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“Scienza e coscienza”. Il dottor Mariano Amici – il chirurgo più censurato dalla tv con alle spalle una lunga carriera in ambito universitario e ospedaliero, autore di numerosi studi – ripete varie volte le parole che caratterizzano il Giuramento di Ippocrate nel corso dell’intervista che ha rilasciato a Rec News. Sono discorsi da “stregone” per un Paese che lo scorso anno sceglieva chi doveva vivere e chi doveva morire nelle terapie intensive. C’è chi ci ha trovato un ché di ciarlatanesco, nell’Italia che ha lasciato fuori dagli ospedali i malati non covid e che non ha curato i malati covid. Una strage annunciata, causata da quelli che il dottor Amici definisce “protocolli sbagliati”. Un tributo di vite umane in costante crescita, perché ora alla cattiva gestione si aggiungono gli effetti avversi dei vaccini.

La commissione europea ha recentemente annunciato l’acquisto di 900 milioni di dosi di vaccini a RNA messaggero. Sono realmente così efficaci e privi di rischi?

Sull’efficacia c’è ampia letteratura scientifica che dice che è molto limitata, e che va dal 19 al 29%. Questo lo dice per esempio Peter Doshi, che è co-direttore dell’autorevole British Medical Journal. L’efficacia stimata è ben al di sotto di quella del placebo, che essenzialmente non dà nessun effetto nell’organismo, e anche al di sotto della soglia di commerciabilità.

Se è un preparato inadatto privo delle caratteristiche di commerciabilità, perché viene venduto e somministrato?

Perché i dati che hanno fatto passare non sono reali. Si è parlato di un 95% di efficacia, ma in realtà i test sono stati fatti su una popolazione che non contraeva la malattia, non tra gli ultra-ottantenni con più patologie. Anche dando per buono quel 95%, saremmo comunque al di sotto di 4 punti percentuali rispetto all’efficacia della natura, cioè rispetto alle possibilità di contrastare il virus grazie al proprio sistema immunitario. Tanto è vero che l’indice di mortalità è al di sotto dell’1%. Parliamo dello 0,014%. Dopo di che questi vaccini a mRNA non sono stati realmente testati, sono stati approvati a condizione, sulla base delle dichiarazioni e dei dati forniti dalle stesse case produttrici. E’ come andare a chiedere all’oste se il vino è buono. Insomma, non c’è stata una verifica al di sopra delle parti.

Cosa serve per giungere alla vera approvazione?

Anzitutto, determinati studi. C’è tutto un cammino di sperimentazione che deve essere compiuto per giungere ad evidenze scientifiche sull’efficacia, e soprattutto sulla sicurezza. Si deve accertare che siano innocui. Il foglietto stesso della casa farmaceutica invece dice chiaramente che non conosciamo gli effetti collaterali a lungo termine, se possono avere effetti cancerogeni o se possono interferire con le gravidanze. Non sappiamo se passano nel latte materno. Ci sono dunque tutta una serie di incognite che non sono state verificate. Un primo resoconto si potrà avere solo al 31 dicembre 2023, quando terminerà la sperimentazione. Nel frattempo, gli eventuali effetti avversi si segnalano al medico curante e il medico curante li segnala agli enti preposti: questo significa che i soggetti vaccinati vengono usati come cavie.

Siamo cavie di un esperimento di massa?

E’ esattamente questo. Gli effetti avversi cominciamo a conoscerli tutti perché su tutti i vaccini genici che sono in commercio ci sono degli effetti avversi gravi. Anche se la percentuale può essere relativamente bassa, abbiamo comunque centinaia, migliaia di casi di morti. Su questi decessi si sbrigano subito a dire il giorno stesso dell’autopsia che non c’è il nesso di causalità tra il vaccino e la morte. Io dico che non è possibile dire che non ci sia alcuna correlazione dopo un’autopsia di una o due ore. Per stabilire il nesso di causalità per questo tipo di vaccini, bisogna fare degli studi molto approfonditi che richiedono molto tempo. Si parla di minimo due o tre mesi. Bisogna usare una metologia particolare e bisogna sapere cosa cercare. Solo in quel caso si può stabilire il nesso di causalità. Diversamente, è una cosa che non è realistica.

Da questo punto di vista non è stato detto ancora nulla. Nel pratico in cosa consistono questi studi?

