Prisma, l’algoritmo (orwelliano) per scovare i non vaccinati
Recnews.it | L’algoritmo di Net Medica Italia ideato in collaborazione con l’Università Politecnica delle Marche e con la FIMMG è un idea di Emanuele Frontoni, l’esperto di IoT e di Interfaccia uomo-macchina destinatario dei voucher consulenze del MISE
George Orwell avrebbe potuto imparare qualcosa dagli ultimi due anni di pandemia proclamata. Dopo Immuni, Io, Mitiga e il Covid pass arriva Prisma, l’algoritmo di Net Medica Italia ideato (in collaborazione con il dipartimento di Ingegneria informatica dell’Università Politecnica delle Marche e con la Federazione Italiana dei Medici di Medicina Generale) da Emanuele Frontoni, docente universitario che nel 2018 appare tra i relatori di TED Macerata. Al software che si propone di “scovare” i non vaccinati che controlla, analizza, utilizza e archivia i dati sanitari sensibili dei cittadini, ha fatto riferimento questa mattina il componente del Cts dell’ISS francese Walter Ricciardi, ospite di Studio24 (Rai News): “Lo abbiamo elaborato per andare a scovare i non vaccinati, per andarli a rintracciare”, sono state le parole dell’igienista che ha avuto un ruolo nella nascita dell’algoritmo in qualità di consulente del ministero della Salute.
Il progetto presentato a Speranza e a Figliuolo
Il progetto basato sull’Intelligenza Artificiale è stato presentato negli scorsi giorni a Roberto Speranza e al generale Figliolo. In pratica l’algoritmo preleva informazioni da diverse banche dati e li incrocia con i database regionali: “Serve per individuare le persone che non sono state vaccinate, e questo si ottiene incrociando le liste dei nostri pazienti presenti nei nostri database con quelle delle piattaforme regionali”, ha ammesso il segretario della FIMMG Massimo Magi (anche lui ha avuto un ruolo nel progetto) che ha rilasciato un intervista sull’argomento a Cronache Maceratesi.
Entra poi in gioco il medico curante che, se ritiene di aderire (e i premi economici per singola dose somministrata fungono da incentivo), riceve degli alerts dalla piattaforma con i nominativi delle persone da vaccinare. Non prima che Prisma si sia preoccupata – da sola e saltando il consulto su misura – di inviare un messaggio automatico con tanto di data e orario di prenotazione al possibile vaccinando. Non proprio il massimo se si pensa alle reazioni avverse (tromboembolie, miocarditi ecc.) che si sarebbero potute evitare se non fosse stata avviata una campagna vaccinale di massa indiscriminata. Che, cioè, non tiene conto delle necessità di ognuno, ma invita tutti – indistintamente – a prestarsi alla somministrazione di un siero sperimentale proprio tramite continui inviti di adesione inoltrati tramite lettere, mail, sms e bombardamento televisivo. Un lavoro che in questa fase spetterà proprio a Prisma e ai suoi messaggini. Un problema, quello delle reazioni avverse, che gli ideatori dell’algoritmo pensano di risolvere alla radice sondando l’anamnesi e gli storici per singolo paziente. Ma che succede se un dato che può rivelarsi di importanza capitale (per esempio un’allergia potenzialmente foriera di uno shock anafilattico) non è stato caricato e rimane – quindi – ignorato? Che il software può prendere una decisione sbagliata, indirizzando verso il vaccino una persona che invece rischia effetti avversi anche letali. Un algoritmo può – poi – sostituirsi al rapporto medico-paziente o peggio influire sulle decisioni dei professionisti sanitari? E che succede se diventa preda di attacchi di hacking? Presto detto: che i dati sanitari di ognuno da ostaggio di determinate società possono diventare preda di malintenzionati.
E la Privacy?
Non è chiaro se il software sia in grado di rispettare tutti i diritti del potenziale vaccinando in fatto di Privacy, tantomeno quelli di chi, per motivi specifici o per convinzione personale, non vuole sottoporsi a vaccinazione. Il Garante per la Protezione dei dati personali di recente ha espresso forti riserve sull’app Mitiga, perché per la sua applicazione – ha rilevato – ” manca la base giuridica”. Una sorte analoga è toccata al Covid pass, che all’esperto di settore Guido Scorza è apparso come “un modo per segnalare chi non vuole ricevere i trattamenti sanitari“. Lo scorso febbraio, inoltre, il GPDP chiariva (articolo in basso) che nessuno, neppure il datore di lavoro, può chiedere informazioni sullo stato vaccinale di una persona, né trattare o tentare di ottenere nominativi abbinandoli a informazioni sanitarie. Come si collocano in questo contesto Prisma e Net Medica Italia? Il Garante, per il momento, non si è espresso sull’argomento, ma non è da escludersi che lo faccia a breve.
