INTERVISTE
Musacchio avverte: l’Italia dei dpcm, corrotta e pervasa dalle mafie è destinata a fallire
Vincenzo Musacchio è giurista, più volte professore di diritto penale e criminologia in varie Università italiane ed estere, associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark, ricercatore dell’Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra. E’ anche, ci racconta “discepolo di Giuliano Vassalli, allievo e amico di Antonino Caponnetto”. I lettori di Rec News lo ricordano anche per i suoi interessanti pareri pubblicati su questo sito. In questa intervista ad ampio respiro, il professore tasta il polso a un’Italia a forte emergenza democratica, in cui si assiste alla sistematica negazione dei diritti fondamentali, in cui la meritocrazia è bandita e dove – di contro – la criminalità organizzata e la corruzione pervadono ogni settore. Interventi mirati, tuttavia – spiega Musacchio – permetterebbero al Paese di rilanciarsi sia sul piano sociale che su quello economico.
Il suo parere di giurista: si può governare l’Italia a suon di Dpcm?
Governare con i dpcm significa che la gerarchia delle fonti vada a farsi friggere, e che con essa sia a rischio anche il principio di legalità, caposaldo di uno Stato democratico di matrice solidaristico sociale com’è il nostro. Andrebbe restituita immediatamente centralità al Parlamento, cuore pulsante di una democrazia rappresentativa come la nostra. Invece, si va esattamente nel senso contrario. Il dpcm sposta decisioni che spetterebbero al Parlamento, al Presidente del Consiglio, a un singolo ministro e addirittura ai presidenti delle regioni, segnando in tal modo, a mio giudizio, il periodo più buio del diritto costituzionale repubblicano.
E’ d’accordo con il presidente emerito della Corte Costituzionale Annibale Marini quando dice che Conte ha agito contro la Costituzione?
A mio parere (mi riferisco al dpcm del 4 novembre 2020) è palesemente incostituzionale l’esercizio di attribuzioni, così dirompenti e invasive, che consentano al Presidente del Consiglio di delegare al ministro della Salute e ai presidenti di Regione decisioni rilevanti sul destino dei cittadini, senza un atto avente forza di legge alla base di questo potere. Il dpcm è un atto amministrativo e quindi non è sottoposto al controllo preventivo e all’emanazione del Presidente della Repubblica, tantomeno al controllo del Parlamento e della Corte Costituzionale. Non è più ammissibile che decisioni così fondamentali per la nostra vita siano sottratte al Parlamento. A proposito d’ipotesi di dubbia costituzionalità, penso immediatamente alla libertà di circolazione (art. 16 Cost.) e alla libertà d’iniziativa economica (art. 41 Cost.): due libertà che possono subire limitazioni, in una situazione eccezionale come quella che stiamo vivendo, e che possono cedere il passo alla tutela della salute pubblica, ma soltanto a condizione che le limitazioni stesse siano previste dalla legge o almeno da un atto avente forza di legge. Cosa che purtroppo non sta accadendo.
Ci sono ancora garanzie per il cittadino, c’è rispetto per le libertà fondamentali o sono fondati i timori di chi pensa che con la scusa del virus ci si sia spinti troppo in là?
Guardi, qui si rischia che venga meno la certezza del diritto che consente ai cittadini di capire, di adempiere i propri doveri e soprattutto di avere fiducia che le proprie istituzioni siano radicate in quei valori costituzionali che tengono insieme la nostra convivenza ed evitano pericolosi arbitri. Stiamo correndo il rischio di abbandonare la retta via dello Stato di diritto e delle sue regole e questo può essere pericolosissimo, si rischia il caos, e noi tutti sappiamo a cosa può condurre.
La criminalità organizzata si nasconde sempre più tra i colletti bianchi. Guardando la cronaca, si nota che ormai interessa la politica, il mondo dell’associazionismo e delle cooperative, chi dovrebbe amministrare la legge. Come si risolve?
