
Varianti e vaccino a mRNA, risponde il professore Giulio Tarro
Varianti normali ed ibride, anticorpi monoclonali, danni, decessi e contro-indicazioni relativi all’assunzione di vaccini, sperimentazione e prevenzione. Tutte le domande che abbiamo rivolto al luminare allievo di Albert Sabin
Nel corso di questa intervista – la seconda che facciamo al Professore Giulio Tarro – siamo stati messi di fronte a due evidenze. La prima: che stavamo parlando con un medico che considera il paziente, la sua cura, la sua sopravvivenza e la sua Vita, come il centro della propria attività. Attenzione, perché a partire dalle mancate cure ai pazienti non covid di cui molti si sono resi colpevoli nel corso della prima fase, non si tratta più di un’ovvietà. La seconda evidenza, è che un virus simile a tanti altri per caratteristiche e letalità, è diventato il lasciapassare per avviare la più grande sperimentazione di massa mai esistita per la somministrazione di una “terapia genica”, come l’ha recentemente definita lo stesso Tarro: tale è il cosiddetto vaccino a mRNA che, nei fatti, non sarebbe neppure un vaccino. Non contiene il virus (condizione che la medicina reputa necessaria affinché si parli di “vaccino”) ma viene comunque fatto passare per quello che non è. Il professore Tarro lo spiega molto bene per tutti – senza troppi giri di parole – qua e là nelle risposte. E’ giusto saperlo, così come è giusto saperne di più sulla reale efficacia di questo preparato e sui rischi che si corrono ad assumerlo. Andiamo con ordine.
Volevamo capirne di più su queste varianti che stanno terrorizzando un po’ tutti. Cosa sono?
Innanzitutto il virus quando entra in un nuovo organismo cerca di fare di tutto per sopravvivere. Non gli conviene distruggere l’organismo, ma stabilire una specie di patto di convivenza. E’ un patto biologico abbastanza importante. Una particella piccola come il virus cosa può fare per stabilire il quieto vivere? Può fare qualcosa che da una parte non distrugge la cellula in cui è penetrata, e dall’altra gli permette di non essere distrutto dalle difese immunitarie dell’organismo. Il virus cerca quindi la possibilità di “variare”. Il fine è quello. La possibilità è legata agli stessi anticorpi che poi si formano, a cui lui cerca di sfuggire.
Quindi si adatta per sopravvivere?
Esatto, è un patto biologico abbastanza fondamentale nell’ecologia totale, di tutti gli esseri.
E’ una cosa nuova che ci sia una variante di un virus o succede normalmente?
Succede normalmente, anzi per esempio succede spesso con il virus influenzale, ma anche a livello delle famiglie virali c’è sempre questa possibilità.
Quindi niente di nuovo sotto il sole.
No, assolutamente. D’altra parte si sta facendo tutto questo rumore adesso, ma nessuno ha detto che già a fine marzo quando eravamo in piena epidemia si era stabilita una variante che da aprile è stata prevalente e che già aveva sostituito la cosiddetta catena terminale, un aminoacido che poi era l’acido aspartico, con la glicina. Questo permetteva al virus di passare meglio nelle cellule. Non vuol dire comunque che fosse più virulento, più aggressivo o che desse fatti patologici maggiori.
Quindi non sono delle varianti così pericolose come si dice?
No, l’unica “pericolosità” è questa, cioè rispetto al precedente si cambiano gli anticorpi.
Invece le varianti ibride cosa sono?
Variante ibrida significa che c’è una parte di un virus e una di un altro. Per esempio i vaccini con vettore sono ibridi, possiamo anche parlare di chimere, ma siamo sempre là.
Per restare in tema di vaccini, molti manifestano preoccupazioni sul vaccino Pfizer-Biontech e su quello di Moderna, perché sono a mRNA. Può spiegarci cosa vuol dire?
Normalmente in qualsiasi cellula c’è la cosiddetta molecola della vita che è il DNA, poi su questo DNA in maniera speculare c’è un altro acido nucleico che si chiama RNA. Quest’ultimo porta le informazioni del DNA ai ribosomi, là dove si producono le proteine. Sono informazioni a RNA messaggero. Successivamente è possibile che intervenga un altro RNA messaggero, che sarebbe quello transfer. Se noi facciamo un nuovo vaccino utilizzando questo RNA messaggero, ovviamente a livello produttivo è relativamente più semplice rispetto a creare il vettore che dicevamo prima o un vaccino chimerico.
