Dopo i “punti di contatto con Letta”, Meloni finge di dichiarare “guerra al Pd”
Da Atreju alle inaugurazioni a braccetto, l’idillio politico tra i due “avversari” che presto potrebbe cadere nell’oblio
Chi non ricorda Enrico Letta ad Atreju 2021, ospite d’onore della festa dicembrina di Fratelli d’Italia? Una scelta contestata da molti, cui Giorgia Meloni mesi dopo ha – strategicamente – fatto seguire una lettera al Foglio, dove diceva di aver letto “con interesse” alcune esternazioni del segretario del Pd, si dichiarava vicina alla “famiglia europeista” e arrivava ad appellarsi all’Europa “armata”, quella dell’Eurogendfor che surclassa le forze armate nazionali. Un bel salto di qualità per una sovranista. Di più: affermava di “non avere preclusioni a ragionare su come meglio avvicinare quei popoli che vogliono essere parte di un progetto europeo” e ammetteva che ci fosse “più di un punto di contatto tra il pensiero di Enrico Letta” e il suo.
Appena un mese dopo, la strana coppia tornava in auge con la presentazione del libro di un politologo. L’evento veniva commentato così dalle colonne di Formiche: “I due leader ormai non perdono occasione per riconoscersi reciprocamente nel ruolo di avversari, tagliando fuori dal dialogo tutti gli altri competitor, interni o esterni (…) Avversari leali, ma soprattutto fedeli: nel campo da gioco della politica Meloni e Letta sono entrambi protagonisti“.
Parole eloquenti, prove tecniche di intese larghe e per meglio dire innaturali: troppo perfino per i gattopardi che abitano i palazzi istituzionali. Il costo da pagare per farsi amici i media mainstream che ormai non fanno altro che lodarla, e per proiettarsi verso una premiership che la leader di FdI sembra ritenere irraggiungibile senza la mano tesa verso l’attuale capo del Pd, partito che rumors vogliono sia vicino all’ennesima scissione. Ieri Meloni lo ha ripetuto più di una volta: “sono pronta a governare”, così scartando gli alleati di centrodestra dai suoi disegni.
La campagna elettorale, dunque, è già iniziata, e visto che l’Europa è ormai intoccabile, dei migranti non si può parlare e il mantra è procedere per slogan, è iniziato l’attacco “al Pd”. La “guerra” dichiarata “al Piddì”. Il nuovo nemico invisibile verso cui bisogna mostrare un costruito disprezzo a favor di telecamere, per poi cambiare registro quando si va a braccetto alle convention. E pensare che sono passati appena tre mesi da quella dichiarazione appassionata rivolta a Letta e ancor meno da altre occasioni di fruttuoso contatto.
Vabbè che dal Green Pass in poi dovremmo essere abituati a questi nuovi Fratelli d’Italia che hanno trovato il modo di deludere simpatizzanti, candidati, esponenti che sono traghettati verso altri partiti. Un primo eloquente segnale è stato dato con il Green Pass: Meloni ha fatto quasi da apripista con Musumeci (il primo governatore che ha previsto l’impiego del certificato verde negli uffici pubblici) per poi intestarsi una finta battaglia per la sua rimozione. Proprio quando, peraltro, dello strumento caro a Colao non c’era più praticamente traccia.
In che modo si porrebbe una Meloni al governo, con un ruolo rilevante? Sembrerebbe che Giorgia o no cambierebbe ben poco rispetto all’esecutivo guidato da Draghi, visto che Fratelli d’Italia a livello nazionale non ha fatto opposizione praticamente su nulla e potrebbe far continuare la pantomima della pandemia e perfino richiamare tutto il corollario ipocrita sulla sostenibilità. Per quanto riguarda i temi sociali, ormai sono talmente tanti i gatekeepers progressisti sistemati nei meandri più nascosti del partito, che non c’è nemmeno la speranza che vengano portate avanti battaglie serie a favore della famiglia.
