Dopo le campagne pro-vaccino, la Rai sforna una nuova pubblicità per tentare di trascinare i giovani alle urne (video)
Il Sistema in lotta contro l’Astensionismo ora si gioca la carta del convincimento. La campagna istituzionale “Il mio primo voto” promossa dalla tv pubblica
Un video di poco meno di un minuto (in basso, a fine articolo) che ricorda le pubblicità progresso degli anni ’90. In bianco e nero, con dialoghi a metà tra leggerezza e toni grevi e lapidari. E’ quello, istituzionale e dunque voluto dal governo, promosso dalla Rai. Messe momentaneamente da parte le campagne sul covid (tanto c’è quella sul “Fuoco di Sant’Antonio” per “non abbassare la guardia”), ecco spuntare quelle pro-partiti. Il bello è che la propaganda è pagata dai contribuenti, compresi quelli che non vogliono neppure sentire parlare di politica. E come dargli torto, in un Paese ridotto allo stremo dall’incompetenza della classe dirigente.
Ma cosa non si fa, del resto, per trascinare i giovani alle urne e garantirsi quel tanto che basta al perpetuarsi del sistema e di elezioni che – ca va sans dire – devono essere il più “tradizionali” possibili: con un alto numero di votanti pronti a manifestare la loro adesione alla minestra riscaldata e, spera qualcuno, magari manifestare l’indecisione con una bella e funzionale scheda bianca. Ma perché i ragazzi e le ragazze – disoccupati, privati del diritto allo studio per due anni, meno istruiti della media europea – dovrebbero privarsi di un giorno di mare, la Rai non lo spiega.
Ogni partito in corsa rappresenta la vecchia guardia e la scelta è tra chi ha ridotto il Paese a quello che è, e chi è stato posizionato dai vecchi partiti per il “dopo”, cioè per portare avanti le agende di controllo, atlantiste, sanitarie e ambientaliste quando si sarà definitivamente estinta la fiducia nei partiti più conosciuti. Per averne le prove, bussare alla stessa Rai, che da settimane organizza salotti (perfino quelli più illuminati, come quello di Lucia Annunziata) per fare da cassa da risonanza ai partiti che si sono auto-proclamati “anti-sistema”.
Rec News dir. Zaira Bartucca – recnews.it
INTERVISTE
Reati contro i minori, intervista al ministro della Famiglia Eugenia Roccella (Video)
POLITICA
FdI come il Pd. Lollobrigida: “Quest’anno lavoreremo per far entrare 500mila migranti” (video)
Con una nota di commento
“Solo quest’anno lavoreremo per fare entrare legalmente quasi 500mila immigrati legali. Questo può essere determinato anche attraverso un ragionamento bilaterale o multilaterale che permetta l’organizzazione dei flussi nei prossimi anni, che garantisca questa formula: l’immigrazione legale. Quella illegale è il primo nemico dell’immigrazione legale”. Parole e opere del cognato di Giorgia Meloni, alias il ministro dell’Agricoltura (che a quanto pare sogna il ministero dell’Interno), alias Francesco Lollobrigida.
Dai drammi di Crotone in poi, il cognato di Giorgia Meloni ha avuto più di un’uscita pubblica in tema di immigrazione, manco si sentisse il titolare del Viminale. Dopo l’annuncio del lavorìo per far entrare mezzo milione di migranti – proprio ad opera di un partito che sui proclami sui respingimenti ci ha fatto la sua fortuna politica – il dietrofront, con l’idea di un nuovo punto stampa dove il congiunto della premier nega tutto e afferma di aver parlato di “richieste”, non di ingressi. Le sue parole iniziali, però, sono state immortalate da diverse agenzie e tv. Una, Alanews, ha postato il video (che riproponiamo in alto) su Youtube, mentre molti altri hanno tentato di ripulire il tutto.
Lollobrigida, come anticipato qui, ha fatto di più, e intervistato dall’Agenzia Nova ha parlato di “500mila posti disponibili per i migranti”. Queste le sue parole: “In Italia il lavoro c’è, in tanti settori: agricoltura, ma anche edilizia, trasporti, turismo e non solo. C’è una richiesta di forza lavoro che non riusciamo a colmare sul mercato interno, anche a causa del reddito di cittadinanza che ha aumentato la carenza di persone disponibili a fare determinate attività. Oggi abbiamo tra i 300 e i 500 mila posti di lavoro disponibili. Siamo qui a Bruxelles, dove i nostri nonni sono venuti a scavare nelle miniere attraverso una migrazione legale. E questa può essere usata anche nelle interlocuzioni con alcune nazioni del Nordafrica, dalle quali provengono oggi molti immigrati clandestini, tipo la Tunisia”.
Qualche nota di commento
Rimane da capire quale guerra ci sia nella ricca, turistica e avanzata Tunisia, e perché la middle class tunisina debba contendersi i posti di lavoro disponibili – sempre se esistono – con centinaia di migliaia di precari e di neo-laureati italiani e stranieri formati nelle Università italiane nei settori menzionati dal ministro. Per non parlare di chi l’Italia la lascia – e spesso si tratta delle menti migliori – proprio perché qui non trova prospettive degne di questo nome. Eppure quello che si legge tra le righe delle dichiarazioni del cognato della Meloni – assimilabili a quelle di un piddino qualunque – è che gli italiani non vogliono lavorare, e che qualcuno debba venire da fuori per poter colmare tutta questa domanda interna. Niente di più dell’accusa che si sente spesso da parte di chi scomoda il Reddito di cittadinanza – misura che pure ha avuto vistosi limiti – per nascondere l’incapacità di tutti i governi di creare nuove opportunità di lavoro, di aprire nuove aziende nazionali e di rendere l’Italia finalmente produttiva.