Parlo da medico, basandomi sulle mie conoscenze e sui miei studi. Come minimo vanno conservati i tessuti per poterli esaminare nel tempo e cercare aspetti specifici. Questo implica un metodo di conservazione adeguato, perché altrimenti il tessuto organico si deteriora e il materiale al suo interno che può contenere lo stesso vaccino o alcuni virus, se non conservato in maniera corretta si degrada e poi non si trova più niente. Quindi intanto i tessuti prelevati dalle autopsie andrebbero tenuti minimo a -180 gradi. Lo stesso discorso vale per il vaccino: dicono che dovrebbe stare a -90 gradi per non degradarsi, ma in realtà anche questi preparati hanno bisogno di una temperatura che sia almeno di -180 gradi per conservarsi correttamente.

Un dato che già da solo sembra essere in grado di inficiare la buona riuscita della campagna vaccinale…

Il vaccino a seconda della temperatura richiede un tempo più o meno lungo per la degradazione. Se parliamo di una temperatura a -20 si degrada in qualche ora, se parliamo di -90 si degrada in qualche settimana, se parliamo di -180 si degrada in un periodo più lungo. Quindi nell’arco di qualche mese questi prodotti si degradano, e se iniettati dopo che hanno subito questo processo, i materiali di degradazione sono ancora più nocivi di quanto può essere il vaccino.

Perché non si fa questo? Esistono problemi strutturali, di strumentazioni?

Basterebbe volerlo fare. Sulle autopsie stabilire con certezza che esiste il nesso di causalità significa intanto che qualcuno deve risarcire i danni, poi significa ammettere che questi vaccini sono nocivi. In altre parole si potrebbero mettere in evidenza problemi che entrerebbero in contrasto con la somministrazione di massa e l’obbligatorietà vaccinale che si sta perseguendo, come nel caso dei sanitari. Non c’è altra spiegazione.

Ha citato il vaccino obbligatorio per i sanitari. Il governo ha previsto un demansionamento per chi dissente e addirittura la mancata erogazione dello stipendio, ma si poteva fare?

E’ stato un atto gravissimo. Prima di tutto perché è anti-costituzionale: non si può obbligare nessuno a un trattamento sanitario senza che ci sia il consenso reale di chi lo deve subire. Quello che è strano è che solo l’Italia tra tutti i Paesi ha pensato all’obbligo. Un provvedimento del genere potrebbe essere giustificato solo se l’indice rischio-beneficio fosse fortemente, e sottolineo fortemente, a favore del beneficio e non del rischio. La realtà, al netto dei numeri ufficiali che vengono dati, è che non c’è un grande beneficio a fronte di un rischio relativamente ridotto, perché la mortalità per questa malattia è ferma allo 0,014%. Praticamente sovrapponibile a quella della sindrome influenzale.

Non c’è questo morbo incurabile che giustifica interventi di questo tipo?

Non c’è. Io ho dimostrato insieme a moltissimi altri colleghi in Italia che si possono fare le cure a domicilio. Abbiamo curato tutti i casi che si sono presentati, non abbiamo dovuto ricoverare alcun paziente e non abbiamo avuto alcun decesso. Questa malattia si può curare. L’importante è imboccare tempestivamente la strada giusta, quella appunto della cura, non i percorsi sbagliati che aggravano la malattia fino a portare alla morte. Questo è quello che è avvenuto, sostanzialmente. Chi cura la malattia agisce secondo scienza e coscienza, non secondo protocolli terapeutici spesso sbagliati. Non c’è quindi ragione di avere tutta questa paura, tutto questo timore, per questo virus. Di contro, i fenomeni avversi che caratterizzano i vaccini anti-covid sono sotto gli occhi di tutti. Si tratta di centinaia, migliaia di effetti avversi anche letali: quelli sì che sono incurabili. Non è come dice Remuzzi, che pure l’aspirina ha effetti collaterali. Non si può paragonare un farmaco sperimentato da decenni di cui conosciamo tutto, con un vaccino genico di cui non conosciamo gli effetti avversi nell’immediato e nel lungo periodo. Ecco perché a Porta a Porta da Vespa ho detto che Remuzzi ha detto delle cose assolutamente anti-scientifiche.

Lo scorso 8 aprile il Senato ha approvato una mozione sulle terapie domiciliari. Siamo finalmente sulla strada giusta?