Alcuni medici hanno manifestato preoccupazioni rispetto a questo meccanismo, nel senso che hanno evidenziato come i vaccini a mRNA vadano poi ad incidere sullo stesso DNA, provocando malattie anche pericolose. Lei è d’accordo con questa lettura?
Non in questo modo semplice, perché già il bugiardino di questi vaccini parla del fatto che ci può essere anzitutto una certa sintomatologia. Per esempio mal di testa, mali articolari, muscolari, allergie come per tutti i vaccini. Non c’è solo l’mRNA, c’è anche altro materiale che viene somministrato. E poi dico la cosa forse più importante di questo aspetto: dobbiamo vedere in prospettiva. Ebbene, lo stesso bugiardino (il foglietto illustrativo, ndr) dice che questi vaccini possono provocare delle malattie auto-immuni.
Ecco, appunto.
Questi vaccini poi non vengono consigliati in gravidanza, presumibilmente perché nella prima fase di sperimentazione non c’è stato modo di provarne gli effetti. E poi soprattutto si consiglia di far passare almeno due mesi da un eventuale concepimento.
Eppure sono già stati somministrati a molte donne e ragazze in età fertile.
Si, questo è stato contrario a quello che bisognava fare, per esempio in Inghilterra hanno cominciato con gli anziani. Quando si è in età per così dire fertile, l’mRNA può potenzialmente integrarsi con le cellule. Escludere questo per principio non è giusto, perché bisogna proiettare il tutto nel tempo. Non c’è stato il tempo per provare. Io ho detto fin dall’inizio che questo RNA messaggero potrebbe addirittura simulare un altro RNA virus latente, oppure potrebbe fornire il codice proprio al nostro DNA, come accennava lei prima. Questi aspetti sembrano impossibili e vengono esclusi dai cosiddetti saccenti della biologia molecolare, ma proprio in questi giorni è uscito un lavoro dell’Università di Boston che ha dimostrato che questa cosa impossibile, è possibile. Si è dato così ragione a chi fin dall’inizio diceva che questo aspetto sperimentale che a questo punto è diventato pratico riguarda un po’ gli Ogm, gli organismi geneticamente modificati, che sono stati vietati proprio per i pericoli connessi al loro utilizzo.
Lei ha detto che questo aspetto da “sperimentale è diventato pratico”: cioè la somministrazione sta coincidendo con la sperimentazione umana? Siamo cavie? Vogliono modificare i nostri geni?
Come per tutte le cose serve esperienza, a partire dall’Oms che ha detto che ci volevano diciotto mesi per avere un vaccino. Anche per campagne vaccinali precedenti, non è mai successo che un prodotto fosse immesso in commercio dopo pochi mesi. Il vaccino potenzialmente potrebbe essere efficace, ma potrebbe non essere sicuro.
Da questo punto di vista la preoccupano i decessi sospetti e le reazioni avverse che si stanno verificando e che sono stati enucleati in molti report? Si parla già di oltre ottomila danneggiati nella sola Italia.
L’Italia per numero di danneggiati è al primo posto in Europa. Le altre Nazioni, Germania, Inghilterra, Spagna in particolare hanno un minor numero di casi. Anche negli Stati Uniti, dove sono stati prodotti questi vaccini a RNA messaggero, ci sono stati dei problemi. Sono state descritte varie situazioni: dall’anafilassi, una risposta allergica forte, alle paralisi facciali. Nei soggetti fragili, inoltre, si è riscontrato l’aumento delle patologie sussistenti.
Considerando questi dati, non è pericoloso continuare con la somministrazione di massa? Non è dannoso pensare a meccanismi come il Green Pass o il Covid Pass che possono potenzialmente moltiplicare i danni?
Certo, i danni potenzialmente possono moltiplicarsi. Chi adotta queste misure lo fa senza avere un’esperienza e senza avere una proiezione. Poi, non puoi tornare indietro nel momento in cui danneggia la gente. Non so se rendo l’idea.
Appunto. Da esperto: qual è il suo consiglio pratico per indirizzare chi ora si trova ai vertici decisionali?