Ingenuo chi pensasse di sconfiggere il sistema mafioso solo con le forze dell’ordine e la magistratura. La prevenzione è la medicina giusta ed è il presupposto per l’efficacia della repressione. Prevenire la delinquenza comune e organizzata dovrebbe essere una priorità dell’agenda politica. Sono convinto che le politiche sociali e culturali siano il migliore strumento per sconfiggere la criminalità organizzata, purtroppo, anche queste sono di competenza della politica. Sul come uscirne fuori, mi piace molto ricordare la frase di Paolo Borsellino quando afferma che la lotta alla mafia dev’essere innanzitutto un movimento culturale che abitui tutti a sentire la bellezza del fresco profumo della libertà che si oppone al puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità. Cominciamo a impedire qualsiasi incarico politico e amministrativo a chi è rinviato a giudizio per delitti che riguardano mafia e corruzione. Sarebbe già un buon inizio.
L’Italia esce devastata da un’indagine Istat, secondo cui oltre un milione di famiglie si sono trovati coinvolti in episodi di corruzione. Denaro, regali, favori, una pubblica amministrazione tutt’altro che meritocratica. A volte, una compiacenza che coincide col non voler denunciare, magari perché si è delusi dall’atteggiamento di certa magistratura. Davvero non si può fare nulla?
I politici, sciaguratamente, con il sistema clientelare del “mangia tu e mangio io”, hanno distribuito inutili posti di lavoro e finanziamenti pubblici a pioggia e questo ha prodotto la situazione critica in cui siamo. Credo che il pericolo più grande che si corre nell’immediato sia una decrescita senza precedenti con tassi di disoccupazione altissimi e consumi ridotti al minimo. Se non s’inverte la rotta e non si va verso un vero governo di salvezza nazionale, la catastrofe potrebbe essere inevitabile. Ovviamente, questo scenario potrebbe ancora essere evitato qualora l’Italia fosse meno divisa con più persone giuste al posto giusto.
Di quali interventi legislativi ha bisogno l’Italia per migliorarsi?
Guardi, io lo dico in ogni luogo dove sono invitato a parlare. Io comincerei a occuparmi seriamente di tre problemi atavici del nostro Paese: mafie, corruzione ed evasione fiscale. Il popolo italiano deve svegliarsi dal suo lungo letargo, in alcuni casi anche di convenienza, credere nel suo potenziale e renderlo volano per una possibile ripresa economica, politica e sociale. Il Sud e il Nord non esistono poiché siamo tutti insieme un unico Paese e quest’unità potrebbe farci esprimere al meglio il nostro vero potenziale. Ovviamente a tutto questo dovrebbe aggiungersi una vera riforma della Giustizia, delle serie politiche sociali, una rivisitazione in senso pubblico della Sanità che è a pezzi e una radicale riforma della Scuola, dell’Università e della ricerca scientifica.
Lei ha un background internazionale e leggo di sue collaborazioni con importanti Istituti esteri. Fuori come vedono il “Belpaese”?
Glielo dico con un episodio realmente accaduto. Facendo parte di una commissione sulla riforma dell’art 416bis e la conseguente introduzione in ambito europeo ho contatti con alcuni colleghi tedeschi molto preparati. Uno di questi un giorno mi ha fatto comprendere quale fosse la differenza sostanziale tra l’Italia e la Germania. Concorso da primario ospedaliero in Germania. Concorrono due medici, uno bravo e uno meno bravo ma raccomandato dalla politica. Vince il più bravo e il meno bravo farà al massimo il vice primario. Concorso da primario ospedaliero in Italia: il contrario! Questo ovviamente vale in molti settori non solo nella sanità. L’Italia è vista come un paese dove la competenza e la meritocrazia contano poco. A tal proposito le dico che io stesso sono stato scelto dagli Istituti esteri (Stati Uniti e Gran Bretagna) con i quali collaboro in base alla valutazione anonima del mio curriculum. Non hanno valutato la persona ma ciò che ha fatto.
Come vede il futuro dell’Italia? E’ ottimista o pensa che gli episodi di cattiva gestione ci schiacceranno?
Non sono particolarmente ottimista perché manca progettualità. La politica pensa al presente e non al futuro di questo Paese e questo mi preoccupa moltissimo essendo genitore. Gli scenari prevedibili purtroppo credo dipenderanno molto dalla nostra classe politica e dalla sua capacità di attuare riforme indispensabili che diano fiducia a un Paese impoverito e sfiduciato. Importanti saranno anche i rapporti futuri tra gli Stati membri dell’Unione europea. Non d’importanza secondaria le trattative per una nuova visione globale degli scenari geopolitici internazionali. Abbiamo qualche chance di uscire bene da queste sfide se avremo una classe politica degna di questo nome e se avremo come faro la nostra Carta Costituzionale. Sono convinto che il futuro dell’Italia si possa costruire riscoprendo in chiave moderna la Costituzione e lo spirito dei nostri padri Costituenti.