E’ la strada giusta e lo dico da mesi. Su La7, quando sono stato intervistato da Giletti o da Formigli, mi hanno fatto passare per uno stregone, come se curare a casa un paziente fosse diventato un misfatto. Mi hanno perfino denunciato all’Ordine dei medici ma dopo qualche settimana, dopo che anche il Tar ha iniziato a dire che le cure domiciliari sono importanti, gli stessi che mi insultavano, per esempio Sileri (viceministro alla Salute, nda) e Giletti, sono andati in trasmissioni nazionali a dire che la medicina di base deve essere rivalutata.

Insomma chi cura i pazienti viene additato, chi è per la vigile attesa senza far nulla viene osannato.

Esatto, chi è per la sorveglianza vigile col paracetamolo che in realtà porta all’aggravamento del paziente, secondo loro agisce bene. L’osservazione è giusta, per carità, ma gli antipiretici possono essere fortemente lesivi nel malati di covid: possono aggravare la malattia, perché la febbre è un meccanismo di difesa dell’organismo.

Da quello che ho capito, così tra l’altro non si agisce sull’infiammazione. E’ vero?

Non si agisce ma anzi si aggrava, a causa dei meccanismi che si vanno ad instaurare.

I numeri dello scorso anno sui decessi nascondono anche i casi di abbadono del malato. Borrelli lo ha in qualche modo ammesso nel corso di una conferenza stampa diventata tristemente celebre per quel “contiamo tutti i morti, non solo quelli per coronavirus”

Esattamente. I pazienti non potevano essere visitati dai loro medici curanti a causa delle disposizioni normative, con tutto quello che ne è seguito. Fortuna che io e molti altri colleghi abbiamo contravvenuto alle direttive e abbiamo curato comunque i pazienti a domicilio, secondo scienza e coscienza. Sono gli altri medici che hanno fatto i danni, provocando l’aggravamento di chi poi si è recato al pronto soccorso e si è sottoposto al tampone. Il problema è che tutti i tamponi positivi sono stati trattati come casi covid.

Esistono documenti che noi abbiamo trattato che parlano del fenomeno dei “falsi positivi”. Uno studio del professor Zhuang pubblicato dal NCBI di Bethesda dice che nell’80,33 per cento dei casi i tamponi riportano risultati errati.

Certo, perché il tampone, io lo dico e l’ho dimostrato ovunque, è assolutamente inattendibile, non è stato mai standardizzato, non è stato mai validato e non è diagnostico. Lo ha ammesso la stessa Organizzazione mondiale della Sanità. Ormai lo sanno anche le pietre ma continuano sulla base dei falsi positivi ad adottare queste misure restrittive che non hanno alcun senso, non tutelano la salute e creano gravissimi danni all’economia nazionale.

Pensare che il tampone potrebbe diventare obbligatorio tramite l’introduzione del covid pass, su cui punta il ministro al Turismo Garavaglia.

Sono forme di ricatto che stanno tentando di introdurre. Non gli basta il decreto legge che obbliga i sanitari al vaccino. Se non ci arrivano con la legge, ci vogliono arrivare con ricatti vari. Questo significa che stiamo andando verso una deriva di tipo dittatoriale.

Tra informazione, disposizioni sanitarie e impunità, sembra di essere già in una dittatura conclamata. Draghi nel corso dell’ultima conferenza stampa ha parlato della necessità di sottoporsi al vaccino anti-covid anche per i prossimi anni. Ma il virus non doveva diventare endemico? Non si diceva che avremmo imparato a conviverci sviluppando gli anticorpi?

Infatti se non vengono praticate le vaccinazioni il virus diventa endemico, piano piano perde la sua virulenza e dopo di che gli organismi ci convivono tranquillamente. E’ quella la vera immunità di gregge, che non si ottiene mai con le vaccinazioni.

E’ vero che non bisogna vaccinare quando è in corso un’epidemia?

Certo, lo dico io e lo dicono altri autorevoli autori, primari di ospedale, specialisti del settore e scienziati molto preparati. E’ controproducente, non facciamo che aggravare la situazione.

Ascoltandola si capisce perché non la fanno parlare.