Ci sono altri vaccini che utilizzano un virus attenuato o un virus disattivato che evita l’insorgere di patologie e permette comunque al corpo di produrre gli anticorpi. Una cosa classica, diversa dal vaccino che ha scombinato tutto il panorama, che è quello a mRNA. Esistono controindicazioni dimostrabili a livello scientifico, e la somministrazione fino a questo momento era stata limitata a prove per virus come Zika. La FDA che ha dato il nullaosta è riuscita a far passare dei motivi di emergenza. Ha parlato del 90-95% di efficacia, ma poi chi ha fatto i conti in tasca all’organismo è stato il professore Peter Doshi, esperto del Maryland che ha pubblicato sul British Journal of Medicine un editoriale. In pratica, se si esamina quello che è stato realmente presentato per avere l’approvazione, dunque tutti i soggetti coinvolti e il modo in cui erano stati controllati dopo la somministrazione, l’efficacia scende al 19-29%. Questo già pone un punto interrogativo.
Si parla tanto di vaccini, di quello americano, cinese, russo, ma spesso ci si dimentica di un’ovvietà: non è detto che una persona abbia tutta questa necessità di vaccinarsi.
Lei dice bene perché dobbiamo considerare che tutto sommato, tenendo presenti anche i dati cinesi dell’inizio, l’81% delle situazioni è caratterizzato da un banale raffreddore febbrile. Solo in alcuni casi si parla di una fase critica della malattia. Come per tutte le malattie, prima si interviene e meglio è, e questo purtroppo non è stato fatto.
Quindi non serve chiudere l’Italia e non serve mettere in campo determinate misure perché si tratta di un virus simile all’influenza, se preso in tempo?
Certo, ma tenga presente che è una cosa importante. Anche l’influenza può provocare delle encefaliti o altre patologie di organo. Questo virus può anche provocare alterazioni a livello vascolare, quelle che erano sfuggite inizialmente non facendo le autopsie. E’ stato inutile dare ossigeno o intubare questi soggetti: bisognava dare l’eparina. Con il cortisone, un anti-infiammatorio, si sarebbe poi evitata la tempesta dei mediatori linfocitari che sono quelli che intervengono nelle infiammazioni pesanti. Questo meccanismo non si verifica nei bambini, che non hanno una risposta alterata come quella dell’anziano.
Quindi per i bambini non dovrebbero preoccupare neppure le varianti che secondo alcuni dovrebbero impedire il ritorno a scuola?
Assolutamente, né le varianti né altro, perché i bambini sani non hanno alcun problema.
Oltre ai vaccini, è già partita la corsa agli anticorpi monoclonali. Cosa sono?
Tenga presente che l’anticorpo monoclonale era stato preparato per la prima SARS, però non era stato utilizzato perché l’epidemia era finita troppo presto, in sei mesi. L’anticorpo monoclonale si fa in culture di tessuto con la particella virale e poi si utilizzano questi anticorpi per la somministrazione. Per la SARS fu fatto utilizzando il furetto e poi i dati sono stati pubblicati nel 2004. Successivamente c’è stato bisogno di ricorrere agli anticorpi monoclonali e alla sieroterapia soprattutto per la MERS, la sindrome respiratoria del Medio Oriente, che aveva una letalità del 36%. L’istituto Pasteur ha dimostrato l’efficacia di questi anticorpi monoclonali, che avevano permesso la cura dei soggetti guariti. Si tratta in ogni caso di malattie che una volta che sono state inquadrate e diagnosticate, si possono curare.
Quindi non c’è bisogno di fare allarmismi: i soggetti sani reagiscono alle cure o sono protetti dal loro sistema immunitario.
Esatto, e quando si parla di anticorpi monoclonali si parla di cure. Finalmente sono stati prodotti. La prima fase dell’epidemia, che è stata quella controllata dai cinesi, è stata gestita con la sieroterapia, che è la cosa migliore. Negli Stati Uniti la sieroterapia è stata utilizzata come profilassi per gli operatori sanitari che potevano entrare in contatto con potenziali pazienti contagiosi. Anche gli anticorpi monoclonali sono legati, come i vaccini, alle varianti. C’è la possibilità che l’anticorpo monoclonale non funzioni con una determinata variante, perché magari è stato concepito per una variante precedente.
Accetterebbe un ipotetico incarico all’interno del Cts? Nessuno l’ha mai interpellata. Purtroppo, diremmo.
