Cresce il numero di professionisti che sono anche online
I dati di Registro.it. e lo studio dell’IIT-CNR sull’anagrafe italiana della rete
In tutto il 2020 sono stati registrati 592.821 nomi a dominio.it, il 13,2% in più rispetto al 2019. Ciò si traduce in una demografia digitale nostrana che cresce di oltre 4 punti percentuali (4,20%), per un totale di 3.374.790 nomi.it presenti in rete al 31 dicembre 2020, censiti dal Registro.it, organo che opera all’interno dell’Istituto di Informatica e Telematica del CNR.
Andando a guardare l’andamento tra gennaio e ottobre dello scorso anno, gli italiani hanno registrato 428.788 nuovi nomi a dominio.it, di questi quasi la metà (49%) appartiene a persone fisiche, mentre il 41% è stato registrato dalle imprese. Un dato in controtendenza se confrontato con l’intera anagrafica dei domini italiani, dove le imprese costituiscono oltre il 50% della tipologia, contro appena il 32% delle persone fisiche. Ma l’aspetto più rilevante riguarda i liberi professionisti: con quasi 30.000 nuovi domini registrati, la presenza digitale di questa categoria è cresciuta del 35% in un solo anno: guardando solo ad aprile 2020, si parla di un +113% rispetto allo stesso mese del 2019. Un balzo significativo che vale anche per le altre due tipologie di assegnatari (persone fisiche a +51% e imprese a +56% nel confronto tra aprile 2020 e aprile 2019).
“Significa che sempre più persone decidono di affidarsi al sito web come strumento di valorizzazione e potenziamento del business individuale o aziendale, o anche solo per ritagliarsi uno spazio autonomo e indipendente in rete, con un proprio sito a fare da biglietto da visita personale”, spiega Marco Conti, responsabile del Registro .it e direttore dell’IIT-CNR. “È da almeno un triennio che le registrazioni assegnate a persone fisiche continuano a crescere (+11% nel 2019 e 20% nel 2020) così come i liberi professionisti. Un trend negativo, invece, riguarda gli enti pubblici, che fanno registrare un -57% di nuova presenza nel 2020, sebbene a fronte del +84% del 2019.”
Lo studio dell’IIT-CNR ha inoltre preso in esame l’intera anagrafica del Registro.it e calcolato l’indice della diffusione di Internet in Italia sulla base del tasso di penetrazione per ogni regione e provincia, ovvero quanti domini .it ogni 10mila abitanti. È il Trentino Alto Adige la Regione con il tasso di penetrazione più alto, davanti a Lombardia, Toscana, Valle d’Aosta, Piemonte e Veneto. Nessuna regione del Meridione compare tra le prime dieci: la prima è l’Abruzzo, in quattordicesima posizione, mentre in coda alla classifica compaiono Basilicata, Sicilia e Calabria.
Sul fronte delle province, Milano conquista il primato per tasso di penetrazione, con 538 domini ogni 10.000 abitanti, seguita da Bolzano (483), Firenze (448) e Rimini (436). La Toscana piazza nella top ten anche Siena (426). In coda ci sono purtroppo solo il Sud e le Isole: tutte le ultime venti posizioni, con in coda Crotone (149), Caltanissetta (139) ed Enna (135). Ad oggi, infatti, stando alle rilevazioni, il Nord raccoglie il 53,8% dei domini .it presenti nel Registro, al Centro è localizzato il 22,9% mentre al Sud il 23,2%.
TECH
Anche i “Fact Checker” piangono. Meta chiude i rubinetti ai fomentatori della cultura woke
Mark Zuckerberg non finanzierà più i cosiddetti “Fact Checker” di Meta, almeno per quello che riguarda gli Stati Uniti. La notizia è arrivata come un fulmine a ciel sereno per i fomentatori della cultura woke, che nel social avevano trovato un porto (economico) sicuro e uno sfogo alle ansie censorie sui temi più disparati: sanità, famiglia, guerre, elezioni e chi più ne ha più ne met(t)a. Bastava un’aggettivo fuori posto o una sana critica e, ecco, arrivava pronto l’esercito di bastonatori a cottimo, che a suo insindacabile giudizio sceglieva quali contenuti potevano essere pubblicati e quali – al contrario – dovessero essere bannati e condannati alla damnatio memoriae digitale. Un gran bell’esercizio di libertà e tolleranza, non c’è che dire.