Perché mentre tutte le tv nazionali e tutti gli organi di stampa nazionale portano avanti una voce unica e vogliono far passare questo vaccino per un toccasana senza nessuna spiegazione scientifica, io dico cosa significa vaccinarsi, come è fatto il vaccino, i suoi meccanismi di azione e i possibili danni a distanza. Tanto è vero che ho parlato delle tromboembolie prima che iniziassero le somministrazioni del vaccino. Basterebbe osservare, studiare, basarsi sulla propria esperienza, come faccio io.

L’impressione è che quelli che vogliono far passare un certo tipo di narrativa si dividano in chi realmente non sa e in chi per qualche motivo fa finta di non sapere.

In Italia c’è un grosso problema, ed è quello del conflitto di interessi. Ci sono virologi, ricercatori e cattedratici che fanno ricerca finanziata dalle case farmaceutiche e partecipano a convegni organizzati da loro per fior di gettoni di presenza. Di fatto non sono più soggetti che parlano di scienza al di sopra delle parti, ma promotori farmaceutici che coltivano determinate strategie commerciali. Altri semplicemente vanno avanti con l’idea del vaccino miracoloso, senza approfondire. In questi giorni mi chiamano tanti colleghi che mi dicono: ho fatto il vaccino maledetto me, ho questi sintomi. Ora che faccio? Niente, non puoi fare niente.

Dopo non si può fare più nulla?

No perché determinati vaccini oltre al fenomeno tromboembolico possono scatenare anche dei meccanismi auto-immunitari, che non si possono più curare. Ci sono i vaccini a mRNA che hanno un tipo di problemi, poi ci sono i vaccini a vettore adenovirale che possono avere anche ulteriori complicazioni. Siccome sono coltivati su linee cellulari rese immortali prelevate da feti abortiti, portano con sé quella contaminazione e possono generare il cancro. Non solo: siccome entrano nel nucleo della cellula, possono anche alterare il patrimonio genetico. Le alterazioni possono ricadere sul soggetto che si è fatto la vaccinazione ma anche sui figli, sui figli dei figli e via discorrendo. Per quanto riguarda i vaccini a mRNA, sono stati ingegnerizzati per non entrare nel nucleo della cellula, ma non è detto che non possa accadere.

Perché?

Perché è vero che quel mRNA dura poco perché si distrugge nel citoplasma, ma avviene comunque la produzione della proteina spike che poi l’organismo vede come estranea, e contro cui produce anticorpi. Questa proteina può creare degli effetti collaterali, come i fenomeni tromboembolici che hanno già provocato decessi. La proteina spike, quindi, produce fenomeni dannosi non solo con il virus ma anche con i vaccini.

Il fenomeno delle tromboembolie alla fine è stato ammesso dalla stessa EMA per quanto riguarda AstraZeneca.

Sì ma riguarda anche Pfizer, Moderna, riguarda tutti i vaccini anti-covid, perché sono effetti avversi legati alla proteina spike, che è anche tossica e neuro-tossica, quindi può anche provocare effetti avversi di tipo nervoso ma anche di tipo immunitario in forza delle sue sequenze geniche molto simili, se non uguali, a quelle dell’organismo. Per cui l’organismo quando produce anticorpi contro la proteina spike, produce anticorpi anche contro sé stesso e contro i suoi tessuti. Si può giungere a fenomeni immunitari multi-organo, quindi effetti avversi gravissimi che possono portare anche al decesso. Questi sono meccanismi di azione che qualunque medico dovrebbe conoscere.

Riassumendo e concludendo, mi domando perché una persona dovrebbe sottoporsi a un vaccino che ha questi rischi per una malattia che ha una letalità dello 0,014%, come ha detto lei.

Esattamente. Intanto se malauguratamente dovessero incorrere nel virus si possono curare, mentre per i casi difficili di persone che non riescono a sviluppare difese autonome ci sono gli anticorpi monoclonali e c’è la plasmaferesi praticata con grande successo da De Donno. Di che ci dobbiamo preoccupare? Il problema è che laddove c’è una terapia valida e senza controindicazioni, questa viene squalificata e mortificata, laddove abbiamo meccanismi non terapeutici come la vaccinazione, si fanno passare come un qualcosa di miracoloso, di dogmatico. Tutto questo fa pensare che ci sia una strategia diversa dal mantenere la popolazione in salute. Lo Stato anziché spendere fior di milioni per una propaganda terroristica che diffonde panico in tutta la popolazione, potrebbe spendere per dire alla popolazione come mantenersi in salute.