Beh, effettivamente io sono intervenuto nel ’73 nell’epidemia di Colera che si è verificata a Napoli. La cosa che mi dà più soddisfazione è però l’aver salvato i bambini di Napoli, nel ’79, isolando il virus sinciziale. Il male “oscuro” in questione era la bronchiolite. Ho scoperto la possibilità di intervenire a livello pediatrico: anche in quel caso i malati venivano mandati direttamente in rianimazione o intubati, con un peggioramento della situazione. Quando si è manifestato l’AIDS, sono stato tra i primi ad elaborare una metodica: si poteva così effettuare una diagnosi, prima del famoso e più gettonato test “Elisa”. I soggetti potevano essere trattati con il plasma, si poteva salvare e prolungare la loro vita. Da allora all’arrivo dei farmaci salvavita, nel ’97, passarono 14 anni. In tempi recenti per l’influenza aviaria e suina il Cotugno era al primo posto per numero di pazienti, perché venivano diagnosticati e curati subito.

Il Professore Giulio Tarro insieme ad Albert Sabin
Il suo è un curriculum invidiabile, non so lo è altrettanto quello di alcuni che sono sovraesposti mediaticamente. Possiamo dirlo tranquillamente.
E’ la realtà delle cose.
Allora noi ne approfittiamo per ottenere un consiglio per chi ci legge: come si può potenziare e migliorare il sistema immunitario – il migliore difensore dell’organismo – per essere più forti di fronte a possibili minacce esterne e per diventare più tranquilli di fronte al clima allarmista?
Lei ha ragione, anche i cinesi lo scorso anno quando sono venuti in Italia con una loro delegazione hanno parlato del sistema immunitario e dell’assunzione di vitamina C. Non in milligrammi, ma in grammi. C’è poi l’importanza della Vitamina D, che è stata anche studiata in Piemonte per la sua efficacia in termini di prevenzione. Poi c’è la lattoferrina, sono tutte sostanze che vanno in aiuto del sistema immunitario.
Dunque anche frutta, verdura e latte. L’anno scorso durante la nostra prima intervista ha consigliato anche l’attività fisica: uscire, correre, camminare, evitando di stare chiusi in casa isolandosi fisicamente e mentalmente e distruggendosi da soli la salute. L’aria aperta è una medicina, ci aveva detto.
Assolutamente si! Il virus non sta bene ai raggi ultravioletti del sole, che lo distrugge in pochi minuti. Al contatto col vento, con la brezza marina nelle giornate soleggiate, dove vuole che ci sia il virus?
Rec News dir. Zaira Bartucca – recnews.it
INTERVISTE
Salute femminile,
IA e medicina di genere: innovazioni, sfide e prospettive per un futuro più equo

La salute delle donne è un tema di crescente interesse globale, con implicazioni significative per la società nel suo complesso. Nonostante i progressi scientifici e tecnologici, permangono sfide sostanziali nell’assicurare che le donne ricevano cure adeguate e personalizzate. Questa indagine esplora le strategie farmaceutiche e le innovazioni che stanno rivoluzionando il campo, evidenziando l’importanza di aumentare la consapevolezza e l’accesso alle cure.
La salute delle donne: una questione di equità
Storicamente, la ricerca medica si è concentrata principalmente sulla salute maschile, spesso trascurando le peculiarità biologiche e le esigenze specifiche delle donne. Questa disparità ha avuto un impatto negativo sulla diagnosi e sul trattamento delle malattie femminili.
Ad esempio, le malattie cardiovascolari, spesso percepite come una minaccia maggiore per gli uomini, sono in realtà la principale causa di decesso patologico tra le donne. L’assenza di sintomi “classici” negli attacchi di cuore femminili è un esempio di come la mancanza di consapevolezza possa essere pericolosa.
Un discorso a parte meritano le malattie reumatologiche che, aspetto spesso sottovalutato, interessano molto le donne in età riproduttiva, costituendo uno dei fattori che possono incidere negativamente sulla natalità¹. «La ragione della prevalenza femminile di queste patologie sembra risiedere nel fatto che queste ultime siano caratterizzate da una predisposizione genetica e ormonale che può favorire lo sviluppo di una risposta autoimmune più aggressiva», chiarisce l’Osservatorio italiano genere donna, che sostiene l’importanza della prevenzione: «Riconoscere la patologia sin dalle prime fasi – scrivono dall’Osservatorio – consente di avviare il percorso terapeutico prima che si verifichino danni permanenti. Oggi, infatti, i medici dispongono di strumenti diagnostici molto sofisticati e terapie che consentono in molti casi di fermare la progressione della malattia e assicurare una buona qualità di vita».

