DOC
La Cina, l’Università di Pennsylvania e la denuncia che inguaia Hunter e Joe Biden
Una ragnatela di finaziamenti anonimi provenienti dalla Cina, il tentativo di “turbare gli equilibri democratici”, pesanti infiltrazioni nel mondo accademico della Pennsylvania – Stato ora al centro dei presunti brogli elettorali – e un enigmatico “progetto Truman” avrebbero caratterizzato l’attività politica del senatore dem appena proclamato presidente. E’ quanto si desume da un’articolata denuncia inoltrata da un organismo di vigilanza americano – il National Legal and Policy Center – firmata dal Senior Fellow della Conferenza Amministrativa degli Stati Uniti Paul D. Kamenar e indirizzata alla Divisione Sicurezza Nazionale del FARA, che tra le altre gestisce l’archivio degli agenti che operano sul territorio americano per conto di altri Stati.
“I Biden sono agenti che agiscono per conto di un Paese straniero”
Il 31 ottobre scorso – poco più di una settimana fa – Kamenar denunciava a John C. Demers, Assistente Procuratore Generale per la sicurezza nazionale, una serie di problematiche e ingerenze politiche che dopo la proclamazione da parte dei media della controversa vittoria di Biden, non possono che assumere contorni inquietanti. “Caro Signor Demers – scrive Kamenar – il National Legal and Policy Center (NLPC) presenta questa denuncia contro Hunter Biden, il Truman National Security Project, l’Università della Pennsylvania e la sua Penn Biden Center for Diplomacy and Global Engagement, perché c’è ragione di credere che uno o più di loro o dei loro agenti potrebbero non essere riusciti a registrarsi come agente straniero sotto il Foreign Agent Registration Act per quanto riguarda le loro attività politiche per conto di un paese straniero”. I Biden avrebbero cioè svolto attività di “cospirazione”, si legge più avanti, per conto della Cina e dell’Ucraina di Poroshenko e contro l’equilibrio democratico degli Stati Uniti, intascando somme importanti e focalizzandosi sull’obiettivo di una elezione alle presidenziali che doveva avvenire a tutti i costi per conto dei padroni di Pechino e nell’interesse specifico dei magnati ucraini del gas legati a doppio filo ad Hunter Biden. Voti o non voti.
Il “cachet” di quasi un milione per l’apparizione di Joe Biden e i reati contestati ad Hunter e soci
“NLPC – prosegue il funzionario – richiede perciò un’indagine completa di questa materia, che riteniamo possa portare ad altre violazioni civili o penali della legge federale, tra cui cospirazione, riciclaggio di denaro, evasione fiscale e frode telematica, che potrebbe essere state commesse da Hunter Biden e dai suoi soci, compreso suo zio James Biden, e suo padre Joe Biden”. Buona parte del tutto – riferisce il documento di 13 pagine di cui siamo entrati in possesso – circostanziato in un denuncia al Dipartimento della Pubblica Istruzione datata 25 maggio, in cui veniva chiesta un’indagine sulla ricezione di 67 milioni in donazioni anonime provenienti dalla Cina, indirizzate all’Università della Pennsylvania e avvenute dal 2017 al 2019″. Una, la più cospicua, di 14,5 milioni, del 29 maggio 2018. “Alcuni fondi – scrive ancora Kamenar – sono stati probabilmente incanalati al suo Penn Biden Center for Diplomacy & Global Engagement per pagare Joe Biden circa 900.000 dollari per alcune apparizioni che ha fatto prima di annunciare la suo candidatura alla presidenza il 25 aprile 2019″.
Burisma, Hunter Biden e China Energy, il conglomerato che teneva in piedi i rapporti tra i dem il regime di Xi Jinping
“Ci sono prove – scrive ancora Kamenar – che Hunter Biden ha tentato di influenzare suo padre, poi vicepresidente, Joe Biden e altri funzionari federali, per promuovere direttamente o indirettamente la politica o gli interessi pubblici di entità straniere, tra cui Burisma in Ucraina e CEFC China Energy Co., un conglomerato cinese il cui presidente aveva legami con il regime comunista di Pechino e in cui Hunter Biden aveva una quota finanziaria lucrativa. La denuncia del funzionario si basa sulle prove trovate nel disco rigido del laptop di Hunter Biden, che è stato nelle mani dell’FBI da dicembre 2019. Qui sono state trovate mail incriminanti e messaggi di testo, come riportato dal New York Post. Kamenar prosegue menzionando il rapporto del Dipartimento della Sicurezza Nazionale del Senato e delle Commissioni Finanze che evidenziano i rapporti commerciali esteri di Hunter Biden con persone vicine a Ye Jianming, già ufficiale di un gruppo che fa parte del PCC.