ARTE & CULTURA
Cucinotta a Rec News: “Il mio Sud nel nuovo film da protagonista” (Video e Gallery)
Maria Grazia Cucinotta è la protagonista del nuovo film di Beppe Cino “Gli agnelli possono pascolare in pace”, presentato ieri in anteprima a Roma al Cinema Caravaggio e nelle sale dall’11 aprile. Nella pellicola ambientata in Puglia è Alfonsina, donna ingenua con abitudini singolari che a un certo punto viene colta da sogni rivelatori.
Bidella in pensione devota al culto dei cari defunti e lontana dal fratello, sarà un inaspettato incontro con il Sacro a mettere ordine in tutti quegli aspetti della sua vita rimasti in ombra, e a svelare i legami e i segreti che animano il borgo pugliese dove abita. Abbiamo intervistato Maria Grazia Cucinotta a margine della proiezione dell’anteprima romana.
Quanto c’è di lei nel film “Gli agnelli possono pascolare in pace?
Di sicuro il Sud. Il Sud mi appartiene e di conseguenza c’è molto di questo suo modo di essere. Attaccata alla terra, attaccata agli affetti, attaccata alla verità. E’ anche un personaggio molto distante. E’ una bidella che ama Pasolini e sembra uscita un po’ fuori da una favola. Anche il mondo che la circonda sembra essere uscito fuori da un piccolo metaverso che si muove in un mondo moderno.
Il film ha un messaggio particolare?
Ce ne sono tanti di messaggi, tra l’altro attualissimi. Tutte le guerre sono dettate dai confini e dal potere e un po’ questo film parla proprio di questo e al fatto che tutti i confini e tutti i pregiudizi portano alla fine alla rabbia e alla non accettazione. E’ un messaggio molto importante. Tra le risate e queste visioni c’è una grande verità.
Progetti futuri che può anticiparci?
Questo film è in uscita quindi aspettiamo di vedere come va. L’11 uscirà in tutta Italia e speriamo che la gente torni al cinema.
INTERVISTE
Reati contro i minori, intervista al ministro della Famiglia Eugenia Roccella (Video)
INTERVISTE
Ddl Nordio, Caporale: «Non libera la magistratura dai suoi mali, ma colpisce la Giustizia giusta»
Il Ddl Nordio è forse l’eredità più consistente lasciata da Silvio Berlusconi. E’ infatti figlio di un modo preciso di intendere la Giustizia, le leggi, la magistratura. Per alcuni rappresenta l’ennesimo colpo inferto alla libertà di espressione, all’autonomia dei magistrati e allo stesso cittadino, che potrebbe essere maggiormente esposto a determinate fattispecie di reato che potrebbero essere depenalizzate. Ne abbiamo parlato con il giornalista Antonello Caporale.
Il giornalista Antonello Caporale
È davvero necessario abolire l’abuso di ufficio per tutelare quei sindaci che, a sentire la maggioranza, hanno le “mani legate”?
Io penso che la riforma viva di un bisogno ideologico. Anziché definire ulteriormente un reato che, è vero, è molto vago, lo hanno tolto di mezzo. Così facendo hanno mostrato il loro intento, che è quello di sminuire ulteriormente la magistratura.
Nordio è un ex magistrato.
Ma è come quei tabagisti che fumano, smettono poi finiscono con l’odiare le sigarette. Nordio è un magistrato ma odia i magistrati, ha utilizzato in modo massiccio le intercettazioni e da ministro le ha tagliate. Si è sempre proposto come l’alfiere della magistratura di destra ma dice che i magistrati fanno politica. La sua sembra una vita capovolta. C’è un’idea di fondo ideologica prima ancora che giudiziaria. E’ la stessa cosa che ho visto con la dichiarazione del lutto nazionale, che come sai viene dichiarata dal governo utilizzando la sua discrezionalità. In genere si fa per i martiri della mafia, ma in questo caso hanno voluto elevare la figura di Berlusconi.
