Cosa fa l’opposizione mentre Conte calpesta i diritti costituzionali?
Che fanno Salvini, Berlusconi e Meloni mentre agli italiani è vietata la circolazione, il culto religioso, la libera espressione e perfino, il diritto al lavoro sancito dall’Art. 1 della Costituzione? C’è davvero una situazione tale da giustificare questi eccessi? Grazie a scusanti, del resto, si è insediata ogni dittatura
In appena un mese, la furia rovinosa dei potentati si è abbattuta sui cittadini. La valanga si è portata per prima la libertà di circolazione sancita dall’articolo 16 della Costituzione. Quasi contemporaneamente, la libertà di Culto e quella di celebrare funzioni religiose sono state soppresse, nonostante tale potere di intervento – come spiega un collega di Conte – siano ad esclusivo pannaggio della Chiesa (Patti Lateranensi recepiti dall’Art. 7 della Costituzione).
Non era abbastanza, perché il polverone che si è sollevato attorno all’incoerenza dei dati e a molte ammissioni, gli omicidi di massa degli anziani nelle case di cura, i suicidi silenziosi di centinaia di italiani ridotti alla disperazione da una comunicazione che ha come obiettivo quello di gettare nello sconforto e l’implicazione nella vicenda di personaggi (peraltro amici di Conte o del pedofilo Epstein) come Bill Gates, ha reso necessario un altro tipo di intervento.
Così è arrivata la task-force che noi fin da subito abbiamo detto fosse in stile Minculpop. Mentre ieri e oggi sui social tutti si sono (finalmente) accorti che i tempi “immaginati” da Orwell sono arrivati, il nostro Saccente ci metteva in guardia una decina di giorni fa. Certo nessuno poteva sapere che si arrivasse a tanto, cioè arrivare a pensare che Google, Facebook e Whatsapp potessero decidere cosa sia informazione e cosa no.
Nessuno avrebbe mai creduto che l’Agcom (pur essendo un organismo politicizzato) avesse mai potuto sposare un progetto in cui si fa suggerire da parziali soggetti privati cosa sia vero e cosa no, per giunta con l’ausilio di personaggi come David Puente, di cui noi stessi abbiamo avuto modo di saggiare la “professionalità” quando si trovò a difendere un sito per gay senza avere la bontà di ricostruire l’antecedente. Perché il fact-checking di cui tanto si parla senza sfiorarne mai i metodi di lavoro, altro non è che una gogna dove crocifiggere i contenuti scomodi, con l’obiettivo di ridurre giornalisti e comunicatori all’auto-censura.
Per chi volesse davvero trovare la verità, sarebbe più valido affidarsi al procedimento inverso, e cioè considerare plausibile quello che i megafoni delle élite si sforzano di nascondere, bollandolo come “fake news”. Ma il giochetto ormai è bello che scoperto. Il risultato di queste incursioni nei diritti costituzionalmente garantiti, è che da oltre un mese viviamo da reclusi mentre si tenta di far uscire i carcerati e Speranza e Lamorgese danno il via libera all’ingresso di chiunque; siamo terrorizzati da un virus uguale ad altre centinaia di migliaia, che fa meno morti di tante sostanze che ci avvelenano l’organismo più o meno consapevolmente.
Il risultato, è che a ridosso della Pasqua deve diventare una vergogna pensare al motivo della Festa e persino andare in Chiesa, perché c’è qualcuno che è sempre pronto a urlarti in faccia (con amore, per carità, mica con odio) che vuoi sconfiggere il coronavirus a suon di “superstizioni” e di rosari. Riepilogando: con la scusa del virus, siamo stati già privati di tutti i nostri diritti fondamentali, e senza che nessuno dall’opposizione fiatasse. La storia ci dice che ogni dittatura si è instaurata con delle scusanti come pretesto, a causa della mancanza di una sollevazione popolare e – anche – con le opposizioni che si accontentavano delle briciole buttate a terra.