Un atteggiamento, che tuttavia, ha portato a un progressivo svuotamento del social, e che oggi sta costringendo Mark Zuckerberg – complice secondo alcuni il ritorno di Trump – a fare marcia indietro. Una chiusura dei rubinetti che potrebbe estendersi a macchia d’olio e riguardare più Paesi, che in qualche modo sta facendo anche in modo che si vuoti il sacco su alcuni temi divisivi che hanno alimentato il dibattito pubblico negli ultimi anni, come per esempio covid e vaccini.
TECH
Cos’è il diritto alla disconnessione e cosa c’entra con il lavoro
Negli ultimi anni, con lo sviluppo crescente delle tecnologie informatiche, si sta assistendo a un aumento dell’interazione e delle comunicazioni, come mail e messaggi WhatsApp, sia per quanto riguarda la sfera privata che il lavoro. E’ aumentato a livello esponenziale anche l’utilizzo dei gruppi e in particolare quelli Whatsapp, con le persone più impegnate che arrivano ad averne decine sui propri smartphone. Con tutte le difficoltà del caso a staccare la spina, quando necessario.
Ma è obbligatorio consultarli regolarmente, soprattutto quando si tratta di lavoro? E, in caso, l’obbligo persiste anche al di fuori delle ore lavorative? Difficile rispondere in maniera univoca abbracciando tutte le fattispecie presenti nel mercato del lavoro. Quel che è certo è che nel 2021 due accordi interconfederali per il settore pubblico e privato hanno ribadito il diritto alla disconnessione, almeno per quello che riguarda le modalità di lavoro flessibili e agili: il Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale e il Protocollo nazionale sul lavoro agile nel settore privato.
I punti chiave del Diritto alla disconnessione
- – Il lavoratore dipendente non è costretto a rimanere connesso 24 ore su 24 e 7 giorni su 7;
- – Non si è responsabili del mancato malfunzionamento della rete, anche se si sta svolgendo un’attività in smartworking
- – È la contrattazione collettiva oppure quella tra datore di lavoro e dipendente a definire regole certe e fasce orarie in cui il personale dovrà essere reperibile;
- – I Gruppi ospitati dai servizi di messaggistica non rappresentano un sostituto delle comunicazioni formali.
TECH
Ecco come l’IA vede i politici italiani
L’Intelligenza artificiale non è nuova a svarioni. Ne abbiamo raccontati alcuni in questo articolo, dove abbiamo parlato dello stress-test con cui abbiamo provato a mettere l’IA davanti ai suoi limiti. Questa volta, invece, abbiamo domandato a un generatore di immagini come vede i politici italiani. Ne è uscita fuori una serie di ritratti verosimili e a tratti esilaranti.
Il ministro degli Esteri Antonio Tajani secondo l’IA
Antonio Tajani. Nel ritratto fatto dall’Intelligenza Artificiale, spariscono i tratti somatici reali ma rimane la riconoscibilità del personaggio grazie a particolari come il taglio di capelli e il modo di vestire. Il ministro degli Esteri è quasi dentro uno specchio d’acqua, attorniato dalle colonne di un edificio classico e da quella che sembra una Chiesa.
Il ritratto che l’IA fa della premier Giorgia Meloni
Nessuna somiglianza, invece, per Giorgia Meloni o, meglio, per l’idea che ne ha l’Intelligenza Artificiale. La giovane che dovrebbe corrispondere a lei guarda l’obiettivo per uno scatto dal sapore veneziano, anche se più che la premier italiana sembra ritrarre l’attrice Anne Murphy. Alcuni particolari, tuttavia, fanno pensare all’esponente di FdI, come gli orecchini a goccia o lo scialle morbido dai toni pastello.