Direttore e Founder di Rec News, Giornalista. Inizia a scrivere nel 2010 per la versione cartacea dell'attuale Quotidiano del Sud. Presso la testata ottiene l'abilitazione per iscriversi all'Albo nazionale dei giornalisti, che avviene nel 2013. Dal 2015 è giornalista praticante. Ha firmato diverse inchieste per quotidiani, siti e settimanali sulla sanità calabrese, sulle ambiguità dell'Ordine dei giornalisti, sul sistema Riace, sui rapporti tra imprenditoria e Vaticano, sulle malattie professionali e sulle correlazioni tra determinati fattori ambientali e l'incidenza di particolari patologie. Più di recente, sull'affare Coronavirus e su "Milano come Bibbiano". Tra gli intervistati Gunter Pauli, Vittorio Sgarbi, Armando Siri, Gianmarco Centinaio, Michela Marzano, Antonello Caporale, Vito Crimi, Daniela Santanché. Premio Comunical 2014. Autrice de "I padroni di Riace - Storie di un sistema che ha messo in crisi le casse dello Stato". Sito: www.zairabartucca.it

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Giancarlo Casu

Assolutamente d’accordo.

INTERVISTE

Salute femminile,
IA e medicina di genere: innovazioni, sfide e prospettive per un futuro più equo

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Salute femminile, IA e medicina di genere: innovazioni, sfide e prospettive per un futuro più equo

La salute delle donne è un tema di crescente interesse globale, con implicazioni significative per la società nel suo complesso. Nonostante i progressi scientifici e tecnologici, permangono sfide sostanziali nell’assicurare che le donne ricevano cure adeguate e personalizzate. Questa indagine esplora le strategie farmaceutiche e le innovazioni che stanno rivoluzionando il campo, evidenziando l’importanza di aumentare la consapevolezza e l’accesso alle cure.

La salute delle donne: una questione di equità

Storicamente, la ricerca medica si è concentrata principalmente sulla salute maschile, spesso trascurando le peculiarità biologiche e le esigenze specifiche delle donne. Questa disparità ha avuto un impatto negativo sulla diagnosi e sul trattamento delle malattie femminili.

Ad esempio, le malattie cardiovascolari, spesso percepite come una minaccia maggiore per gli uomini, sono in realtà la principale causa di decesso patologico tra le donne. L’assenza di sintomi “classici” negli attacchi di cuore femminili è un esempio di come la mancanza di consapevolezza possa essere pericolosa.

Un discorso a parte meritano le malattie reumatologiche che, aspetto spesso sottovalutato, interessano molto le donne in età riproduttiva, costituendo uno dei fattori che possono incidere negativamente sulla natalità¹. «La ragione della prevalenza femminile di queste patologie sembra risiedere nel fatto che queste ultime siano caratterizzate da una predisposizione genetica e ormonale che può favorire lo sviluppo di una risposta autoimmune più aggressiva», chiarisce l’Osservatorio italiano genere donna, che sostiene l’importanza della prevenzione: «Riconoscere la patologia sin dalle prime fasi – scrivono dall’Osservatorio – consente di avviare il percorso terapeutico prima che si verifichino danni permanenti. Oggi, infatti, i medici dispongono di strumenti diagnostici molto sofisticati e terapie che consentono in molti casi di fermare la progressione della malattia e assicurare una buona qualità di vita».

Il direttore del Centro di riferimento per la medicina di genere dell’ISS, dottoressa Elena Ortona

Insomma, «molte patologie si presentano in modo diverso nelle donne rispetto agli uomini”, chiarisce il direttore del Centro di riferimento per la medicina di genere dell’ISS Elena Ortona (in alto nella foto), intervistata da Rec News. «Un esempio emblematico è l’infarto miocardico, che nelle donne può manifestarsi con sintomi atipici come nausea, dolore alla schiena o affaticamento, portando a diagnosi ritardate e a trattamenti meno tempestivi. Inoltre, le donne metabolizzano alcuni farmaci in modo diverso rispetto agli uomini a causa di differenze ormonali ed enzimatiche. In passato, la ricerca farmaceutica si basava principalmente su soggetti maschili, portando a dosaggi non sempre adeguati alle donne. Oggi, la medicina di genere promuove studi più equilibrati per ottimizzare le terapie», puntualizza ancora la dottoressa Ortona.