Sleepy Joe era nascosto dietro il soprannome di “Big Guy”. A lui il 10 per cento di una tangente milionaria
La denuncia di Kamenar si interseca anche con la vicenda di Tony Bobulinsky, il nebbioso consulente e socio in affari di Hunter Biden spesso menzionato in concomitanza dei file incriminati trovati sul pc del figlio di Biden. Secondo lui” il ragazzone”, “il mio ragazzo”, o “il presidente”, erano i vezzeggiativi che Hunter usava per chiamare il padre. “Lo chiamava così – scrive Bobulinsky – quando chiedeva consigli o informazioni su offerte che dovevamo discutere”. L’identità viene confermata grazie a un messaggio del 17 maggio del 2017, che figura tra quelli resi noti dal NYP. E’ la stessa mail a raccontare di un’offerta di “3 milioni all’anno”, frutto di un contratto informale tra i democratici e un Ye “con profondi legami con il Partito Comunista Cinese”. Il regime si sarebbe infiltrato – analizza NLPC – grazie alla tangente milionaria che prevedeva una quota per Joe Biden. “Il 10% – scrive Kamenar – era stato contrassegnato per essere messo da parte per lui. Joe Biden non ha negato di aver ricevuto denaro dalle offerte relative agli affari esteri di suo figlio, solo che non ha ricevuto alcun denaro direttamente da fonti estere. La campagna di Biden ha semplicemente detto che le sue dichiarazioni dei redditi non mostrano che ha ricevuto fondi da suo figlio. In primo luogo, l’omissione sulle dichiarazioni dei redditi di qualcuno non è una prova che non c’è stato guadagno. Ciò costituirebbe evasione fiscale. Inoltre, se i fondi o azioni degli interessi finanziari di Hunter a suo padre erano regali, non sono reddito dichiarabile dal destinatario. Invece, il donatore è soggetto a imposta regalo a seconda della quantità. Insomma, le dichiarazioni dei redditi di Biden sono egoistiche. Di conseguenza, vi è motivo di credere che Hunter Biden non sia riuscito a registrarsi come agente estero sotto il FARA, segnalando i suoi rapporti con Burisma e CEFC China Energy”.
I 67 milioni provenienti dalla Cina ricevuti dall’Università di Pennsylvania
“Dal 2013 al 2019, inoltre – evidenzia ancora Kamenar – l’Università della Pennsylvania ha ricevuto più di 67 milioni dalla Cina. Più significativamente, dopo che il Penn Biden Center ha aperto le porte qui a Washington, D. C., il febbraio 2018, i regali della Cina si sono fatti ancora più frequenti, tra cui un singolo anonimo regalo pochi mesi dopo il 25 maggio 2018 per un’enorme cifra di 14.5 milioni di dollari. I regali sono continuati dopo che Biden ha annunciato la sua candidatura alla presidenza il 25 aprile 2019”. A questo punto il funzionario riporta la seguente tabella riassuntiva:
2017: Totale :7 7,734,790 Anonimo: $500,000
2018: Totale: $27,104,246 Anonimo: $15,800,000
2019: Totale: $26,947,074 Anonimo: $6,004,975
“L’Università della Pennsylvania – continua Kamenar – ha rifiutato di rivelare la fonte di queste donazioni anonime, o qualsiasi documento associato a questi doni o contratti. Sia Penn che il Penn Biden Center sono particolarmente vulnerabili alle influenze cinesi a causa di queste grandi quantità di donazioni e contratti. Ad esempio, Penn Global ha sponsorizzato il quarto simposio annuale del Penn China Research il 31 gennaio 2020. Il simposio ha incluso le osservazioni di apertura dell’Ambasciatore Huang Ping, Console Generale della Repubblica Popolare Cinese a New York. Almeno uno dei relatori al simposio era del Penn Biden Center. Non ci può essere dubbio – rileva il firmatario della denuncia contro Biden e soci – che le fonti cinesi hanno finanziato il simposio”.
Il summit sul Covid che svela la linea filo-cinese del mondo accademico vicino ai Biden
Il summit avveniva inoltre “al culmine della copertura della Cina come fonte della pandemia di Covid”, con un paradosso di fondo: “Mentre il Penn Biden Center attaccava pubblicamente l’Ungheria e la Polonia, alleati NATO degli Stati Uniti, per la loro gestione del virus tacciando i loro interventi come antidemocratici, né Penn né il Penn Biden dicevano una sola parola sulla Cina. La Cina comunista è tutt’altro che democratica, poiché punisce il dissenso nel suo paese e ad Hong Kong, e incarcera fino a un milione dei suoi cittadini che fanno parte della minoranza uigura. In breve, l’unità FARA del Dipartimento di giustizia dovrebbe indagare su Penn e il Penn Biden Center per determinare se ci sono state condizioni esplicite o implicite associate ai 67 milioni in donazioni e ai contratti dalla Cina, o un’intesa generale, o entrambi, riconducibili alla rinuncia di critiche nei confronti della Cina e delle sue politiche, o ricondicibili allo sposare certe opinioni su quel paese. Se è così – conclude Kamenar – questo costituirebbe attività politiche ai sensi della sezione 611(o) del FARA, vale a dire, qualsiasi attività che in qualsiasi modo influenza qualsiasi sezione del pubblico negli Stati Uniti con riferimento a (…) interessi politici o pubblici, alle politiche o le relazioni di un governo di un Paese straniero o a un partito politico straniero. Qualsiasi sezione del pubblico all’interno degli Stati, includerebbero ovviamente anche gli studenti e la facoltà della comunità accademica di Penn come la più grande comunità di politica estera”.