Farà la fine di Craxi, un altro personaggio controverso che con il passare degli anni è diventato un’eroe nazionale. Si può dire che la Riforma Nordio sia un po’ l’ultimo lascito di Berlusconi, cioè la manifestazione ultima di un certo modo di intendere la Giustizia?
Possiamo anche dire per principio che i reati, la criminalità non esistono, ma restano comunque. Possiamo decretare sconfitta la mafia e la ‘ndrangheta, ma il pizzo c’è. Sono azioni temerarie, protervie e ingenue.
Prima hai parlato di intercettazioni. Secondo i detrattori del disegno di legge calerà una scure ulteriore sulla possibilità di informare liberamente.
Non sappiamo ancora cosa resterà e cosa verrà buttato della Riforma, che probabilmente sarà fatta a pezzi dalla Corte Costituzionale. Ma già con il solo fatto di aver annunciato una stretta sulla intercettazioni sono stati lanciati due messaggi. Uno alla magistratura, a cui in pratica è stato detto mettetevi in fila e capite che il vento è cambiato, e uno all’informazione, a cui si tenta di dire attenzione, perché non puoi più osare come prima. La magistratura, comunque, non è esente da mali. Con la riforma non si sta liberando la magistratura del proprio conformismo, delle proprie convenienze e del fatto che ci sono magistrati che non lavorano e non sono equi, ma si sta riducendo l’ampiezza della libertà dei magistrati. Avranno più margine quelli più convenzionali e collusi, meno quelli coraggiosi che hanno voglia di fare. Se ci fai caso si parla sempre di magistrati di destra e di sinistra, ma mai di chi lavora bene e di chi lavora male.
Erano forse più questi gli aspetti da riformare.
Appunto, invece si sceglie di trascurarli. Nessuno si domanda perché uno ha fatto cinque processi e un altro 55, oppure perché con l’aumentare dell’organico delle Forze dell’Ordine non si riducono i reati. Dovremmo essere più sicuri, e invece? Immagino che non sia un lavoro certosino, organico, sistemico, ma che sia un lavoro occasionale. Faccio quello che lavora, fingo per la televisione e poi chi si è visto si è visto. Arresto chi so già che non può stare dentro, indago persone su cui non ho nulla. Ci sono poi le querele temerarie, come quelle che sono capitate a me e ad altri giornalisti, che sono azioni di parassitismo giudiziario che diventano lecite, invece non lo sono affatto. La lotta però non è contro questi mali, ma contro la Giustizia giusta.
Dal punto di vista politico pensi che la Riforma possa essere in qualche modo divisiva oppure c’è un’intesa che va al di là degli schieramenti politici?
C’è sicuramente intesa, altrimenti il codice penale non sarebbe così cavilloso. Le leggi le fa il Parlamento e c’è interesse a rendere i processi pieni di cavilli, possibilità e subordinate. La politica teme la magistratura, a volte perché esagera a volte perché è un potere che controlla.
INTERVISTE
Il racconto della figlia del 72enne di Guardia Piemontese deceduto dopo ore di odissea
Antonio Caroccia era un 72enne di Guardia Piemontese, un paesino in provincia di Cosenza, in Calabria. Riferiscono i familiari, assumeva dei farmaci ma godeva di buona salute, era attivo e non era affetto da nessuna patologia. Il 5 marzo dello scorso anno avverte un dolore all’altezza dei reni. E’ tardo pomeriggio, Antonio è vigile, cosciente, i familiari sono preoccupati ma nessuno si immagina quello che sarebbe successo da lì alle ore successive, con una diagnosi iniziale sbagliata, “circa due ore e mezzo di attesa presso il pronto soccorso della clinica Tirrenia Hospital” – racconta una componente della famiglia – assenza di ambulanze, posti letto per ottenere i quali è necessario fare opere di convincimento, esami mai giunti a destinazione. Che sarebbe successo se i medici non avessero erroneamente diagnosticato un infarto e se il signor Antonio fosse giunto subito nel reparto di Chirurgia? Secondo i familiari, il decesso forse poteva essere evitato. Una delle due figlie, Valentina, ci ha spiegato le motivazioni alla base di questo convincimento.