Rec News dir. Zaira Bartucca – recnews.it
POLITICA
Zuckerberg: “Su covid e vaccini costretti alla censura dagli uomini di Biden”
Dopo la decisione di sospendere i finanziamenti ai Fact Checker, il Ceo di Meta Mark Zuckerberg ha deciso di vuotare il sacco su alcune questioni controverse che avrebbero “costretto” il Social a fare piazza pulita di determinati contenuti. In particolare quelli riguardanti il covid e la campagna vaccinale, che negli Stati Uniti come altrove è stata caratterizzata dalla stigmatizzazione di chiunque osava avanzare dubbi e qualsivoglia critica rispetto al pensiero dominante.
Non un semplice caso – per quanto eclatante – di limitazione della libertà di espressione. Perché a sentire Zuckerberg dietro alla volontà di bannare i comunicatori indipendenti ci sarebbe stato un vero e proprio disegno politico messo in pratica per preservare gli interessi dei democratici. “Durante l’amministrazione Biden, quando cercavano di lanciare il programma di vaccinazione, mentre cercavano di promuovere quel programma, cercavano anche di censurare chiunque sostanzialmente si opponesse ad esso. E ci hanno pressati super forte per eliminare cose che, onestamente, erano vere… Fondamentalmente ci pressavano e dicevano “qualsiasi cosa dica che i vaccini potrebbero avere effetti collaterali, in pratica dovete rimuoverla“. E’ quanto ha dichiarato il Ceo di Meta l’altro ieri, ospite di un podcast condotto da Joe Rogan.
“Queste persone dell’amministrazione Biden – ha proseguito Zuckerberg – chiamavano la nostra squadra e urlavano contro di loro e imprecavano… ci sono i documenti, è tutto pubblico”. E ancora: “Non penso che le pressioni affinché le società di social media censurassero i contenuti fosse legale. Il Primo Emendamento si applica al governo. Questo è il punto. Che al governo non è consentito censurare queste cose. Quindi, a un certo livello penso che, sì, avere persone nell’amministrazione che chiamano i ragazzi del nostro team e urlano contro di loro e imprecano e minacciano ripercussioni se non eliminiamo cose che sono vere, è piuttosto brutto”.
POLITICA
Maduro e la “grande alleanza mondiale contro i tiranni”
Nicolàs Maduro, presidente della Repubblica Bolivariana del Venezuela, ha giurato per il nuovo mandato nel corso della cerimonia che si è tenuta nei locali dell’Assemblea nazionale a Caracas. “Il Venezuela – ha detto il neo-eletto in occasione del discorso di insediamento – si prepara insieme a Cuba, al Nicaragua e ai nostri fratelli maggiori nel mondo, nel caso in cui un giorno dovessimo prendere le armi per difendere il diritto alla pace, il diritto alla sovranità e i diritti storici della nostra patria”. Concludendo il Festival internazionale antifascista mondiale, il successore di Hugo Chavez ha inoltre evocato una “grande alleanza globale” simile a quella che sconfisse il fascismo durante la Seconda guerra mondiale in grado di sfidare “la tirannia dei potentati occidentali”.
POLITICA
Vogliono aumentare (ancora) l’età pensionabile
Nel panorama economico e sociale attuale, il tema dell’età pensionabile è diventato particolarmente rilevante. L’aumento dell’età pensionabile che sarebbe previsto per il 2027 rappresenta una questione di grande interesse e preoccupazione per molti lavoratori. In questo articolo, esploreremo le ragioni dietro questa decisione, le sue implicazioni e cosa ci si può aspettare nel breve e nel lungo termine.
Le ragioni dietro l’aumento. La “sostenibilità” del sistema pensionistico
Uno dei motivi principali per cui il governo sta considerando l’aumento dell’età pensionabile è la cosiddetta “sostenibilità del sistema pensionistico”, che in realtà ha molto a che vedere con le casse sempre più asciutte dei sistemi di previdenza. Con l’allungamento della vita media e con produttività e turnover sempre più risicati, il numero di anni in cui le persone percepiscono la pensione è aumentato, mettendo sotto pressione i fondi pensionistici. Secondo i promotori dell’iniziativa, dunque, aumentare l’età pensionabile potrebbe tamponare la situazione bilanciando entrate e uscite. Non si sa per quanto, però, in mancanza di una riforma che possa dirsi tale e che tenga conto di necessità variegate.