Chi è Emanuele Frontoni
Dietro l’ideazione di Prisma c’è come accennato Emanuele Frontoni, docente di Fondamenti di Informatica e di “Computer Vision” che insegna presso la Facoltà di Ingegneria dell’Università Politecnica delle Marche. Già ricercatore e autore di diverse pubblicazioni assieme a Primo Zingaretti, si laurea nell’anno accademico 2000/2001 con una tesi intitolata “Metodi per l’estrazione di informazioni da sequenze del DNA“. Nel 2019 – governo Conte e ministri allo Sviluppo Economico Di Maio prima e Patuanelli poi – viene inserito nell’Elenco dei manager qualificati e delle Società in forza al MISE che hanno ottenuto voucher per consulenze in innovazione. Frontoni risulta specializzato in Robotica avanzata e collaborativa, in Interfaccia uomo-macchina e in Internet delle cose e delle macchine (IoT). Negli ultimi due settori ha un’esperienza ultra-decennale. E’ a capo della società di consulenza JEF s.r.l. (già JEF Knowledge Applications) collegata allo spin-off dell’Università Politecnica delle Marche Enjoy Visual Experiences.
Curiosità
PRISMA è un acronimo che designa una Macchina a stati prioritari. La dottoressa Silvia Maria Zanoli (che ha lavorato assieme a Emanuele Frontoni presso la sede di Fermo dell’Università Politecnica delle Marche) ne parla in una pubblicazione intitolata “Priority State Machine (PriSMa): a practical tool for DES control system developers”. Lo studio rappresenta la summa di un intervento che l’esperta ha tenuto presso una conferenza organizzata nel 2007 dallo IEEE (Institute of Electrical and Electonic Engineers) dal titolo vagamente transumanista Systems, Man and Cybernetics. Casualità o meno, la parola “Prisma” caratterizza diversi progetti di controllo e di ingegneria sociale. Il termine è per esempio molto caro all’ASI, l’Agenzia Spaziale Italiana che così ha chiamato un bando di gara, un sistema di osservazione della Terra e un satellite lanciato nel 2019 che secondo alcuni osservatori avrebbe avuto un ruolo nella frode elettorale statunitense. “Prisma” è, inoltre, il nome di un’azienda che si occupa di Cyber Security e di Big Data che ha tra i suoi clienti Leonardo, il Ministero dell’Istruzione, l’Inail, Poste Italiane, Alitalia, Sogei, Acea, Intesa San Paolo, Tim, Wind, Enel e il Ministero dell’Economia e delle Finanze.
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Rischio Phishing con il sistema di allarme It Alert. Come difendersi
It Alert, il servizio nazionale di allarme e controllo promosso dal governo e dalla protezione civile, non ha mancato di sollevare critiche per i rischi connessi alla privacy e per l’effettiva inefficacia nel segnalare le calamità. Nonostante tutto continua la sperimentazione: il 19 settembre è stata la volta di Lombardia, Molise e Basilicata, mentre i cittadini di altre regioni saranno interessati dall’invio di notifiche di massa nei prossimi giorni. I test andranno avanti fino a ottobre.
C’è da dire subito che chi non vuole ricevere le notifiche push di It Alert può disattivare una specifica funzione presente negli smartphone, come si leggerà nei prossimi paragrafi. Si tratta di un buon modo per troncare a monte le possibilità di finire nella rete dei cybercriminali, che stanno sfruttando il sistema di allarme e controllo per inviare messaggi e notifiche del tutto simili a quelle inviate dalla protezione civile.
Gli avvisi e il rischio di incorrere nella rete dei cyber-criminali
IT Alert potrebbe infatti rappresentare un ponte tra l’utente del tutto ignaro e i malintenzionati che sfruttano le dinamiche digitali. E’ quanto ha affermato il Cybersecurity di NordVPN Adrianus Warmenhoven, che ha chiarito come “gli avvisi governativi possano essere utilizzati in modo improprio da terzi che non hanno buone intenzioni”. Il riferimento è alle truffe via phishing, e al rischio di ricevere messaggi contenenti link che molti potrebbero essere indotti a cliccare nella convinzione che si tratti degli avvisi di It Alert.
Come disattivare It Alert
Per disattivare il servizio IT-Alert sui dispositivi Android:
- Accedere alle Impostazioni dello smartphone.
- Fare clic su “Sicurezza ed emergenza” o “Password e Sicurezza” oppure “Alert e terremoti”, a seconda del tipo di dispositivo.