Lei sta portando avanti una battaglia per il riconoscimento di un caso di malasanità che potrebbe aver causato il decesso di suo padre. Ha avuto risposte dalle Istituzioni?
Il 28 marzo ho inviato una PEC al ministero della Salute, alla Procura della Repubblica presso il tribunale di Paola e Cosenza e al presidente della Regione Calabria in qualità di commissario ad acta della Sanità. Il ministero mi ha risposto l’11 aprile chiedendo alla Regione di relazionare sull’accaduto e domandando di mettermi a conoscenza degli esiti. La Regione ha scritto all’Asp di Cosenza limitandosi di fatto a fare da tramite, senza esprimersi sull’accaduto. Mi ha risposto allegando semplicemente i documenti ricevuti dall’Asp stessi, per giunta incompleti. Il tutto dopo circa tre mesi, durante i quali ho fatto numerosissimi solleciti telefonici e via mail.
Dal decesso di suo padre in poi è stata costretta ad appellarsi continuamente, oltre che alle istituzioni, alle strutture sanitarie coinvolte. Ha trovato disponibilità o chiusura?
Sostanzialmente dopo aver fatto più solleciti con le istituzioni ho trovato qualche forma di apertura. Il resto è stato un po’ sorprendente, anche per quello che riguarda le risposte del direttore della centrale operativa. Mi è capitato di fare presente il comportamento di un infermiere che con mio padre era stato sgarbato e poco professionale, ma la mia versione è stata messa in dubbio.
Sta dicendo che ha denunciato il comportamento di un infermiere e l’ospedale interessato non ne ha voluto saperne di più? Non è stata avviata nessuna indagine interna per comprendere se si era in presenza di una negligenza o di un disservizio?
No, assolutamente no. Anzi ho avuto l’impressione contraria, cioè che facessero da scudo a chi era intervenuto quella sera. Mi sono anzi sentita dire dal direttore della centrale operativa del 118 le testuali parole: “posto che ciò corrisponda a verità, come fa notare la scrivente signora Valentina Caroccia, rientra nei comportamenti personali del singolo, sicuramente censurabili, ma non perseguibili”.
Della vicenda che ha raccontato a Rec News ha fatto molta impressione l’atteggiamento di parte del personale sanitario coinvolto.
Abbiamo provato tanta rabbia, tanta tristezza e tanto dolore. Quando i sanitari sono venuti a casa per soccorrere mio padre non riuscivano a trovargli la vena e sgarbatamente gli davano dei comandi del tipo “Metti il braccio così”, strattonandolo. L’hanno poi portato giù sulla sedia a rotelle a petto nudo, faceva pure freddo perché era quasi sera. E’ stata mia madre a coprirlo. Alla Clinica Tirrenia Hospital doveva essere ricoverato, come testimoniano gli audio, su indicazione del medico del 118 intervenuto e del cardiologo dell’UTIC di Paola (la terapia intensiva cardiologica, nda), ma arrivati lì non volevano ricoverarlo, non ho capito per quale ragione. Il medico del 118 si è rivolto a mia madre e a mio zio dicendo: “Dovete insistere per fare uscire il posto”.
“Insistere per fare uscire il posto” è una frase strana.
Alla fine comunque è stato accettato presso il pronto soccorso della Tirrenia Hospital, ma quando i sanitari della stessa hanno ritenuto di dover trasferire mio padre presso l’ospedale Annunziata di Cosenza la clinica non era in possesso di alcuna ambulanza. Ho scavato per capire le motivazioni e chiesto spiegazioni, ma la clinica in tutta risposta mi ha scritto tramite legale facendo finta di non sapere che ero una parente diretta. Ho parlato anche con il vicedirettore della clinica Tirrenia Hospital perché in tutto questo è stato anche smarrito un esame che si chiama emogasanalisi che la clinica sostiene di aver effettuato e di aver consegnato all’ambulanza di Amantea che ha trasportato papà in un secondo momento. Sta di fatto che di quest’esame non c’è traccia.
Non si trova un esame di marzo del 2022?