Il direttore del Centro di riferimento per la medicina di genere dell’ISS, dottoressa Elena Ortona
Insomma, «molte patologie si presentano in modo diverso nelle donne rispetto agli uomini”, chiarisce il direttore del Centro di riferimento per la medicina di genere dell’ISS Elena Ortona (in alto nella foto), intervistata da Rec News. «Un esempio emblematico è l’infarto miocardico, che nelle donne può manifestarsi con sintomi atipici come nausea, dolore alla schiena o affaticamento, portando a diagnosi ritardate e a trattamenti meno tempestivi. Inoltre, le donne metabolizzano alcuni farmaci in modo diverso rispetto agli uomini a causa di differenze ormonali ed enzimatiche. In passato, la ricerca farmaceutica si basava principalmente su soggetti maschili, portando a dosaggi non sempre adeguati alle donne. Oggi, la medicina di genere promuove studi più equilibrati per ottimizzare le terapie», puntualizza ancora la dottoressa Ortona.
Strategie farmaceutiche: verso la medicina di genere
Negli ultimi anni anche l’industria farmaceutica ha iniziato a riconoscere l’importanza della medicina di genere, che tiene conto delle differenze sessuali e di genere nella prevenzione, diagnosi e nel trattamento delle malattie. Diversi organismi si stanno focalizzando sempre più sull’universo femminile, avviando ricerche specifiche sul particolare impatto che determinate patologie hanno sulle donne.
In Italia la galassia degli organismi che portano avanti le ricerche cliniche più rappresentative sul tema comprende il Centro di Riferimento per la Medicina di Genere dell’Istituto Superiore di Sanità, il Centro Studi Nazionale su Salute e Medicina di Genere e il Gruppo italiano salute e genere (GISEG).
«La ricerca in medicina di genere – puntualizza ancora la dottoressa Ortona dell’Istituto Superiore di Sanità – ha fatto notevoli progressi, ma ci sono ancora diverse sfide e opportunità di miglioramento. Negli ultimi anni si è assistito a una maggiore attenzione agli studi preclinici e clinici che analizzano le differenze tra uomini e donne. Questo è in parte dovuto ad una maggiore sensibilizzazione e formazione delle ricercatrici e ricercatori all’importanza di considerare il sesso e genere nei propri studi, ma anche al fatto che le principali riviste scientifiche come Nature e Lancet hanno inserito nelle istruzioni per gli autori la regola di mostrare i propri dati in modo disaggregato per sesso».
«Questo – prosegue Ortona – ha portato a una migliore comprensione delle variazioni nella incidenza e manifestazione delle malattie, nella risposta ai farmaci e nei fattori di rischio. Tuttavia, molto deve essere ancora fatto. In particolare, è fondamentale includere in maniera equilibrata soggetti di entrambi i sessi al fine di sviluppare trattamenti mirati che tengano conto delle differenze biologiche e poi analizzare i dati in modo disaggregato. Questo metodo porterà non solo ottimizzare il dosaggio dei farmaci, ma anche progettare nuove molecole e strategie terapeutiche».
Innovazione tecnologica: La rivoluzione dei dati
Anche l’innovazione tecnologica sta giocando un ruolo cruciale nel trasformare la salute delle donne. L’uso di big data e intelligenza artificiale consente di analizzare enormi volumi di dati per identificare modelli e tendenze che potrebbero sfuggire alle analisi tradizionale. Queste tecnologie stanno iniziando a offrire nuove opportunità per personalizzare le cure e migliorare i risultati sanitari, e per quello che riguarda l’IA possono permettere di individuare precocemente alcune patologie tramite le cosiddette analisi predittive e l’analisi personalizzata e combinata della predisposizione genetica del singolo paziente, dei fattori di rischio e dello stile di vita.
L’Intelligenza Artificiale, inoltre, sembra prestarsi bene alla risoluzione del problema della scarsa o nulla aderenza alle terapie², che riguarda in particolare chi è affetto da patologie croniche e gli anziani. Si tratta di soggetti che rinunciano a curarsi, oppure rinunciano ad adottare stili di vita alternativi in grado di minimizzare il rischio di incorrere in determinate patologie. Tra questi soggetti molte sono le donne, come chiarisce il Portavoce della Rete delle Cattedre UNESCO italiane e professore emerito di Endocrinologia presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” Andrea Lenzi. «Il sesso femminile – spiega Lenzi – è emerso come predittore indipendente di non aderenza ai farmaci ipoglicemizzanti, alla terapia ipolipemizzante e ai regimi farmacologici impiegati dopo un IMA in ampi studi di coorte e meta-analisi».