Cambiamenti demografici
Un altro fattore cruciale è il cambiamento demografico. La diminuzione del tasso di natalità e l’invecchiamento della popolazione significano che ci sono meno giovani lavoratori per sostenere finanziariamente i pensionati. L’aumento dell’età pensionabile potrebbe ridurre il rapporto tra pensionati e lavoratori attivi, ma ha ripercussioni dirette su quei lavoratori costretti a rimandare la loro uscita dal mercato del lavoro.
Le implicazioni per i lavoratori: maggior tempo nel mercato del lavoro, più il problema dei lavori usuranti
Con l’aumento dell’età pensionabile, i lavoratori dovranno necessariamente rimanere nel mercato del lavoro più a lungo. Questo può avere effetti sia positivi che negativi. Da un lato alcuni potrebbero trovare utile risparmiare di più per la pensione. D’altro canto, tuttavia, le nuove regole potrebbero essere sfidanti per coloro che svolgono lavori fisicamente usuranti o per chi desidera ritirarsi prima dal mercato del lavoro.
POLITICA
Terzo mandato su misura. Ecco chi agevolerebbe
Quest’anno si torna alle urne per decretare sei nuovi governatori, quelli di Campania, Marche, Puglia, Toscana, Valle d’Aosta e Veneto. Di questi solo due sono investiti dal problema del terzo mandato: Vincenzo De Luca in Campania e Luca Zaia in Veneto.
In teoria anche la Puglia di Michele Emiliano rientrerebbe nella conta dei presidenti di regione che hanno già compiuto due mandati ma lo stesso Emiliano ha annunciato la sua intenzione di farsi da parte per garantire il ricambio generazionale. Diverso il caso di Lombardia e Friuli Venezia Giulia: due regioni dove si potrebbe porre il problema del terzo mandato visto che sia Attilio Fontana che Massimiliano Fedriga stanno compiendo il loro secondo giro alla presidenza. Ma il tema è decisamente prematuro perché, in assenza di crisi politiche, le due regioni andranno al voto solo nel 2028.
Le Regioni che andranno al voto nel 2025, come detto, sono sei. Certamente quella più al centro delle polemiche è la Campania: i cittadini dovranno scegliere il successore di Vincenzo De Luca (Pd). Al voto anche le Marche governate da Francesco Acquaroli (Fratelli d’Italia), la Puglia guidata da Michele Emiliano (Pd), la Toscana di Eugenio Giani (Pd), la Regione speciale della Valle d’Aosta governata da Renzo Testolin (Union Valdôtaine), subentrato in corso d’opera ad Erik Lavévaz (dimessosi nel 2023 a seguito di una forte crisi politica) e il Veneto guidato da Luca Zaia (Lega).
Complessa è la situazione del Veneto. Perché, con una rincorsa partita già da un anno, è in gioco il nome di Luca Zaia, che allo stato non sarebbe ricandidabile ad una presidenza numero 3 nel 2025. Formalmente Luca Zaia è al secondo incarico consecutivo, perché la legge regionale che ha introdotto il limite dei due mandati ininterrotti per le cariche elettive – recependo la norma nazionale 2004 – è stata approvata dal Consiglio Veneto nel 2012, con decorrenza dal 2015, fatto salvo il mandato che era già in corso. Zaia in quel momento era al suo primo quinquennio da presidente, dopo l’elezione-plebiscito del 2010. L’eventuale ricandidatura – per la prossima legislatura – aprirebbe di fatto per l’esponente leghista la possibilità di una quarta elezione a presidente del Veneto.
Anche in Valle d’Aosta, seppur in forme diverse, c’è un acceso dibattito intorno al limite dei mandati per le cariche apicali all’interno della Giunta regionale. La vicenda, in particolare, riguarda l’attuale presidente della Regione, Renzo Testolin, e il vice presidente, Luigi Bertschy, entrambi esponenti dell’Union valdotaine. Le forze di opposizione sostengono che, secondo la legge regionale 21/2007, entrambi non potranno ricoprire incarichi nella prossima Giunta, anche se eletti (il voto è previsto nel settembre 2025). Ovvero al massimo dovranno “accontentarsi” di fare il semplice consigliere. Della vicenda è stata investita la presidenza del Consiglio regionale. (ANSA)
Sta a crede ai sondaggi, la verità è che nessuno dimenticherà quello che non ha fatto all’opposizione