Quindi in un momento così tragico, Salvini è ben lieto di raccattare lo sgravio dell’Iva dalle bollette di luce e gas, che tanto torna comodo alla multiservizi di cui è azionista, peraltro impegnata in attività di sanificazione. La Lega è ben contenta di presentare emendamenti in cui si mettono a riparo i dirigenti sanitari e tutti, indistintamente, sono entusiasti per aver annullato i FOIA, che consentiranno di nascondere responsabilità a vario titolo. Occhio non vede e cuore non duole. Diventa invece giusto perseguitare cittadini incensurati con ondate di denunce e multe. Pensare che nessun governo si è mai mosso con tale impiego di uomini e mezzi contro la criminalità organizzata, piaga che l’Italia si trascina da decenni nascondendosi dietro le scusanti più varie.
Invece è facile trattare da criminale una madre che porta a fare una passeggiata all’incolpevole figlio, qualcuno che vuole fare jogging dopo che ha tenuto gli arti inferiori immobili per settimane, chi – semplicemente – vuole vedere il sole. No. Si deve stare tra quattro mura e occupare il tempo a pulire ossessivamente o a cantare dai balconi (attenzione: mai a leggere, soprattutto chi si permette di dissentire al Consiglio dei Grandi Saggi) imparare ad odiare gli assembramenti (gli stessi che hanno fatto nascere i gilet gialli o la rivolta degli ombrelli ad Hong Kong) diventare una cosa sola con i nostri dispositivi, cancellare le attività commerciali e ordinare da cataloghi annullando ogni pericoloso contatto umano.
Meloni? Le basta cavalcare l’onda e concentrarsi sulle certificazioni con cui si escludono i fascisti, roba prettamente nazional-popolare che da un lato e dall’altro serve a distogliere dai veri problemi e a far scaricare un po’ di sdegno. Berlusconi è scappato in Francia e, da imprenditore, non sembra essere impensierito più di tanto dal fatto che le piccole e medie imprese usciranno distrutte dall’emergenza costruita. C’è qualcuno che sia in grado di avere uno scatto d’orgoglio verso l’Ue che possa andare al di là della presa per i fondelli di Salvini, che dovrebbe sapere che l’Italia non può uscire dalle logiche di Bruxelles tramite referendum ma solo ridiscutendo i trattati che la tengono legata?
C’è speranza in uno scenario catastrofico in cui i lacché dei potenti (di qualunque colore politico) invitano alla diffidenza anziché all’aiuto reciproco? C’è da credere che si possa tornare alle proprie vite mentre tutti dicono che nulla sarà più come prima per giungere a quella tabula rasa dove si può “ricostruire” macchiandosi (legalmente) di ogni sorta di abuso? Si può cambiare individualmente qualcosa e opporsi alla censura, pur sapendo che la prima agenzia di stampa italiana, l’Ansa “2030”, prende ordini dall’Onu? Si può, ma è possibile solo giocando d’anticipo. Dopo, care opposizioni, sarà impossibile dire no. E l’Italia allo stremo che si regge sui cadaveri di poveri e anziani sarà anche colpa vostra. Il denaro, a volte, non vale i morsi assillanti della coscienza – per chi ce l’ha – e tanto varrebbe, qualche volta, essere ricordati per un gesto coraggioso in vista del bene comune, anziché per i soliti egoismi e interessi particolari.
OPINIONI
“I poveri mangiano meglio dei ricchi”. Sia data a Lollobrigida la possibilità di provare i benefici dell’indigenza
“In Italia abbiamo un’educazione alimentare interclassista: spesso i poveri mangiano meglio, perché comprano dal produttore e a basso costo prodotti di qualità”. Lollobrigida lo ha detto davvero e, del resto, eravamo già a conoscenza delle qualità del ministro-cognato. E’ davvero una fortuna, non c’è che dire, fare parte della singolare èlite a cui si riferisce il ministro delle Politiche agricole, che è stata fotografata dall’Istat in maniera impietosa.