Cosa può fare l’IA in un campo come questo? Diventare un assistente virtuale in grado di generare alerts personalizzati che possono migliorare l’aderenza alla cura e aiutare a generare buone abitudini e dunque stili di vita migliorati.
Aumentare la consapevolezza: l’importanza dell’educazione
La medicina di genere e l’intelligenza artificiale stanno quindi ridisegnando il modo in cui viene vissuta e percepita la salute femminile. Ma da sole, ovviamente, potrebbero non bastare. Educare le donne sui loro diritti sanitari e sulle opzioni disponibili è fondamentale per migliorare i risultati di salute, e in questo senso le campagne di sensibilizzazione e i programmi educativi possono aiutare a colmare il divario informativo e a promuovere decisioni sanitarie più informate.
Un altro aspetto riguarda i decisori, come ha ben spiegato la dottoressa Ortona dell’Istituto Superiore di Sanità: «E’ necessario – ha detto a Rec News – sostenere e incentivare finanziamenti e programmi di ricerca che abbiano la medicina di genere come asse portante, per colmare le lacune ancora presenti e favorire l’innovazione in ambito clinico e farmacologico. Perché pur avendo raggiunto traguardi importanti, la medicina di genere è ancora in una fase evolutiva. Il futuro richiede uno sforzo coordinato per integrare conoscenze multidisciplinari, sviluppare studi più inclusivi e applicare le nuove tecnologie, in modo da garantire – ha concluso – cure sempre più personalizzate ed efficaci».
FONTI:
¹Le malattie autoimmuni reumatologiche, in Genere Donna https://www.generedonna.it/patologie-di-genere/genere-e-autoimmunita/malattie-autoimmuni-reumatologiche/
² Adherence to long-term therapies : evidence for action – Institutional Repository for Information Sharing and World Health Organitation
ARTE & CULTURA
Cucinotta a Rec News: “Il mio Sud nel nuovo film da protagonista” (Video e Gallery)

Maria Grazia Cucinotta è la protagonista del nuovo film di Beppe Cino “Gli agnelli possono pascolare in pace”, presentato ieri in anteprima a Roma al Cinema Caravaggio e nelle sale dall’11 aprile. Nella pellicola ambientata in Puglia è Alfonsina, donna ingenua con abitudini singolari che a un certo punto viene colta da sogni rivelatori.
Bidella in pensione devota al culto dei cari defunti e lontana dal fratello, sarà un inaspettato incontro con il Sacro a mettere ordine in tutti quegli aspetti della sua vita rimasti in ombra, e a svelare i legami e i segreti che animano il borgo pugliese dove abita. Abbiamo intervistato Maria Grazia Cucinotta a margine della proiezione dell’anteprima romana.
Quanto c’è di lei nel film “Gli agnelli possono pascolare in pace?
Di sicuro il Sud. Il Sud mi appartiene e di conseguenza c’è molto di questo suo modo di essere. Attaccata alla terra, attaccata agli affetti, attaccata alla verità. E’ anche un personaggio molto distante. E’ una bidella che ama Pasolini e sembra uscita un po’ fuori da una favola. Anche il mondo che la circonda sembra essere uscito fuori da un piccolo metaverso che si muove in un mondo moderno.
Il film ha un messaggio particolare?
Ce ne sono tanti di messaggi, tra l’altro attualissimi. Tutte le guerre sono dettate dai confini e dal potere e un po’ questo film parla proprio di questo e al fatto che tutti i confini e tutti i pregiudizi portano alla fine alla rabbia e alla non accettazione. E’ un messaggio molto importante. Tra le risate e queste visioni c’è una grande verità.
Progetti futuri che può anticiparci?
Questo film è in uscita quindi aspettiamo di vedere come va. L’11 uscirà in tutta Italia e speriamo che la gente torni al cinema.
INTERVISTE
Reati contro i minori, intervista al ministro della Famiglia Eugenia Roccella (Video)
INTERVISTE
Ddl Nordio, Caporale: «Non libera la magistratura dai suoi mali, ma colpisce la Giustizia giusta»

Il Ddl Nordio è forse l’eredità più consistente lasciata da Silvio Berlusconi. E’ infatti figlio di un modo preciso di intendere la Giustizia, le leggi, la magistratura. Per alcuni rappresenta l’ennesimo colpo inferto alla libertà di espressione, all’autonomia dei magistrati e allo stesso cittadino, che potrebbe essere maggiormente esposto a determinate fattispecie di reato che potrebbero essere depenalizzate. Ne abbiamo parlato con il giornalista Antonello Caporale.

