non si concede grossi voli e colpi di scena, come accade spesso nel filone dei legal movie, ma ripaga la pazienza e l’attenzione con una trama avvincente e una buona ricostruzione, abbastanza aderente alla realtà. Heynes regala uno spaccato di vita vera che rischiava di essere condannato all’oblio perché, diciamocelo, ormai si parla sempre meno volentieri di storie scomode, che però dicono la verità. La sua pellicola rimane impressa, e ci lascia con l’impressione netta di esserci imbattuti per una coincidenza fortuita in qualcosa che difficilmente avremmo trovato da soli.

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ARTE & CULTURA

Riferimenti e segreti de “L’esorcista del Papa”

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Riferimenti e segreti de "L'esorcista del Papa"

L’Esorcista del Papa non è quello che si definirebbe un horror in senso lato. Non mancano, certo, le scene con un po’ di tensione e tutto il corollario caro al genere, anche se l’effetto di alcune trovate è più comico che spaventoso. Rimane comunque una pellicola permeata di simbolismi, mistero, segreti e riferimenti a quelli che sembrano fatti di cronaca realmente accaduti, ma rivisitati in chiave romanzata.

La storia di padre Gabriele Amorth – impersonato da un inedito Russell Crowe – si apre a Tropea, in Calabria, negli anni ’70. È li che il prete si misura con il caso di possessione di un ragazzo, che risolve suscitando, però, le ire del Vaticano. Ben presto si trova infatti a dover relazionare sull’accaduto davanti a una Commissione risoluta a demansionarlo.

Non si ferma, tuttavia, la sua attività, che prosegue fino al caso più difficile. Sarà la storia di una famiglia ad allontanarlo provvisoriamente dall’Italia per catapultarlo in Castiglia, dove svelerà un segreto sepolto da secoli e si districherà in uno dei 200 luoghi sparsi per il mondo governati dal maligno.

Il film è attraversato dalla storia spesso evocata da Padre Amorth di Rosaria, una giovane cittadina del Vaticano che chiede aiuto al prete. Qualcuno ci ha visto un riferimento al caso di Manuela Orlandi, a cominciare dall’anno della scomparsa citato nel film, il 1983. Nell’Esorcista del Papa, comunque, non si segue alcuna pista ma ci si limita alle suggestioni visionarie del protagonista.

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FILM

“The Report” e l’altra faccia dell’11 settembre

“The Report” è un docufilm diretto da Scott Z. Burns che racconta senza troppi fronzoli le manipolazioni piscologiche e le torture moderne utilizzate dalla CIA contro i prigionieri di guerra rinchiusi nei cosiddetti Black sites dopo i fatti dell’11 settembre. Senza fronzoli perché a guidare la narrazione è l’adesione scrupolosa ai fatti e ai documenti della storia recente

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"The Report" e l'altra faccia dell'11 settembre | Rec News dir. Zaira Bartucca

“The Report” è un docufilm diretto da Scott Z. Burns che racconta senza troppi fronzoli le manipolazioni piscologiche e le torture moderne utilizzate dalla CIA contro i prigionieri di guerra rinchiusi nei cosiddetti Black sites dopo i fatti dell’11 settembre. Senza fronzoli perché a guidare la narrazione è l’adesione scrupolosa ai fatti e ai documenti della storia recente. Tra piloni di scartoffie, in una stanza sotterranea con una squadra ridotta all’osso, si muove Daniel J. Jones, investigatore del Senato degli Stati Uniti presentato con il suo vero nome e la sua vera qualifica.

Il film ne racconta le vicende che lo hanno portato a confrontarsi con una realtà fino a quel momento sommersa. Dopo una rapida scalata all’interno dell’FBI e di altri organismi di Intelligence, diventa assistente della senatrice Dianne Feinstein, democratica a suo agio nel suo ruolo di potere, oggi 89enne. Negli anni riesce a scalfirne riserve e il clima di protezione di agenti colpevoli di crimini atroci, di torture e di manipolazioni che Jones porterà allo scoperto grazie a un lavoro certosino lungo anni. Svelerà, alla fine, in cosa consistevano i fantomatici “interrogatori avanzati”.

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FILM

In “Memory” la piaga del traffico umano di minorenni negli USA

La storia ha come protagonista Alex Lewis (Liam Neeson) e come eminenza grigia Davana Sealman, una Monica Bellucci senza scrupoli convinta dell’utilità della manipolazione genetica: “Il DNA è un algoritmo”, dice mentre si fa curare dal medico che oltre alla situazione salutare ne custodisce i segreti peggiori. E’ lei il caposaldo della tratta minorile in cui Alex, sicario con un suo codice etico, si ritrova immischiato suo malgrado

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Liam Neeson "Memory", il film che racconta la piaga del traffico umano di minorenni negli USA | Rec News dir. Zaira Bartucca
Oliver Hardt/Getty Images

Il 2022 è stato l’anno della ripresa cinematografica post-covid, complici il ritorno del pubblico nelle sale e alcune iniziative culturali. Se si getta l’occhio sulle produzioni nel loro complesso, si nota che ci sono sempre più film realistici o con riferimenti precisi all’attualità. Il 15 settembre per esempio è uscito nelle sale “Memory” che non è, come si può pensare al primo impatto giudicando dal titolo, un thriller psicologico.

