A Roma l’evento che per la prima volta dallo scoppio del conflitto metterà insieme artisti russi e ucraini
Attesa nella Capitale per le esibizioni di Liudmilla Chepurnaia, Eva Dorofeeva e Kateryna Chebotova
Torna il Concerto di Pasqua, che si svolgerà il 17 Aprile alle 20 nella monumentale Basilica di Sant’Andrea della Valle, riunendo per la prima volta a Roma dallo scoppio del conflitto musicisti e cantanti russi ed ucraini. Prevista la partecipazione del soprano ucraino Eva Dorofeeva (nella foto) e del mezzosoprano russo Liudmilla Chepurnaia, accompagnate da un’orchestra appositamente formata da musicisti ucraini e russi per un canto della pace di grande valenza simbolica. Il Festival di Pasqua sarà così la prima manifestazione al mondo a far cantare e suonare insieme musicisti ucraini e russi “a Roma, capitale del Cristianesimo, per gridare con la forza della musica – ha dichiarato l’organizzatore Enrico Castiglione – che si può e si deve essere tutti fratelli, tutti amici e non nemici, all’insegna della preghiera che è la musica stessa e della bellezza armoniosa del suo canto di pace. Una presenza dal forte impatto emotivo e simbolico, a testimoniare ancora una volta che si può suonare insieme anziché spararsi, all’insegna della straordinaria musica che grandi compositori d’ogni epoca hanno scritto per testimoniare il Divino e il Sacro”.
Eva Dorofeeva e Liudmilla Chepurnaia Schiavotti canteranno dirette da Stefano Sovrani, alla guida dell’orchestra russa-ucraina, con la regia dello stesso Enrico Castiglione, con la partecipazione di una terza cantante, il giovanissimo soprano Kateryna Chebotova. L’ingresso è gratuito fino all’esaurimento dei posti disponibili. In programma oltre un’ora e mezza di musica, con un vasto repertorio di musica sacra e arie di Johann Sebastian Bach, Wolfgang Amadeus Mozart, Arcangelo Corelli, Alessandro Stradella, Georges Bizet, Jules Massenet, Pietro Mascagni, César Franck. Non mancheranno duetti, che impegneranno insieme la Dorofeeva e la Chepurnaia in brani dallo Stabat Mater di Pergolesi, ma anche arie come il Panis Angelicus dalla Messa Solenne di César Franck, compositore di cui quest’anno festeggiamo il 200° anniversario della nascita.
La XXV edizione del Festival di Pasqua è stata inaugurata il 10 Aprile con il Concerto per la Domenica delle Palme che si è svolto nella monumentale cornice del Pantheon di Roma sotto il patrocinio del Perinsigne Capitolo della Basilica di Santa Maria ad Martyres Pantheon di Roma e che ha visto la partecipazione del Coro della Cappella Musicale del Pantheon diretto da Michele Loda: il programma ha offerto il rarissimo repertorio della musica gregoriana e polifonica, arricchito da brani di Franz Schubert e di Lorenzo Perosi. Il Festival di Pasqua 2022 sta dunque proseguendo con la tradizionale serie di concerti per organo e di musica sacra con esecuzione di capolavori come lo Stabat Mater di Pergolesi e Le ultime sette parole di Cristo sulla croce di César Franck, rarissimamente eseguito e i tradizionali programmi dedicati al Triduo. Si concluderà infine il prossimo 5 Giugno con il Concerto di Pentecoste che nella Basilica di Sant’Andrea della Valle renderà omaggio a César Franck, con l’esecuzione della celeberrima Messa Solenne: la Schola Cantorum del Festival di Pasqua, il Coro Quadriclavio di Bologna, il Coro della Cappella Giulia e l’Orchestra del Festival di Pasqua saranno diretti da Lorenzo Bizzarri.