DOC
Illeciti lungo le coste, i numeri del report “Mare Monstrum”
Legambiente ha presentato il nuovo report “Mare Monstrum 2024” con i numeri degli illeciti ambientali lungo le coste italiane. Il Lazio si posiziona al quinto posto tra le peggiori regioni per numero di illeciti, con 1.529 reati in un anno: 1.626 sono state le persone denunciate, 7 quelle arrestate, 334 i sequestri effettuati, 2.450 gli illeciti amministrativi, 2.470 le sanzioni amministrative e 18.035.897. Sono complessivamente 11 ogni km di costa le infrazioni nella Regione.
“I crimini ambientali lungo le coste del Lazio mettono a dura prova la qualità del nostro mare – commenta Roberto Scacchi presidente di Legambiente Lazio –, l’attenzione va tenuta altissima contro ogni abuso edilizio che continua ad essere il reato principale, ma anche per contrastare i reflui non depurati, la pesca illegale e tutte le violazioni del codice della navigazione nel settore nautico. Con i nostri volontari e grazie alle nostre campagne, continuiamo come sempre a generare centinaia di momenti di pulizia, individuare criticità nei sistemi di depurazione, analizzare con la citizen science gli elementi di maggior impatto tra i rifiuti abbandonati; c’è però bisogno che le amministrazioni alzino l’attenzione contro gli ecoreati sul mare, senza giustificazioni o condoni come quelli che invece sta continuando a proporre il consiglio regionale e che continuiamo a ritenere un percorso devastante per l’ambiente e per la qualità della vita nei nostri territori: gli abusi vanno abbattuti e non sanati”.
617 sono infatti i reati di abusivismo edilizio, 518 sono i reati di mare inquinato da smaltimento illecito di rifiuti, scarichi illegali e maladepurazione. Sono poi 262 i reati legati alla pesca illegale con 12.596 kg di prodotti ittici sequestrati, e infine 132 sono le violazioni del Codice della navigazione e nautica da diporto. I numeri del rapporto sono elaborati da Legambiente su dati forze dell’ordine e Capitanerie di porto per il 2023.
DOC
Abbandono scolastico, audizione presso la settima commissione del Senato
Il testo dell’audizione presso la 7° Commissione del Senato che si è tenuta il 9 maggio su contrasto a povertà educativa, abbandono e dispersione scolastica
DOC
Premierato, oggi Meloni chiede le stesse cose che voleva ottenere D’Alema con la Bicamerale
Il tentativo del governo Meloni di superare l’assetto istituzionale attuale è solo l’ultimo in ordine di tempo (come spiega il professore Musacchio in un’interessante analisi pubblicata su Rec News), ma tanti ne sono stati fatti dalla cosiddetta Seconda Repubblica in poi. Farà riflettere senz’altro gli elettori di centrodestra come uno dei primi esponenti politici a volere un premierato sia stato l’ex leader della sinistra Massimo D’Alema, tesserato del PCI nel 1968 e tra i padri fondatori del Partito democratico della sinistra.
Sua l’idea – come molti ricorderanno – di instaurare nel 1997 una Commissione bicamerale per le riforme istituzionali, formata da 70 parlamentari. L’obiettivo era sempre lo stesso, e cioè accentrare ancora più poteri nelle mani del presidente del Consiglio, chiamato – tra le altre cose – a nominare e revocare i ministri a suo piacimento. L’esito della Bicamerale fu tutt’altro che scontato: i democratici di sinistra di D’Alema votarono ovviamente a favore, mentre i berlusconiani – oggi incarnati da Tajani e più vicini al premierato – votarono assieme alla Lega Nord a favore del semipresidenzialismo, come testimonia un articolo dell’epoca (in basso).
“L’Unità” del 05/06/1997
I lavori della Commissione si interruppero bruscamente un anno dopo, nel 1998, perché i partiti non riuscirono a trovare una quadra e perché le manovre di palazzo risultavano incomprensibili per l’elettorato. Un copione che potrebbe ripetersi anche stavolta.
DOC
Istat, a picco i consumi delle famiglie italiane
Forte calo della spesa delle famiglie. Lo registra Istat nella nota sull’andamento dell’economia italiana di febbraio appena pubblicata. “Lo scenario internazionale – rileva l’Istituto Nazionale di Statistica – resta caratterizzato da un elevato grado di incertezza e da rischi al ribasso. Si inizia a profilare un percorso di rientro dell’inflazione più lungo di quanto inizialmente previsto. Il Pil italiano, nel quarto trimestre 2022, ha segnato una lieve variazione congiunturale negativa a sintesi del contributo positivo della domanda estera netta e di quello negativo della domanda interna al netto delle scorte”. In basso il report integrale