La storia ha come protagonista Alex Lewis (Liam Neeson) e come eminenza grigia Davana Sealman, una Monica Bellucci senza scrupoli convinta dell’utilità della manipolazione genetica: “Il DNA è un algoritmo”, dice mentre si fa curare dal medico che oltre alla situazione salutare ne custodisce i segreti peggiori. E’ lei il caposaldo della tratta minorile in cui Alex, sicario con un suo codice etico, si ritrova immischiato suo malgrado per una serie di regolamenti dei conti.

"Memory", il film che racconta la piaga del traffico umano di minorenni negli USA | Rec News dir. Zaira Bartucca

Il suo è un cammino irrequieto che attraversa tutto il Texas e il Nuovo Messico, alla ricerca di magnati disumani e di fili da riagganciare al meglio delle sue possibilità: non deve combattere solo con i trafficanti, ma con una memoria che si fa sempre più fievole a causa dell’avanzare dell’alzheimer. Nella lotta non è solo come crede: anche l’agente Serra (Guy Pearce) con due sottoposti cerca di mettere insieme i pezzi, contravvenendo agli ordini dei vertici dell’FBI che vorrebbero insabbiare tutto.

Abituato a uccidere per lavoro, Alex Lewis cambierà pelle e si dimostrerà più umano dei criminali quando capirà che a essere immischiati nei loro giri ci sono malcapitati minorenni. Risoluto, a quel punto, a fare giustizia a suo modo, si trasformerà in una sorta di eroe-punitore che salva e fa soccombere allo stesso tempo.

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FILM

Virus e biolab militari nella pellicola svedese “Granchio nero”

Opera prima per lo scrittore Adam Berg, che dopo alcune esperienze con i cortometraggi ha confezionato un film di azione denso di tensione, drammatico e a tratti inquietante, che però lascia spazio a una speranza finale

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Virus e biolab militari nella pellicola svedese "Granchio nero" | Rec News dir. Zaira Bartucca

Un futuro catastrofico caratterizzato dalla guerra, civili ridotti in cattività e un team di militari selezionati costretti ad attraversare il mare ghiacciato per portare a compimento una missione riservata. Sono i tratti salienti di “Granchio nero”, pellicola svedese del 2022 di Adam Berg. E’ l’opera prima per lo scrittore, che dopo alcune esperienze con i cortometraggi ha confezionato un film di azione denso di tensione, drammatico e a tratti inquietante.

Non è dato sapere con precisione in che periodo storico e in quale contesto geografico agiscano i personaggi: quel che è certo è che si tratta di un Paese nordico e che socialmente ed economicamente non va tutto alla grande. Berg tesse una trama fitta che incrocia la storia di Caroline Edh e di sua figlia con l’evolversi del viaggio suicida che solo alcuni riusciranno a portare a termine, anche se a caro prezzo. La cosa surreale: i militari si lanciano sul mare ghiacciato a bordo di semplici pattini, perché le lastre di ghiaccio sottile a stento reggono il peso di una persona e del equipaggiamento che pesa venti chili.

Li spinge a fare la traversata il trasporto eccezionale di due capsule di cui non conoscono il contenuto, che devono proteggere a costo della vita. Iniziano a titubare quando comprendono che stanno rischiando tutto per proteggere un virus che, scoprono, i loro superiori vogliono venga usato per decimare gli internati nei campi di smistamento. Lì c’è (forse) la figlia di Caroline, e lì è finita la protagonista quando è stata strappata dalla sua routine familiare ed è stata costretta ad arruolarsi. Il finale è realmente degno di un action, e forse è l’unica cosa che poteva essere pensata in maniera più originale. Si svolge in un bio-laboratorio ad alto livello di sicurezza e nonostante le atmosfere cupe e le scene a volte cruente consegna una speranza allo spettatore.

Virus e biolab militari nella pellicola svedese "Granchio nero". La recensione | Rec News dir. Zaira Bartucca

Edh, di nuovo decisiva, ormai stravolta nel suo essere e nella sua umanità dopo l’esperienza bellica e dopo il viaggio che travalica i limiti del sopportabile, non ha più nulla da perdere e si concede l’ultimo gesto eroico che salverà la vita di migliaia di persone.

Rec News dir. Zaira Bartucca – recnews.it

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