Strategie farmaceutiche: verso la medicina di genere

Negli ultimi anni anche l’industria farmaceutica ha iniziato a riconoscere l’importanza della medicina di genere, che tiene conto delle differenze sessuali e di genere nella prevenzione, diagnosi e nel trattamento delle malattie. Diversi organismi si stanno focalizzando sempre più sull’universo femminile, avviando ricerche specifiche sul particolare impatto che determinate patologie hanno sulle donne.

In Italia la galassia degli organismi che portano avanti le ricerche cliniche più rappresentative sul tema comprende il Centro di Riferimento per la Medicina di Genere dell’Istituto Superiore di Sanità, il Centro Studi Nazionale su Salute e Medicina di Genere e il Gruppo italiano salute e genere (GISEG).

«La ricerca in medicina di genere – puntualizza ancora la dottoressa Ortona dell’Istituto Superiore di Sanità – ha fatto notevoli progressi, ma ci sono ancora diverse sfide e opportunità di miglioramento.  Negli ultimi anni si è assistito a una maggiore attenzione agli studi preclinici e clinici che analizzano le differenze tra uomini e donne. Questo è in parte dovuto ad una maggiore sensibilizzazione e formazione delle ricercatrici e ricercatori all’importanza di considerare il sesso e genere nei propri studi, ma anche al fatto che le principali riviste scientifiche come Nature e Lancet hanno inserito nelle istruzioni per gli autori la regola di mostrare i propri dati in modo disaggregato per sesso».

«Questo – prosegue Ortona – ha portato a una migliore comprensione delle variazioni nella incidenza e manifestazione delle malattie, nella risposta ai farmaci e nei fattori di rischio. Tuttavia, molto deve essere ancora fatto. In particolare, è fondamentale includere in maniera equilibrata soggetti di entrambi i sessi al fine di sviluppare trattamenti mirati che tengano conto delle differenze biologiche e poi analizzare i dati in modo disaggregato. Questo metodo porterà non solo ottimizzare il dosaggio dei farmaci, ma anche progettare nuove molecole e strategie terapeutiche». 

Innovazione tecnologica: La rivoluzione dei dati

Anche l’innovazione tecnologica sta giocando un ruolo cruciale nel trasformare la salute delle donne. L’uso di big data e intelligenza artificiale consente di analizzare enormi volumi di dati per identificare modelli e tendenze che potrebbero sfuggire alle analisi tradizionale. Queste tecnologie stanno iniziando a offrire nuove opportunità per personalizzare le cure e migliorare i risultati sanitari, e per quello che riguarda l’IA possono permettere di individuare precocemente alcune patologie tramite le cosiddette analisi predittive e l’analisi personalizzata e combinata della predisposizione genetica del singolo paziente, dei fattori di rischio e dello stile di vita.

L’Intelligenza Artificiale, inoltre, sembra prestarsi bene alla risoluzione del problema della scarsa o nulla aderenza alle terapie², che riguarda in particolare chi è affetto da patologie croniche e gli anziani. Si tratta di soggetti che rinunciano a curarsi, oppure rinunciano ad adottare stili di vita alternativi in grado di minimizzare il rischio di incorrere in determinate patologie. Tra questi soggetti molte sono le donne, come chiarisce il Portavoce della Rete delle Cattedre UNESCO italiane e professore emerito di Endocrinologia presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” Andrea Lenzi. «Il sesso femminile – spiega Lenzi – è emerso come predittore indipendente di non aderenza ai farmaci ipoglicemizzanti, alla terapia ipolipemizzante e ai regimi farmacologici impiegati dopo un IMA in ampi studi di coorte e meta-analisi». 

Cosa può fare l’IA in un campo come questo? Diventare un assistente virtuale in grado di generare alerts personalizzati che possono migliorare l’aderenza alla cura e aiutare a generare buone abitudini e dunque stili di vita migliorati.

Aumentare la consapevolezza: l’importanza dell’educazione

La medicina di genere e l’intelligenza artificiale stanno quindi ridisegnando il modo in cui viene vissuta e percepita la salute femminile. Ma da sole, ovviamente, potrebbero non bastare. Educare le donne sui loro diritti sanitari e sulle opzioni disponibili è fondamentale per migliorare i risultati di salute, e in questo senso le campagne di sensibilizzazione e i programmi educativi possono aiutare a colmare il divario informativo e a promuovere decisioni sanitarie più informate.