In Italia quindi a sentire il nipote della compianta Gina Lollobrigida esistono milioni di privilegiati che possono comprare le carote direttamente dai contadini, e che – contemporaneamente – hanno la fortuna di mandare i figli a scuola senza colazione, perché non possono permettersela. Che non hanno un lavoro, fanno fatica ad arrivare alla fine del mese e, ormai, devono scegliere tra il pagare la benzina e le bollette e tra il mettere il piatto in tavola.
Per questo c’è da dire grazie anche al governo di cui fa parte il ministro Lollobrigida che, al pari di quelli che li hanno preceduti, non ha la volontà o le competenze per portare l’Italia al di fuori del limbo economico a cui l’ha condannata l’Unione europea. Ma vuoi mettere, in ogni caso e pur nelle ristrettezze, il vantaggi di avere il contadino sempre lì, quasi onnipresente, che ti spaccia il poco che puoi permetterti a prezzi contenuti con un’attenzione particolare ai nutrienti presenti nella dieta mediterranea?
Sono lussi che Lollobrigida – adottato dalla politica fin da ragazzo – dovrebbe provare almeno una volta nella vita. Come accade in alcuni film, dovrebbe scambiare un mese della sua esistenza con qualcuno preso a caso dal Paese reale. Lasciargli il posto di frequentatore di ristoranti gestiti da chef stellati e catapultarsi all’interno di una famiglia come tante, a mangiare i piatti poveri della cucina italiana per l’occasione elogiati da Vissani. Che saranno gustosi e nutrienti e piacevoli da mangiare, ma quando si è liberi di farlo. Quando, cioè, non rappresentano l’unica possibilità.
Chissà che non ci si possa giovare dello scambio di identità e non si possa avere un ministro dell’Agricoltura – anche se per un periodo limitato – che sa di cosa parla e che si occupi dei veri problemi che il suo dicastero dovrebbe risolvere.
OPINIONI
Che orrore parlare di maternità “solidale” e “commerciale”
La si chiami GPA – gravidanza o gestazione per altri – maternità surrogata o utero in affitto, il risultato non cambia. Si tratta di una pratica grazie al Cielo illegale in Italia, che in altri Paesi – purtroppo – si continua a praticare. Portando con sé il suo strascico di sofferenze: quelle di una donna trattata come un’oggetto o come incubatrice, indigente e costretta dalle vicissitudini della vita a dare alla luce un figlio o una figlia che non potrà crescere e da cui dovrà separarsi.
Oppure le sofferenze riconducibili all’applicazione di questa pratica barbara, che spesso avviene in cliniche degli orrori di cui ci siamo già occupati. Ancora, le sofferenze a cui incorrono i nati da GPA, impossibilitati come sono a sapere chi sia la loro vera madre e, dunque, condannati ad avere un’identità a metà.
Un quadro ancor più desolante se si pensa che tutto ciò avviene in tempi in cui della condizione della donna si fa una bandiera, per poi tralasciare deliberatamente episodi di sfruttamento come questi. Non solo. C’è chi addirittura ci tiene a operare i doverosi distinguo, parlando di GPA “solidale” e “commerciale”. L’articolano in questi termini ormai tutti i media mainstream, le associazioni e anche alcuni partiti, facendo un po’ il verso alla legislazione britannica che da tempo permette la surroga “altruistica”, con tanto di “rimborsi” e compensi ammessi.
Questo per rispondere al tentativo – promosso da Fratelli d’Italia – di rendere l’utero in affitto reato universale. E’ di ieri la notizia del primo via libera della Camera alla proposta di legge della deputata Carolina Varchi. A guardarla di fretta ce ne sarebbe abbastanza per esultare. Ma prima di farlo bisognerebbe domandarsi cosa rimarrà, alla fine di tutto l’iter, di questa proposta di legge.
