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L’Europa e le Agende chiamano, Mario risponde. Ma, dai diktat sull’ambiente alle punturine, non sempre i risultati corrispondono alle aspettative. Il tempo, però, stringe, e le pedine – gli esecutori debitamente sistemati in posizioni apicali – servono. Accade così che ciò che non riesce a entrare dalla porta si tenti di infilarlo dalla finestra. Fortuna (per lui) che il banchiere della Troika in quello che sembra il momento più buio del suo mandato possa contare su tutta una serie di Yes man risoluti a garantirgli continuità. Ce la faranno? Riusciranno nell’ardua impresa del Draghi bis o si proietteranno – questo l’intento – verso la scalata al Quirinale, nel tentativo di instaurare un regime dimentico delle elezioni dove tutto è possibile che molti definiscono ottimisticamente “semi-presidenzialismo”? Prematuro dirlo, anche perché alcuni partiti hanno serrato i ranghi fino a febbraio. Quel che è certo è che ci si inizia a contare.

Tra gli influencers della manovrina di Natale c’è – com’è noto – Giorgetti, il ministro dello Sviluppo Economico da cui ci si aspetterebbe quasi un coming out: non come quello (che non ha stupito nessuno) del “balduccino” Spadafora, ma uno più squisitamente politico, che metta finalmente a nudo le simpatie per democratici e forzisti (ormai la stessa cosa) e sveli definitivamente i malcelati dissapori con i salviniani, che – dicono i bene informati – continuerebbero alle spalle del segretario della Lega nonostante le smentite ufficiali degli ultimi giorni. Ma è dai congressi di dicembre che dovrebbe arrivare la sintesi del Carroccio, chiamato a decidere sulle grandi manovre politiche ma soprattutto su che corso dare al partito.

Ci sono poi i forzisti – ormai “centristi” – che, miopi, non vedono alternativa all’oligarchia di Draghi, risoluta essa stessa ad auto-preservarsi, quantomeno per portare a casa il malloppo familiare protagonista di uno dei conflitti di interessi più eclatanti della Seconda Repubblica. Ma a Draghi si perdona (purtroppo) tutto, soprattutto se l’opposizione appare timida. Meloni dice no al “semi-presidenzialismo” e invoca elezioni anticipate, Salvini dall’interno gli fa eco, ma sembra non bastare. I draghiani vogliono lo scranno che conta, oppure fare contare di più quello posizionato al Colle. Perché tanta insistenza? Uno dei motivi può essere anche il fatto – completamente sottovalutato – che il presidente della Repubblica non abbia responsabilità politica, ma scarichi tutto sui ministri che contro-firmano gli atti.

Una bella comodità che la confusione di ruoli e incarichi potrebbe rendere implicitamente retroattiva (tanto ormai se ne sono viste di tutti i colori) per mettere al riparo il presidente di tutto dalle querele per la gestione della pandemia che continuano a fioccare e a riempire le Procure di tutta Italia. Ecco allora che il passaggio verso il Quirinale altro non sarebbe che una sorta di scudo penale mascherato per fare in modo che davvero nessuno paghi: assieme a medici e multinazionali messi al riparo dallo stesso governo per decreto e per contratto, si aggiungerebbe così anche il decisore principale: il premier divenuto presidente della Repubblica, appunto, caso (per ovvi motivi) storicamente unico. Coincidenza vuole che il posto al Quirinale interessi anche a Berlusconi e, criticano i detrattori, per gli stessi identici motivi, cioè per mettersi definitivamente al riparo dai guai giudiziari.

Ma se Berlusconi appare isolato da un entourage che guarda a un futuro che Silvio non può garantirgli, uno degli ostacoli più vistosi dei sostenitori di Draghi rimane l’articolo 84 della Costituzione, che afferma che “l’ufficio del presidente della Repubblica è incompatibile con qualunque altra carica”. Lasciata la poltrona da premier, mancherebbero comunque i tempi tecnici per fare in modo che tutto avvenga senza sovrapposizioni, cioè senza dare il colpo definitivo e letale alla Costituzione e – dunque – alla Democrazia.