Non si trova. Il vicedirettore sostiene che sia stato consegnato ma le cose sono tre: o non è stato effettuato, o è stato fatto e non è stato consegnato o è stato consegnato ed è stato smarrito. Al vicedirettore ho anche domandato come mai l’ambulanza non fosse disponibile e lui ha risposto che ne hanno solo una e che era impegnata per il trasferimento di un paziente leucemico a Reggio Calabria. Pensare che la Tricarico è l’unica clinica della costa tirrenica cosentina ad avere l’emodinamica. Mio padre del resto non doveva neppure essere lì, perché la diagnosi inziale di infarto si è poi rivelata sbagliata.
Negli audio vagliati da Rec News si sentono anche i sanitari che rispondono flemmatici e le attese lunghe intervallate dalla Primavera di Vivaldi…
Infatti si nota subito l’incapacità di comunicare e gestire l’urgenza. Si passano il telefono di persona in persona. Mancavano mezzi, preparazione e c’era pure chi rispondeva scocciato alla richiesta di intervento.
Suo padre è deceduto dopo un’Odissea durata ore e ore.
Era un codice rosso. Avrebbero dovuto mobilitarsi subito, non avere quell’atteggiamento rilassato passandosi il telefono di persona in persona.
C’è stato anche quel problema “di connessione” che ha impedito a un esame di arrivare a destinazione.
Quando si fa l’ECG a casa, a esito ottenuto c’è il consulto tra il medico che è sul posto, del medico che è in centrale operativa e del medico di turno all’UTIC di competenza, in questo caso l’UTIC di Paola. Però alla centrale operativa del 118 l’esame non è mai arrivato per mancanza di linea. E’ arrivato però, come documentano gli atti, all’UTIC di Paola, quindi gli unici due che hanno avuto modo di confrontarsi sono stati il medico del 118 che è venuto qua a casa e il cardiologo. Il medico non è stato assolutamente in grado di gestire la situazione. Mio padre era a casa lucido e cosciente, avvertiva un dolore all’altezza dei reni ma gli è stato diagnosticato un infarto. Quando è stato trasportato sulla seconda ambulanza già non rispondeva e secondo i referti aveva già i valori sballati. Dopo ore di attesa, due ore circa delle quali presso la Tirrenia Hospital, è deceduto.
Mi diceva che in un referto clinico anziché scrivere “sottorenale” hanno scritto “soprarenale”. Sono questioni di lana caprina oppure ha senso porsi delle domande?
Sì, ha senso porsi il quesito e stiamo seguendo anche tutta la parte medica per comprendere meglio come si sono svolti i fatti. Sappiamo che è arrivato in Chirurgia all’Annunziata in condizioni già critiche e che i medici hanno innestato le protesi. L’operazione è durata circa due ore e mezzo e da come si legge dalla cartella clinica ci sono stati due arresti cardiaci, uno dei quali ripreso con il defibrillatore. Hanno provato a recuperarlo, ma all’una e trenta di notte è stato constatato il decesso.
Nel caso di suo padre la diagnostica appare mancante o errata.
Sì, non gli è stata fatta la TAC a contrasto che avrebbe dovuto evidenziare le rotture subentrate che inizialmente non c’erano, e poi gli è stato diagnosticato, sbagliando, un infarto. Mio padre aveva bisogno di essere trasferito immediatamente, e sottolineo immediatamente, presso la struttura dove è stato operato, invece è stato perso inutilmente tanto tempo e non c’erano neppure i mezzi per effettuare il trasporto.
La prima diagnosi di suo padre è avvenuta tramite telemedicina, però il referto non è mai giunto a destinazione per un problema di connessione. Il timore è che determinate procedure macchinose che coinvolgono tanto personale sanitario e tante unità distanti tra loro, possano mettere in pericolo il paziente. Se si spezza un anello della catena, i rischi possono superare i vantaggi.
Ma se alla fine mi sono sentita dire “Ritieniti fortunata che quella sera c’era il medico con l’ambulanza”, perché la prima ambulanza è venuta 5 minuti dopo la chiamata, ma solo perché stava facendo rifornimento lì vicino. Mi sono vergognata per loro a sentire frasi del genere. Per riuscire a fare gli accessi agli atti che riguardano il decesso di mio padre mi sono trovata di fronte a telefoni sbattuti in faccia. Se scegli di fare il medico devi avere una vocazione, una passione, ma se poi non hai professionalità e sei perfino disumano, è meglio che cambi mestiere. Ora non c’è solo il dolore, ma anche la rabbia.