Fondato nel 1998 dal regista e scenografo italiano Enrico Castiglione con l’obiettivo di creare a Roma, capitale mondiale del Cattolicesimo, un festival dedicato al patrimonio artistico del Cristianesimo in occasione del Giubileo, il Festival di Pasqua ha offerto in ogni edizione in tutti questi 24 anni un calendario di concerti ed eventi di Musica Sacra di tutto rispetto, avvalendosi di complessi corali, orchestrali ed artisti di fama mondiale, offrendo programmi del grande repertorio sacro dalla nascita dell’oratorio come forma di elevazione liturgica in musica alle più recenti e significative creazioni contemporanee, ma anche e soprattutto prime mondiali e riscoperte di opere, oratori e concerti dimenticati se non addirittura mai più eseguiti in Italia e nel mondo: esecuzioni divenute storiche, trasmesse dalle principali reti televisive internazionali.
Durante il corso della sua storia si sono esibiti al Festival di Pasqua artisti come Montserrat Caballé, José Carreras, Mstislav Rostropovich, Placido Domingo, José Cura, Renato Bruson, Katia Ricciarelli, Cecilia Gasdia, Lorin Maazel, Zubin Mehta, Carl Anderson, Uto Ughi, attori hollywoodiani come James Caviezel, Michael York, Louis Gossett jr. ed italiani come Arnoldo Foà, Walter Maestosi, etc., spaziando dalla musica gregoriana e polifonica alla valorizzazione delle pagine dei grandi compositori d’ogni tempo.
TECH
Anche i “Fact Checker” piangono. Meta chiude i rubinetti ai fomentatori della cultura woke
Mark Zuckerberg non finanzierà più i cosiddetti “Fact Checker” di Meta, almeno per quello che riguarda gli Stati Uniti. La notizia è arrivata come un fulmine a ciel sereno per i fomentatori della cultura woke, che nel social avevano trovato un porto (economico) sicuro e uno sfogo alle ansie censorie sui temi più disparati: sanità, famiglia, guerre, elezioni e chi più ne ha più ne met(t)a. Bastava un’aggettivo fuori posto o una sana critica e, ecco, arrivava pronto l’esercito di bastonatori a cottimo, che a suo insindacabile giudizio sceglieva quali contenuti potevano essere pubblicati e quali – al contrario – dovessero essere bannati e condannati alla damnatio memoriae digitale. Un gran bell’esercizio di libertà e tolleranza, non c’è che dire.
Un atteggiamento, che tuttavia, ha portato a un progressivo svuotamento del social, e che oggi sta costringendo Mark Zuckerberg – complice secondo alcuni il ritorno di Trump – a fare marcia indietro. Una chiusura dei rubinetti che potrebbe estendersi a macchia d’olio e riguardare più Paesi, che in qualche modo sta facendo anche in modo che si vuoti il sacco su alcuni temi divisivi che hanno alimentato il dibattito pubblico negli ultimi anni, come per esempio covid e vaccini.
TECH
Cos’è il diritto alla disconnessione e cosa c’entra con il lavoro
Negli ultimi anni, con lo sviluppo crescente delle tecnologie informatiche, si sta assistendo a un aumento dell’interazione e delle comunicazioni, come mail e messaggi WhatsApp, sia per quanto riguarda la sfera privata che il lavoro. E’ aumentato a livello esponenziale anche l’utilizzo dei gruppi e in particolare quelli Whatsapp, con le persone più impegnate che arrivano ad averne decine sui propri smartphone. Con tutte le difficoltà del caso a staccare la spina, quando necessario.
Ma è obbligatorio consultarli regolarmente, soprattutto quando si tratta di lavoro? E, in caso, l’obbligo persiste anche al di fuori delle ore lavorative? Difficile rispondere in maniera univoca abbracciando tutte le fattispecie presenti nel mercato del lavoro. Quel che è certo è che nel 2021 due accordi interconfederali per il settore pubblico e privato hanno ribadito il diritto alla disconnessione, almeno per quello che riguarda le modalità di lavoro flessibili e agili: il Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale e il Protocollo nazionale sul lavoro agile nel settore privato.