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POLITICA

Zuckerberg: “Su covid e vaccini costretti alla censura dagli uomini di Biden”

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Zuckerberg: "Su covid e vaccini costretti alla censura dall'amministrazione Biden" | Rec News

Dopo la decisione di sospendere i finanziamenti ai Fact Checker, il Ceo di Meta Mark Zuckerberg ha deciso di vuotare il sacco su alcune questioni controverse che avrebbero “costretto” il Social a fare piazza pulita di determinati contenuti. In particolare quelli riguardanti il covid e la campagna vaccinale, che negli Stati Uniti come altrove è stata caratterizzata dalla stigmatizzazione di chiunque osava avanzare dubbi e qualsivoglia critica rispetto al pensiero dominante.

Non un semplice caso – per quanto eclatante – di limitazione della libertà di espressione. Perché a sentire Zuckerberg dietro alla volontà di bannare i comunicatori indipendenti ci sarebbe stato un vero e proprio disegno politico messo in pratica per preservare gli interessi dei democratici. “Durante l’amministrazione Biden, quando cercavano di lanciare il programma di vaccinazione, mentre cercavano di promuovere quel programma, cercavano anche di censurare chiunque sostanzialmente si opponesse ad esso. E ci hanno pressati super forte per eliminare cose che, onestamente, erano vere… Fondamentalmente ci pressavano e dicevano “qualsiasi cosa dica che i vaccini potrebbero avere effetti collaterali, in pratica dovete rimuoverla“. E’ quanto ha dichiarato il Ceo di Meta l’altro ieri, ospite di un podcast condotto da Joe Rogan.

“Queste persone dell’amministrazione Biden – ha proseguito Zuckerberg – chiamavano la nostra squadra e urlavano contro di loro e imprecavano… ci sono i documenti, è tutto pubblico”. E ancora: “Non penso che le pressioni affinché le società di social media censurassero i contenuti fosse legale. Il Primo Emendamento si applica al governo. Questo è il punto. Che al governo non è consentito censurare queste cose. Quindi, a un certo livello penso che, sì, avere persone nell’amministrazione che chiamano i ragazzi del nostro team e urlano contro di loro e imprecano e minacciano ripercussioni se non eliminiamo cose che sono vere, è piuttosto brutto”.

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POLITICA

Maduro e la “grande alleanza mondiale contro i tiranni”

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Maduro e la "grande alleanza mondiale contro i tiranni" | Rec News

Nicolàs Maduro, presidente della Repubblica Bolivariana del Venezuela, ha giurato per il nuovo mandato nel corso della cerimonia che si è tenuta nei locali dell’Assemblea nazionale a Caracas. “Il Venezuela – ha detto il neo-eletto in occasione del discorso di insediamento – si prepara insieme a Cuba, al Nicaragua e ai nostri fratelli maggiori nel mondo, nel caso in cui un giorno dovessimo prendere le armi per difendere il diritto alla pace, il diritto alla sovranità e i diritti storici della nostra patria”. Concludendo il Festival internazionale antifascista mondiale, il successore di Hugo Chavez ha inoltre evocato una “grande alleanza globale” simile a quella che sconfisse il fascismo durante la Seconda guerra mondiale in grado di sfidare “la tirannia dei potentati occidentali”.

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Vogliono aumentare (ancora) l’età pensionabile

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Vogliono aumentare (ancora) l'età pensionabile | Rec News

Nel panorama economico e sociale attuale, il tema dell’età pensionabile è diventato particolarmente rilevante. L’aumento dell’età pensionabile che sarebbe previsto per il 2027 rappresenta una questione di grande interesse e preoccupazione per molti lavoratori. In questo articolo, esploreremo le ragioni dietro questa decisione, le sue implicazioni e cosa ci si può aspettare nel breve e nel lungo termine.

Le ragioni dietro l’aumento. La “sostenibilità” del sistema pensionistico

Uno dei motivi principali per cui il governo sta considerando l’aumento dell’età pensionabile è la cosiddetta “sostenibilità del sistema pensionistico”, che in realtà ha molto a che vedere con le casse sempre più asciutte dei sistemi di previdenza. Con l’allungamento della vita media e con produttività e turnover sempre più risicati, il numero di anni in cui le persone percepiscono la pensione è aumentato, mettendo sotto pressione i fondi pensionistici. Secondo i promotori dell’iniziativa, dunque, aumentare l’età pensionabile potrebbe tamponare la situazione bilanciando entrate e uscite. Non si sa per quanto, però, in mancanza di una riforma che possa dirsi tale e che tenga conto di necessità variegate.