Matteo Renzi nella sua Firenze nello “scatto” immaginario generato dall’IA
Matteo Renzi o, meglio, l’idea che si è fatta di lui l’Intelligenza Artificiale, è invece ritratto nella sua Firenze. Anche qui più che i tratti somatici sono i particolari riconoscibili a farla da padrone, e infatti l’esponente di Italia Viva – Renew Europe è ritratto con la classica camicia col colletto sbottonato e con le tempie imbiancate.
Un Matteo Salvini irriconoscibile quello rappresentato dall’IA
L’altro Matteo, Salvini, sarebbe invece irriconoscibile se non fosse per il pizzetto e per l’evocativo Ponte sullo Stretto che si staglia sullo sfondo. Il ministro alle Infrastrutture nel ritratto che ne fa l’Intelligenza Artificiale appare con gli occhi azzurri, appesantito e con lo sguardo perso nel vuoto.
L’unico Conte che l’IA sembra conoscere è Antonio, l’allenatore di calcio
Giuseppe Conte, invece, come direbbe un agguerrito direttore, “non esiste”. L’Intelligenza artificiale ne fa un ritratto alquanto esilarante e sembra scambiarlo con un altro Conte, l’allenatore Antonio. Unica concessione: le stelle del partito, che spiccano – enormi – come nella reclame di una famosa marca di biscotti.
TECH
Pasticcio Ue
sull’AI Act
Il 13 marzo 2024 il Parlamento europeo ha approvato l’AI Act. Cosa cambierà? Secondo gli avvocati Lydia Mendola, Luca Tormen e Francesca Ellena, l’iter legislativo in realtà non è ancora completo e per la sua piena applicabilità ci vorranno alcuni anni, con la conseguenza che la norma nasca obsoleta.
“Il testo dell’AI Act – affermano gli avvocati – è tuttora soggetto a un controllo finale e manca l’approvazione del Consiglio europeo. Anche i tempi di entrata in vigore degli obblighi e delle sanzioni previsti dal testo di legge non sono immediati, posto che l’AI Act entrerà in vigore 20 giorni dopo la pubblicazione nella Gazzetta ufficiale e sarà pienamente applicabile solo 24 mesi dopo la sua entrata in vigore, ad eccezione di alcune previsioni che prevedono tempistiche ancora più lunghe: le previsioni sulle applicazioni AI vietate (6 mesi dopo la data di entrata in vigore); le previsioni sui codici di condotta (9 mesi dopo l’entrata in vigore); le regole AI di portata generale, compresa la governance (12 mesi dopo l’entrata in vigore) e gli obblighi per i sistemi AI ad alto rischio (36 mesi dopo l’entrata in vigore). E proprio questa scaletta temporale ha sollevato alcuni commenti negativi, perché la norma rischierebbe di nascere obsoleta.”
Chi sono i destinatari del Regolamento?
“Sono gli sviluppatori/fornitori (providers), i distributori, i produttori, gli importatori di sistemi di intelligenza artificiale, anche con sede fuori dall’Unione europea purché utilizzino dati di soggetti residenti nel territorio europeo o offrano servizi a questi ultimi (si parla di efficacia extra-territoriale del Regolamento). Ci sono poi previsioni anche per gli utilizzatori (deployers) di sistemi di intelligenza artificiale.”
Quali sono gli obblighi di natura tecnica in capo ai soggetti interessati?
“Essenzialmente, la maggior parte degli obblighi sono posti a carico dei provider di sistemi di AI. Ad esempio, sono i provider di sistemi di general purpose AI a dover soddisfare gli obblighi di disclosure previsti dal Regolamento (e.g. pubblicazione dei contenuti usati per il training per le verifiche copyright, messa disposizione di documentazione tecnica e istruzioni per l’uso), così come sono i provider di sistemi di AI ad alto rischio a dover condurre valutazioni di rischio, assicurare supervisione umana dei sistemi e gestire le richieste di informazioni dei cittadini. Le sanzioni previste per Il mancato rispetto di questa normativa sono significative. A seconda della gravità della violazione, è infatti previsto che le sanzioni varino in un range tra 10 e 40 milioni di euro o tra il 2% e il 7% del fatturato annuo globale dell’azienda.”