- Nella sezione “Avvisi di emergenza” o “Allarmi pubblici” troverete l’opzione IT-Alert. Potrete disattivarla semplicemente rimuovendo il flag di attivazione. Per evitare di ricevere notifiche, è però necessario deselezionare tre voci: “Consenti allerte“, “IT Alert” e “Messaggi di test“. E’ inoltre necessario selezionare la voce “Mai” nella scheda “Promemoria allerte”. Queste funzioni sono poste una di seguito alle altre. Per verificare se è già stata ricevuta una notifica IT Alert, si può invece cliccare su “Cronologia allerte di emergenza”.
Per chi utilizza dispositivi Apple, disattivare IT-Alert è altrettanto semplice:
- Accedere alle Impostazioni.
- Selezionare “Notifiche” e scorrere verso il basso fino alla sezione denominata “Avvisi di emergenza”.
- Disattivare la funzione IT-Alert in questa sezione per non ricevere più notifiche e controllare le aree che potrebbero aggiungersi a seguito di aggiornamenti dello smartphone.
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L’ennesimo Pass (con tanto di microchip) per oggetti che ci seguono ovunque
Gianluca Isaia, presidente e Amministratore Delegato di ISAIA S.p.a., ha un modo tutto suo di interpretare il controllo e la volontà di estenderlo in sempre più settori della vita quotidiana. E’ una “coccola” – ha detto ieri alla Farnesina presentando il progetto esteso di un passaporto digitale per i capi di abbigliamento – che si fa al cittadino, che però in alcuni casi è ignaro delle decisioni che vengono prese ai piani alti e in altri non gradisce questo tipo di “attenzioni”. Per il supermanager Vittorio Colao l’idea di controllo coincideva con quella di “aiuto“, per l’AD della Società per azioni specializzata in abbigliamento maschile è più attinente alla sfera delle sensazioni. Sarà.
Quel che è certo, è che non sanno più cosa inventarsi per farci digerire un passaporto digitale dietro l’altro. L’archetipo sperimentale è stato il Green Pass, ma non è con la tessera sanitaria che si sono esaurite le mire dei vari governi che si succedono, che in tema di controllo la pensano tutti allo stesso modo. Nel caso appena citato si cavalca l’idea – tutto sommato accettabile in alcuni casi specifici – di “dare più informazioni” per citare lo stesso Isaia e, anche, quella già stantìa del “passaporto di unicità”. Ma è sulla possibilità di geolocalizzare le persone che indossano un determinato abito che, ovviamente, si concentrano i dubbi degli scettici.
E’ possibile tracciare gli spostamenti di una persona che indossa un abito dotato di chip RFID? A quanto pare, sì. La questione è stata sollevata nel 2017 da alcuni sindacati che agivano in tutela di 22mila dipendenti del sistema sanitario pubblico della Liguria, regione posta già allora sotto le ali del governatore Toti. Un fervente sostenitore, sia detto per inciso, del Green Pass e delle vaccinazioni di massa. Il caso era stato riportato dalla Repubblica di Genova, che così scriveva: “Il portiere del Galliera, Tullio Rossi, non sapeva di portare addosso un microchip. Lo ha scoperto, abbottonandosi la camicia della divisa: ha toccato un affarino duro all’interno della cucitura, l’ha tagliata ed ha visto la “cimice nera” grossa quanto una lenticchia. Si è chiesto cos’era. Nessuno lo aveva avvertito (anche se è un rappresentante sindacale) che l’ospedale avrebbe introdotto la novità”.
“In ogni momento e durante le ore di servizio, quel micro trasmettitore inserito in ciascun capo di abbigliamento, emanerà un segnale elettronico, permetterà di sapere dove si trova quella “divisa”. E pure chi la indossa“, scriveva Giuseppe Filetto in una disamina inquietante di sapore decisamente orwelliano. Cosa ne pensavano i dipendenti di questa “coccola”, come la chiamerebbe Isaia? Presto detto. “Credono che il localizzatore sia una grave violazione della Privacy e un controllo “fuorilegge” sul posto di lavoro. Si sentono spiati” e pensano che “la presenza di più microchip a contatto con varie parti del corpo costituisca un rischio per la salute”.
Il tema del controllo nascosto, operato senza informare chi ne è bersaglio, è dunque quanto mai attuale, come pure quello delle epurazioni contro chi dissente, come si legge ancora nell’articolo del 2017. All’epoca un appalto di 66 milioni suggellato dall’Azienda Ligure Sanitaria – che aveva a capo lo stesso Giovanni Toti – permetteva di affidare i camici dei dipendenti a una ditta di lavaggio e asciugatura che, in più, ha offerto il singolare extra della chippatura. Non è un caso isolato e non riguarda la sola Liguria: il sito di Noleggio Divise di questi servizi se ne fa addirittura un vanto: “Applichiamo un chip/tag con tecnologia a radio frequenza (RFID) su tutti i capi lavati per monitorare le entrate e le uscite dalla lavanderia”. Ma, usciti dalla lavanderia, i chip continuano il loro viaggio sui corpi dei dipendenti – spesso inconsapevoli – collocati nei diversi settori strategici serviti dall’azienda.