Un altro aspetto riguarda i decisori, come ha ben spiegato la dottoressa Ortona dell’Istituto Superiore di Sanità: «E’ necessario – ha detto a Rec News – sostenere e incentivare finanziamenti e programmi di ricerca che abbiano la medicina di genere come asse portante, per colmare le lacune ancora presenti e favorire l’innovazione in ambito clinico e farmacologico. Perché pur avendo raggiunto traguardi importanti, la medicina di genere è ancora in una fase evolutiva. Il futuro richiede uno sforzo coordinato per integrare conoscenze multidisciplinari, sviluppare studi più inclusivi e applicare le nuove tecnologie, in modo da garantire – ha concluso – cure sempre più personalizzate ed efficaci».

FONTI:

¹Le malattie autoimmuni reumatologiche, in Genere Donna https://www.generedonna.it/patologie-di-genere/genere-e-autoimmunita/malattie-autoimmuni-reumatologiche/

² Adherence to long-term therapies : evidence for action – Institutional Repository for Information Sharing and World Health Organitation

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ARTE & CULTURA

Cucinotta a Rec News: “Il mio Sud nel nuovo film da protagonista” (Video e Gallery)

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Maria Grazia Cucinotta a Rec News: "Vi racconto il mio Sud nel nuovo film da protagonista" (Gallery) - Gli agnelli possono pascolare in pace anteprima
Foto ©Denys Shevchenko/REC NEWS

Maria Grazia Cucinotta è la protagonista del nuovo film di Beppe Cino “Gli agnelli possono pascolare in pace”, presentato ieri in anteprima a Roma al Cinema Caravaggio e nelle sale dall’11 aprile. Nella pellicola ambientata in Puglia è Alfonsina, donna ingenua con abitudini singolari che a un certo punto viene colta da sogni rivelatori.

Bidella in pensione devota al culto dei cari defunti e lontana dal fratello, sarà un inaspettato incontro con il Sacro a mettere ordine in tutti quegli aspetti della sua vita rimasti in ombra, e a svelare i legami e i segreti che animano il borgo pugliese dove abita. Abbiamo intervistato Maria Grazia Cucinotta a margine della proiezione dell’anteprima romana.

Quanto c’è di lei nel film “Gli agnelli possono pascolare in pace?

Di sicuro il Sud. Il Sud mi appartiene e di conseguenza c’è molto di questo suo modo di essere. Attaccata alla terra, attaccata agli affetti, attaccata alla verità. E’ anche un personaggio molto distante. E’ una bidella che ama Pasolini e sembra uscita un po’ fuori da una favola. Anche il mondo che la circonda sembra essere uscito fuori da un piccolo metaverso che si muove in un mondo moderno.

Il film ha un messaggio particolare?

Ce ne sono tanti di messaggi, tra l’altro attualissimi. Tutte le guerre sono dettate dai confini e dal potere e un po’ questo film parla proprio di questo e al fatto che tutti i confini e tutti i pregiudizi portano alla fine alla rabbia e alla non accettazione. E’ un messaggio molto importante. Tra le risate e queste visioni c’è una grande verità.

Progetti futuri che può anticiparci?

Questo film è in uscita quindi aspettiamo di vedere come va. L’11 uscirà in tutta Italia e speriamo che la gente torni al cinema.

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INTERVISTE

Reati contro i minori, intervista al ministro della Famiglia Eugenia Roccella (Video)

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Reati contro i minori, intervista al ministro della Famiglia Eugenia Roccella (Video) | Rec News dir. Zaira Bartucca
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INTERVISTE

Ddl Nordio, Caporale: «Non libera la magistratura dai suoi mali, ma colpisce la Giustizia giusta»

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Riforma Nordio, Caporale: "Non libera la magistratura dai suoi mali ma colpisce la Giustizia giusta" | Rec News dir. Zaira Bartucca

Il Ddl Nordio è forse l’eredità più consistente lasciata da Silvio Berlusconi. E’ infatti figlio di un modo preciso di intendere la Giustizia, le leggi, la magistratura. Per alcuni rappresenta l’ennesimo colpo inferto alla libertà di espressione, all’autonomia dei magistrati e allo stesso cittadino, che potrebbe essere maggiormente esposto a determinate fattispecie di reato che potrebbero essere depenalizzate. Ne abbiamo parlato con il giornalista Antonello Caporale.