I punti chiave del Diritto alla disconnessione
- – Il lavoratore dipendente non è costretto a rimanere connesso 24 ore su 24 e 7 giorni su 7;
- – Non si è responsabili del mancato malfunzionamento della rete, anche se si sta svolgendo un’attività in smartworking
- – È la contrattazione collettiva oppure quella tra datore di lavoro e dipendente a definire regole certe e fasce orarie in cui il personale dovrà essere reperibile;
- – I Gruppi ospitati dai servizi di messaggistica non rappresentano un sostituto delle comunicazioni formali.
BENESSERE
Studio svela i benefici dell’alta quota
Con l’arrivo della stagione fredda si tende a pensare che le attività all’aperto diminuiscano, ma negli ultimi anni si è riscoperta l’importanza di vivere l’ambiente esterno, in particolare la montagna. È stato dimostrato da numerose ricerche scientifiche che il costante contatto con la natura sia fondamentale per migliorare le performance lavorative e il benessere psicofisico: proprio in occasione della Giornata Mondiale della Montagna è interessante indagare come possa essere fonte di stimoli per affrontare le sfide lavorative, ridurre lo stress e rafforzare il legame con la natura.
Lo conferma anche un recente studio intitolato Why hiking is uniquely beneficial for your body and your brain, secondo cui l’escursionismo offre numerosi benefici per la salute fisica e mentale. Sul piano fisico, infatti, migliora la salute cardiovascolare, muscolo-scheletrica, l’equilibrio e la coordinazione; mentre sul piano mentale riduce lo stress, l’ansia e la depressione, migliorando parametri fisiologici come la variabilità della frequenza cardiaca e i livelli di cortisolo. Inoltre, questa attività rafforza la memoria, le capacità cognitive e le abilità di risoluzione dei problemi. Infine rappresenta senz’altro un’opportunità per riconnettersi con la natura, migliorando longevità e benessere complessivo.
Ecco, secondo gli esperti, i 5 principali benefici della montagna:
· Riduzione dello stress e rigenerazione mentale: l’aria fresca, l’assenza d’inquinamento acustico e la bellezza naturale dei paesaggi montani favoriscono una riduzione significativa dello stress.
· Miglioramento della resilienza: affrontare le sfide delle escursioni o della scalata insegna a superare ostacoli, migliorando la resa mentale e fisica. Queste esperienze aiutano a sviluppare un mindset orientato alla soluzione dei problemi.
· Aumento della creatività: la natura stimola il pensiero creativo, infatti camminare all’aria aperta favorisce il flusso di idee e la capacità di problem solving.
· Benessere fisico e vitalità: la montagna spinge a muoversi, attività come escursioni e trekking migliorano la circolazione, rafforzano il cuore e stimolano la produzione di endorfine, aumentando il livello di energia.
· Connessione con valori profondi: la maestosità della montagna invita a riflettere su se stessi e sulle proprie priorità.
ARTE & CULTURA
Munch a Milano dopo 40 anni. Con una retrospettiva
Dal 14 Settembre 2024 al 26 gennaio 2025 Palazzo Reale renderà omaggio a uno dei più grandi artisti del Novecento, con un percorso di 100 opere eccezionalmente prestate dal Munch Museum di Oslo. L’ampia retrospettiva racconterà l’intero percorso umano e artistico di Munch, esponendo opere tra le più note e iconiche della storia dell’arte.
Dopo 40 anni dall’ultima mostra a Milano, Edvard Munch (Norvegia, 1863 -1944) viene celebrato con una grande retrospettiva promossa da Comune di Milano – Cultura con il patrocinio del Ministero della Cultura e della Reale Ambasciata di Norvegia a Roma, e prodotta da Palazzo Reale e Arthemisia in collaborazione con il Museo MUNCH di Oslo.
Tra i protagonisti della storia dell’arte moderna, Munch è stato uno dei principali artisti simbolisti del XIX secolo ed è considerato un precursore dell’Espressionismo, oltre a essere un maestro nell’interpretare le ansie dell’animo umano.