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IT Alert “non dà indicazioni sull’esposizione al rischio”. Ma, allora, a che serve?
IT Alert è stato definito il “Sistema di allarme pubblico italiano” ma – complice la diffidenza verso determinati servizi digitali che si registra dal periodo covid in poi – la sua presentazione è stata accompagnata da critiche e da dubbi sulla Privacy. In che modo la Protezione Civile, che promuove il servizio, entrerà negli smartphone senza un consenso propedeutico dell’utente? Rimarranno file temporanei nei dispositivi di destinazione? Il servizio sarà così risolutivo nell’Italia in cui non si puliscono gli argini dei fiumi e si aspettano le catastrofi nella convinzione che un’app salverà tutti? Le domande sono davvero tante e chi le fa, come sempre, è considerato un “complottista autore di fake news”, per citare Sky Tg 24.
Eppure di certezze ce ne sono davvero poche, se si fa eccezione per i test che – a rotazione – riguarderanno diverse città italiane e che consisteranno nell’invio di una notifica standard. Il 5 luglio, tra qualche giorno, sarà la volta della Sicilia, mentre il 7 toccherà alla Calabria. Chiusura estiva il 10 luglio che – ironia della sorte – toccherà all’Emilia Romagna, regione recentemente martoriata dall’alluvione. IT Alert, fanno sapere dalla Protezione Civile, “potrebbe raggiungere i territori interessati” da “gravi emergenti e imminenti catastrofi” ma, una volta arrivata la notifica, spetterà al cittadino cavarsela. L’app infatti, spiega la Prociv nella cartella stampa inviata ai giornalisti, “non fornisce indicazioni rispetto all’esposizione individuale al rischio“.
Ma, allora, a cosa serve in realtà? E in che modo inciderà positivamente sulle “imminenti catastrofi” quali – mano all’elenco ufficiale – maremoto da sisma, collasso di grande diga, attività vulcanica, precipitazioni intense e incidente nucleare? Tutto molto rasserenante, non c’è che dire. Ma se, anziché “inculcare la cultura del rischio” si iniziasse ad amministrare e a curare il territorio in maniera tale da prevenire i danni a cose e persone? E’ pur vero che, a quel punto, organismi costosi come la protezione civile non avrebbero più motivo di esistere.
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La boutade di Butti: per curarsi, votare e guidare servirà l’app IO
Lo abbiamo già scritto: anche il governo Meloni ha il suo “Colao”, laddove il termine più che un cognome è un eufemismo per indicare una persona votata alla digitalizzazione a tutti i costi, proprio come l’ex ministro all’Innovazione del governo Draghi. E’ Alessio Butti, zelante sottosegretario all’Innovazione tecnologica strappato alla politica locale per far sì che portasse a termine l’Agenda tech scritta dai piani alti. Unico vincolo: nessun apporto originale ma tanta adesione – a secchi – verso i dettami che provengono dall’Europa e dai vari forum che contano. Testa bassa e fare (solo ed esclusivamente) quanto è richiesto.
E’ in questo contesto che nascono idee – se così si possono definire – come quella di subordinare all’utilizzo di un app la possibilità di accedere a cure, di guidare e di andare a votare. Proprio così, perché Butti e il governo Meloni sono al lavoro per inserire la tessera elettorale, la patente di guida e la tessera sanitaria direttamente nell’App IO. Che è, per chi non lo ricorda, la controversa applicazione introdotta dal governo Conte e bocciata dal Garante per la Privacy, ma poi riesumata dai governi Draghi e Meloni. Ci sarà libertà di scegliere tra un documento cartaceo e la sua versione digitale? Non è dato saperlo, e quel poco che si sa è emerso nel corso di un’audizione sulla digitalizzazione della pubblica amministrazione che si è tenuta negli scorsi giorni presso la Camera dei Deputati.
“Entro la fine dell’anno prevediamo un ulteriore importante cambiamento positivo per la vita quotidiana di tutti gli italiani. Se così sarà, saremo anche tra i più virtuosi in Europa, anticipando il percorso previsto dalla UE per il portafoglio elettronico europeo” ha detto Butti nell’occasione. Resta da capire che fine faranno i documenti cartacei e in che modo sarà garantita la parità di fruizione dei servizi essenziali agli anziani – che spesso non hanno familiarità con i dispositivi elettronici – o ai non vedenti, che sono impossibilitati a usare gli smartphone tradizionali. E, non da ultimo, con quali modalità avverrà l’esercizio del diritto di voto, visto che il decreto-legge 1°aprile 2008, n. 49 è vieta di introdurre nelle cabine elettorali “telefoni cellulari o altre apparecchiature in grado di fotografare o registrare immagini”.