Il giornalista Antonello Caporale

È davvero necessario abolire l’abuso di ufficio per tutelare quei sindaci che, a sentire la maggioranza, hanno le “mani legate”?

Io penso che la riforma viva di un bisogno ideologico. Anziché definire ulteriormente un reato che, è vero, è molto vago, lo hanno tolto di mezzo. Così facendo hanno mostrato il loro intento, che è quello di sminuire ulteriormente la magistratura.

Nordio è un ex magistrato.

Ma è come quei tabagisti che fumano, smettono poi finiscono con l’odiare le sigarette. Nordio è un magistrato ma odia i magistrati, ha utilizzato in modo massiccio le intercettazioni e da ministro le ha tagliate. Si è sempre proposto come l’alfiere della magistratura di destra ma dice che i magistrati fanno politica. La sua sembra una vita capovolta. C’è un’idea di fondo ideologica prima ancora che giudiziaria. E’ la stessa cosa che ho visto con la dichiarazione del lutto nazionale, che come sai viene dichiarata dal governo utilizzando la sua discrezionalità. In genere si fa per i martiri della mafia, ma in questo caso hanno voluto elevare la figura di Berlusconi.

Farà la fine di Craxi, un altro personaggio controverso che con il passare degli anni è diventato un’eroe nazionale. Si può dire che la Riforma Nordio sia un po’ l’ultimo lascito di Berlusconi, cioè la manifestazione ultima di un certo modo di intendere la Giustizia?

Possiamo anche dire per principio che i reati, la criminalità non esistono, ma restano comunque. Possiamo decretare sconfitta la mafia e la ‘ndrangheta, ma il pizzo c’è. Sono azioni temerarie, protervie e ingenue.

Prima hai parlato di intercettazioni. Secondo i detrattori del disegno di legge calerà una scure ulteriore sulla possibilità di informare liberamente.

Non sappiamo ancora cosa resterà e cosa verrà buttato della Riforma, che probabilmente sarà fatta a pezzi dalla Corte Costituzionale. Ma già con il solo fatto di aver annunciato una stretta sulla intercettazioni sono stati lanciati due messaggi. Uno alla magistratura, a cui in pratica è stato detto mettetevi in fila e capite che il vento è cambiato, e uno all’informazione, a cui si tenta di dire attenzione, perché non puoi più osare come prima. La magistratura, comunque, non è esente da mali. Con la riforma non si sta liberando la magistratura del proprio conformismo, delle proprie convenienze e del fatto che ci sono magistrati che non lavorano e non sono equi, ma si sta riducendo l’ampiezza della libertà dei magistrati. Avranno più margine quelli più convenzionali e collusi, meno quelli coraggiosi che hanno voglia di fare. Se ci fai caso si parla sempre di magistrati di destra e di sinistra, ma mai di chi lavora bene e di chi lavora male.

Erano forse più questi gli aspetti da riformare.

Appunto, invece si sceglie di trascurarli. Nessuno si domanda perché uno ha fatto cinque processi e un altro 55, oppure perché con l’aumentare dell’organico delle Forze dell’Ordine non si riducono i reati. Dovremmo essere più sicuri, e invece? Immagino che non sia un lavoro certosino, organico, sistemico, ma che sia un lavoro occasionale. Faccio quello che lavora, fingo per la televisione e poi chi si è visto si è visto. Arresto chi so già che non può stare dentro, indago persone su cui non ho nulla. Ci sono poi le querele temerarie, come quelle che sono capitate a me e ad altri giornalisti, che sono azioni di parassitismo giudiziario che diventano lecite, invece non lo sono affatto. La lotta però non è contro questi mali, ma contro la Giustizia giusta.

Dal punto di vista politico pensi che la Riforma possa essere in qualche modo divisiva oppure c’è un’intesa che va al di là degli schieramenti politici?

C’è sicuramente intesa, altrimenti il codice penale non sarebbe così cavilloso. Le leggi le fa il Parlamento e c’è interesse a rendere i processi pieni di cavilli, possibilità e subordinate. La politica teme la magistratura, a volte perché esagera a volte perché è un potere che controlla.

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