Cambiamenti demografici

Un altro fattore cruciale è il cambiamento demografico. La diminuzione del tasso di natalità e l’invecchiamento della popolazione significano che ci sono meno giovani lavoratori per sostenere finanziariamente i pensionati. L’aumento dell’età pensionabile potrebbe ridurre il rapporto tra pensionati e lavoratori attivi, ma ha ripercussioni dirette su quei lavoratori costretti a rimandare la loro uscita dal mercato del lavoro.

Le implicazioni per i lavoratori: maggior tempo nel mercato del lavoro, più il problema dei lavori usuranti

Con l’aumento dell’età pensionabile, i lavoratori dovranno necessariamente rimanere nel mercato del lavoro più a lungo. Questo può avere effetti sia positivi che negativi. Da un lato alcuni potrebbero trovare utile risparmiare di più per la pensione. D’altro canto, tuttavia, le nuove regole potrebbero essere sfidanti per coloro che svolgono lavori fisicamente usuranti o per chi desidera ritirarsi prima dal mercato del lavoro.

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Terzo mandato su misura. Ecco chi agevolerebbe

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Terzo mandato su misura. Ecco chi agevolerebbe | Rec News

Quest’anno si torna alle urne per decretare sei nuovi governatori, quelli di Campania, Marche, Puglia, Toscana, Valle d’Aosta e Veneto. Di questi solo due sono investiti dal problema del terzo mandato: Vincenzo De Luca in Campania e Luca Zaia in Veneto.

In teoria anche la Puglia di Michele Emiliano rientrerebbe nella conta dei presidenti di regione che hanno già compiuto due mandati ma lo stesso Emiliano ha annunciato la sua intenzione di farsi da parte per garantire il ricambio generazionale. Diverso il caso di Lombardia e Friuli Venezia Giulia: due regioni dove si potrebbe porre il problema del terzo mandato visto che sia Attilio Fontana che Massimiliano Fedriga stanno compiendo il loro secondo giro alla presidenza. Ma il tema è decisamente prematuro perché, in assenza di crisi politiche, le due regioni andranno al voto solo nel 2028.

Le Regioni che andranno al voto nel 2025, come detto, sono sei. Certamente quella più al centro delle polemiche è la Campania: i cittadini dovranno scegliere il successore di Vincenzo De Luca (Pd). Al voto anche le Marche governate da Francesco Acquaroli (Fratelli d’Italia), la Puglia guidata da Michele Emiliano (Pd), la Toscana di Eugenio Giani (Pd), la Regione speciale della Valle d’Aosta governata da Renzo Testolin (Union Valdôtaine), subentrato in corso d’opera ad Erik Lavévaz (dimessosi nel 2023 a seguito di una forte crisi politica) e il Veneto guidato da Luca Zaia (Lega).


 Complessa è la situazione del Veneto. Perché, con una rincorsa partita già da un anno, è in gioco il nome di Luca Zaia, che allo stato non sarebbe ricandidabile ad una presidenza numero 3 nel 2025. Formalmente Luca Zaia è al secondo incarico consecutivo, perché la legge regionale che ha introdotto il limite dei due mandati ininterrotti per le cariche elettive – recependo la norma nazionale 2004 – è stata approvata dal Consiglio Veneto nel 2012, con decorrenza dal 2015, fatto salvo il mandato che era già in corso. Zaia in quel momento era al suo primo quinquennio da presidente, dopo l’elezione-plebiscito del 2010. L’eventuale ricandidatura – per la prossima legislatura – aprirebbe di fatto per l’esponente leghista la possibilità di una quarta elezione a presidente del Veneto.

Anche in Valle d’Aosta, seppur in forme diverse, c’è un acceso dibattito intorno al limite dei mandati per le cariche apicali all’interno della Giunta regionale. La vicenda, in particolare, riguarda l’attuale presidente della Regione, Renzo Testolin, e il vice presidente, Luigi Bertschy, entrambi esponenti dell’Union valdotaine. Le forze di opposizione sostengono che, secondo la legge regionale 21/2007, entrambi non potranno ricoprire incarichi nella prossima Giunta, anche se eletti (il voto è previsto nel settembre 2025). Ovvero al massimo dovranno “accontentarsi” di fare il semplice consigliere. Della vicenda è stata investita la presidenza del Consiglio regionale.  (ANSA)

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