La mostra – curata da Patricia G. Berman in collaborazione con Costantino D’Orazio per il supporto nella redazione dei testi di approfondimento in mostra – racconta tutto l’universo dell’artista, il suo percorso umano e la sua produzione grazie a un percorso di 100 opere, tra cui una delle versioni litografiche de L’Urlo (1895) custodite a Oslo, La morte di Marat (1907), Notte stellata (1922–1924), Le ragazze sul ponte (1927), Malinconia (1900–1901) e Danza sulla spiaggia (1904).
Ad arricchire la mostra milanese, è previsto un ricco palinsesto di eventi che coinvolgerà diverse realtà culturali della città e che andrà ad approfondire la figura dell’artista e ad espandere i temi delle sue opere.
L’ARTISTA
Munch è uno degli artisti che ha saputo meglio interpretare le inquietudini dell’anima, comunicandoli in maniera potente e diretta. Plasmato inizialmente dal naturalista norvegese Christian Krohg, che ne incoraggiò la carriera pittorica, negli anni Ottanta del Novecento si recò a Parigi dove assorbì le influenze impressioniste e postimpressioniste che gli suggerirono un uso del colore più intimo, drammatico ma soprattutto un approccio psicologico.
A Berlino contribuì alla formazione della Secessione Berlinese e nel 1892 si tenne la sua prima personale in Germania, che non fu compresa: da quel momento in poi Munch viene percepito come l’artista eversivo, alienato dalla società, un’identità in parte promossa dai suoi amici letterati.
A metà degli anni Novanta del XIX secolo si dedicò alla produzione di stampe e, grazie alla sua sperimentazione, divenne uno degli artisti più influenti in questo campo. La sua produttività e il ritmo serrato delle esposizioni lo porteranno a ricoverarsi volontariamente nei sanatori a partire dalla fine degli anni Novanta del XIX secolo.
Dopo aver vissuto gran parte della sua vita all’estero, l’artista quarantacinquenne tornò in Norvegia, stabilendosi al mare, dipingendo paesaggi e dove iniziò a lavorare ai giganteschi dipinti murali che oggi decorano la Sala dei Festival dell’Università di Oslo. Queste tele, le più grandi dell’Espressionismo in Europa, riflettono il suo sempre vivo interesse per le forze invisibili e la natura dell’universo.
Nel 1914 acquistò una proprietà a Ekely, Oslo, dove, da celebre artista internazionale, continuò il suo lavoro sperimentale fino alla morte, avvenuta nel 1944, appena un mese dopo il suo ottantesimo compleanno.
LA MOSTRA
Nel corso della sua lunga vita Edvard Munch realizzò migliaia di stampe e dipinti. Essendo tanto un uomo d’immagini quanto di parole, riempì fogli su fogli di annotazioni, aneddoti, lettere e persino una sceneggiatura per il teatro. L’esigenza di comunicare le proprie percezioni, il proprio “grido interiore”, lo accompagnò per tutta la vita, e proprio questa attitudine è stato il motore della sua pratica come artista, che ha toccato tanto temi universali – come la nascita, la morte, l’amore e il mistero della vita – quanto i disagi connessi all’esistenza umana e le sue instabilità.
Questa mostra ruota attorno al ‘grido interiore’ di Munch, al suo saper costruire, attraverso blocchi di colore uniformi e prospettive discordanti, lo scenario per condividere le sue esperienze emotive e sensoriali: un processo creativo che sintetizza ciò che l’artista ha osservato, quello che ricorda e quanto ha caricato di emozioni.
Altre opere, invece, cercano di immortalare le forze invisibili che animano e tengono insieme l’universo. L’inizio della sua carriera coincide infatti con cambiamenti radicali nello studio della percezione: alla fine dell’Ottocento è in corso un dibattito tra scienziati, psicologi, filosofi e artisti sulla relazione tra quello che l’occhio vede direttamente e come i contenuti della mente influiscono sulla nostra vista. Il suo interesse per le forze invisibili che danno forma all’esperienza, condizionerà le opere che lo rendono uno degli artisti più significativi della sua epoca.