Ci si deve anzitutto augurare che non sia l’ennesimo cavallo di Troia per trasformare quello che oggi è un reato in una pratica da sfaldare, un domani, con una modifica dopo l’altra alla legge che sarà, oppure con la solita serie di sentenze strumentali che spesso si antepongono alle stesse leggi.
E’ forse in questo contesto che va inserito un dibattito preparatorio e una propaganda che cerca costantemente di avvicinare e rendere familiari determinati argomenti. Senza, si badi bene, mai demolirli, criticarli e chiamarli con i giusti termini, che sono quelli che non ammettono sfumature di sorta.
In questo intreccio sembrano muoversi, con gli stessi identici fini, sia i cerchiobottisti che quelli che danno platealmente all’utero in affitto una connotazione solidale e, dunque, in fin dei conti accettabile e positiva.
La GPA rimane comunque commerciale anche quando è altruistica (perché comunque prevede un pagamento e, letteralmente, la vendita del malcapitato bambino) ma per convenienza viene chiamata in un altro modo, così da darle un valore etico e morale che venga accettato dai più distratti. Che, spesso, non sanno nemmeno cosa si celi dietro determinati acronimi o dietro gli slogan della politica.
Se fa orrore l’idea di arrivare a commercializzare anche la Vita che nasce? Ovviamente sì, o, almeno, alle persone normali o per intenderci umane dovrebbe farne. Eppure l’opera di sdoganamento continua imperterrita senza che nessuno batta ciglio, anzi a utilizzare questi termini spesso sono proprio quelli che dicono di battersi contro l’utero in affitto.
OPINIONI
È morto Berlusconi, ma non il berlusconismo
Berlusconi non lascia solo un impero finanziario e un partito in cerca di leader. Se il lascito morale è stato quasi nullo, tanto è stato quello pratico. All’ex fondatore di Forza Italia devono praticamente tutto uno stuolo di politici rampanti strategicamente posizionati (che già sgomitavano dalla fondazione del Popolo delle Libertà e oggi si trovano a essere ministri e sottosegretari) e volti noti del giornalismo mainstream.
Se, dunque, è morto Berlusconi, lo stesso non si può dire del berlusconismo. Una sorta di movimento parallelo – sia esso sincero o fieramente utilitaristico – in cui militano decine di attivisti, che oggi comunque potrebbe avere vita più difficile. Lo raccontano le ultime considerazioni del senatore Gianfranco Micciché, che già dà il partito per estinto, ma anche le tensioni che si rincorrono per le varie successioni.
Una delle foto di rito del IV governo Berlusconi. A sin. l’attuale premier Giorgia Meloni (allora ministro alla Gioventù), al centro l’attuale governatore del Veneto Luca Zaia e poco distante l’attuale ministro per gli Affari europei Raffaele Fitto. A sinistra, l’attuale presidente del Senato Ignazio La Russa
Piaccia o meno la sua figura, Berlusconi – uomo controverso che ha incarnato lo spirito italiano con i suoi pregi e difetti – ha rappresentato un pezzo di storia nazionale e internazionale. Uomo visionario e di sistema, il suo approccio ha avuto impatto sul mondo produttivo, sul mondo dell’informazione e sul costume. A conti fatti, sulla società stessa, (purtroppo) riscritta e riprogrammata dai codici della tv commerciale. E’ questo, forse, il lascito più pesante.
Se c’è, infatti, una cosa che dovrebbe estinguersi del berlusconismo, è l’idea malsana che tutto l’illecito può diventare lecito dopo il giusto trattamento, nonché quel fardello che continua a gravare sull’autonomia di certi giornalisti e comunicatori che non sanno o non vogliono scrollarsi di dosso quel piglio di referenza verso il padrone che li ha portati a occupare i posti che occupano, tralasciando questioni di capitale importanza come la libertà di stampa e i diritti di critica e di cronaca.