Il giornalista Antonello Caporale
È davvero necessario abolire l’abuso di ufficio per tutelare quei sindaci che, a sentire la maggioranza, hanno le “mani legate”?
Io penso che la riforma viva di un bisogno ideologico. Anziché definire ulteriormente un reato che, è vero, è molto vago, lo hanno tolto di mezzo. Così facendo hanno mostrato il loro intento, che è quello di sminuire ulteriormente la magistratura.
Nordio è un ex magistrato.
Ma è come quei tabagisti che fumano, smettono poi finiscono con l’odiare le sigarette. Nordio è un magistrato ma odia i magistrati, ha utilizzato in modo massiccio le intercettazioni e da ministro le ha tagliate. Si è sempre proposto come l’alfiere della magistratura di destra ma dice che i magistrati fanno politica. La sua sembra una vita capovolta. C’è un’idea di fondo ideologica prima ancora che giudiziaria. E’ la stessa cosa che ho visto con la dichiarazione del lutto nazionale, che come sai viene dichiarata dal governo utilizzando la sua discrezionalità. In genere si fa per i martiri della mafia, ma in questo caso hanno voluto elevare la figura di Berlusconi.
Farà la fine di Craxi, un altro personaggio controverso che con il passare degli anni è diventato un’eroe nazionale. Si può dire che la Riforma Nordio sia un po’ l’ultimo lascito di Berlusconi, cioè la manifestazione ultima di un certo modo di intendere la Giustizia?
Possiamo anche dire per principio che i reati, la criminalità non esistono, ma restano comunque. Possiamo decretare sconfitta la mafia e la ‘ndrangheta, ma il pizzo c’è. Sono azioni temerarie, protervie e ingenue.
Prima hai parlato di intercettazioni. Secondo i detrattori del disegno di legge calerà una scure ulteriore sulla possibilità di informare liberamente.
Non sappiamo ancora cosa resterà e cosa verrà buttato della Riforma, che probabilmente sarà fatta a pezzi dalla Corte Costituzionale. Ma già con il solo fatto di aver annunciato una stretta sulla intercettazioni sono stati lanciati due messaggi. Uno alla magistratura, a cui in pratica è stato detto mettetevi in fila e capite che il vento è cambiato, e uno all’informazione, a cui si tenta di dire attenzione, perché non puoi più osare come prima. La magistratura, comunque, non è esente da mali. Con la riforma non si sta liberando la magistratura del proprio conformismo, delle proprie convenienze e del fatto che ci sono magistrati che non lavorano e non sono equi, ma si sta riducendo l’ampiezza della libertà dei magistrati. Avranno più margine quelli più convenzionali e collusi, meno quelli coraggiosi che hanno voglia di fare. Se ci fai caso si parla sempre di magistrati di destra e di sinistra, ma mai di chi lavora bene e di chi lavora male.
Erano forse più questi gli aspetti da riformare.
Appunto, invece si sceglie di trascurarli. Nessuno si domanda perché uno ha fatto cinque processi e un altro 55, oppure perché con l’aumentare dell’organico delle Forze dell’Ordine non si riducono i reati. Dovremmo essere più sicuri, e invece? Immagino che non sia un lavoro certosino, organico, sistemico, ma che sia un lavoro occasionale. Faccio quello che lavora, fingo per la televisione e poi chi si è visto si è visto. Arresto chi so già che non può stare dentro, indago persone su cui non ho nulla. Ci sono poi le querele temerarie, come quelle che sono capitate a me e ad altri giornalisti, che sono azioni di parassitismo giudiziario che diventano lecite, invece non lo sono affatto. La lotta però non è contro questi mali, ma contro la Giustizia giusta.
Dal punto di vista politico pensi che la Riforma possa essere in qualche modo divisiva oppure c’è un’intesa che va al di là degli schieramenti politici?
C’è sicuramente intesa, altrimenti il codice penale non sarebbe così cavilloso. Le leggi le fa il Parlamento e c’è interesse a rendere i processi pieni di cavilli, possibilità e subordinate. La politica teme la magistratura, a volte perché esagera a volte perché è un potere che controlla.