Non è, certo, questo, il tempo della critica o peggio dell’odio fine a sé stesso che sta eviscerando chi non riesce ad avere rispetto nemmeno davanti alla morte. Ma dovrà di certo venire il tempo dei bilanci, e se è vero che Berlusconi ha avuto impatto sulla storia dei partiti e dell’Italia – un Paese che ha tentato di plasmare e ridurre a sua immagine e somiglianza – lo è altrettanto che chi si interfaccia con il centrodestra merita di più di un esercito di Yes man che in queste ore ricordano i personaggi in cerca di autore di pirandelliana memoria.
OPINIONI
Alluvione in Emilia, l’ipocrita circo mediatico per nascondere la verità
E’ un bilancio da guerra quello dell’ultima alluvione in Emilia Romagna. Un copione destinato a ripetersi ancora e ancora, una volta in questo pezzo d’Italia e una volta in quell’altro
Quattordici morti e 36mila sfollati. Abitazioni, strutture, aziende, fabbriche e campi da coltivazione distrutti, con il fango che inghiotte tutto e porta con sé devastazione e precarietà. E’ un bilancio da guerra quello dell’ultima alluvione in Emilia Romagna. Un copione destinato a ripetersi ancora e ancora, una volta in questo pezzo d’Italia e una volta in quell’altro, perché i miliardi stanziati dai vari governi per mitigare gli effetti del dissesto idrogeologico – sia esso frutto di comportamenti umani irrispettosi o di eventi naturali – non vengono mai impiegati dove servono.
Costruzione di dighe di contenimento, pulizia degli argini di fiumi e torrenti, prevenzione dell’abusivismo e suoi rimedi: nonostante le iniezioni continue di denaro (tanto), è ormai abitudine consolidata trascurare tutto, perché tanto poi a danni fatti si mette in moto la solita macchina dell’emergenza. Dopo l’acqua iniziano a piovere i miliardi, inizia il “magna magna” di chi controlla il business della solidarietà e si fa a gara a chi è più bravo a dire la frase a effetto per sostenere le popolazioni colpite, a chi fa la donazione più cospicua o a chi si intesta il gesto più eclatante.
Tutto doveroso, sia chiaro, ma non saranno certo 900 euro a testa o la premier in stivali a riportare in vita quattordici persone, oppure a restituire ai romagnoli le attività andate distrutte, forse per sempre. Senza contare che il circo mediatico che si è attivato fin da subito è tuttora teso a nascondere quello che conta davvero: le responsabilità. Quelle che negli ultimi anni – stando ai dati pubblicati da Legambiente – hanno fatto registrare dal 2010 a oggi 510 eventi alluvionali (per contare solo quelli censiti), con i relativi danni a cose e persone.
Si poteva evitare tutto questo? Di chi è la colpa? Cosa è mancato e continua a mancare? Cosa non hanno fatto e cosa hanno sbagliato gli enti che negli anni hanno amministrato i territori colpiti? E ancora: come evitare che catastrofi del genere si verifichino di nuovo? Perché se le alluvioni in Italia sono diventate la “nuova normalità” – per rubare un’espressione usata in epoca covid – si deve pensare che esista una certa volontà o quantomeno una qualche tolleranza verso questi fenomeni assolutamente prevedibili ed evitabili. Si sa che prima o poi pioverà, e oggettivamente esistono modi anche sofisticati per verificare se il territorio è pronto a gestire eventi piovosi di una certa portata. Se non lo è, basta intervenire, senza aspettare nuovi danni.
Scomodare il cambiamento climatico o “la siccità che rende i terreni impermeabili” non basta più, sono scuse che non possono reggere a lungo e soprattutto non possono bastare a chi ha perso tutto, tanto più che se le alluvioni in Europa sono un costume nazionale prettamente italiano un motivo ci deve essere.