Ma dalle parole di Lollobrigida si desume che solo il ricambio etnico sempre e comunque, qualunque esecutivo sia in carica, possa permetterci di dotarci di quelle famose “risorse” di boldriniana memoria che ci raccoglieranno le verdure, costruiranno le nostre case, ci pagheranno la pensione e permetteranno a un Paese fatto di anziani di sopravvivere. Il corollario dell’elettore medio di Elly Schlein, c’è tutto.
Il tutto – quello che il ministro non dice – mentre un esercito sempre più fitto di disoccupati e clochard tricolori bussa con sempre più insistenza alle mense della Caritars, di Pane Quotidiano e dell’opera di San Francesco, lasciando non presidiati quei 500mila posti di lavoro che farebbero tanto comodo a chi, a quanto pare, preferisce vivere di stenti anziché di comodità. Le file di tende di accampati nella Capitale e nelle stazioni di tutta Italia sono solo un (tragico) esempio pratico di quello che vede ogni giorno chi vive tra la gente e non trincerato nei palazzi. E’, dunque, per dedicarsi ad insulti alla logica e all’intelligenza degli italiani che Fratelli d’Italia – o Fratelli di Flussi, che dir si voglia – è stato votato e portato al governo?
E perché un ministro dell’Agricoltura può travalicare le sue competenze – forse forte dei suoi legami familiari – e fare esternazioni su decisioni e piani che non sono suoi, dove l’ultima parola spetta al titolare del Viminale? Un’idea che a Lollobrigida è costata anche una strigliata in commissione Migranti, dove si è dovuto precisare che “questo non è il ministero dell’Agricoltura”. Tutte cose che fanno pensare che, più che Piantedosi, l’unico a dover pensare alle dimissioni sia proprio il ministro dell’Agricoltura, anche perché non è dato ancora sapere perché un politico di professione, che dal 1996 a oggi ha visto più commissioni e assessorati che realtà produttive, sia stato preferito ad altri per ricoprire il ruolo strategico di ministro dell’Agricoltura e della dimenticata sovranità alimentare.
Meloni, Lollobrigida e Giancarlo Righini in un’immagine di repertorio
La favola dell’immigrazione legale “nemica” di quella illegale
E’ chiaro inoltre che, dopo anni di proclami fatti all’opposizione, il partito di Giorgia Meloni giunto al governo si è accomodato su posizioni che ha creduto di dover accettare per forza per poter stare dov’è, condannandosi così a fare – nel lungo termine – la fine di quei partiti passati dal 35 al 9%. I migranti devono venire in Italia e devono essere pure tanti, e per far digerire all’elettore medio di Fratelli d’Italia il cambio di passo, si parla in continuazione di “migrazione legale”. Ma in che modo i corridoi umanitari e i flussi ordinati bloccheranno gli arrivi sui barconi, se già il decreto Piantedosi che doveva dettare regole per le Ong ha mostrato la sua inefficacia? In questo senso, i decreti flussi e i corridoi umanitari non sono affatto un “nemico dell’immigrazione illegale”, ma solo occasioni aggiuntive di migrazione per un Paese che non produce, è afflitto dal fenomeno del “lavoro” non pagato o sottopagato ed ha poco o nulla da offrire a chi già c’è.
La frase “L’Unione europea faccia la sua parte” è stata messa…da parte
Giunto al governo, inoltre, Fratelli d’Italia ha messo da parte ogni critica all’Unione europea, e perfino quel “L’Unione europea faccia la sua parte” che doveva richiamare Bruxelles ai suoi doveri di accoglienza. L’Italia continua ad essere considerato “Paese di primo approdo” ed essere obbligato all’accoglienza (anche se chi arriva ha passato 4-5 Paesi) con il suo tasso di disoccupazione e di inattivi scoraggiati, mentre Paesi come la Germania si godono la quasi raggiunta piena occupazione, come rilevato dal Federal Labour Office.
ARTE & CULTURA
Un altro capolavoro nel mirino degli ambientalisti
Rovinare il patrimonio artistico pubblico in nome dell’ambiente, come già accaduto per i girasoli di Van Gogh. E’ la “forma di protesta” culturalmente dannosa scelta dagli attivisti di “Just stop oil”, che hanno tentato di deturpare la Ragazza con l’orecchino di perla di Vermeer
Rovinare il patrimonio artistico pubblico in nome dell’ambiente, come già accaduto per i girasoli di Van Gogh. E’ la “forma di protesta” culturalmente dannosa scelta dagli attivisti di “Just stop oil”. Il collettivo composto anche da vandali ha preso di mira la celebre “Ragazza con l’orecchino di perla”, custodita presso il Mauritshuis Museum all’Aja. Sul suggestivo dipinto è stata versata della salsa di pomodoro (in basso, nel video) e tuttora non è chiaro quale sia il beneficio abbia apportato all’ambiente. La polizia olandese ha arrestato tre persone.
POLITICA
Covid, Meloni: “Non replicheremo errori passati. Ora chiarezza su affari milionari con mascherine e respiratori”
“Non possiamo escludere una nuova pandemia, ma non replicheremo in nessun caso quel modello di gestione. L’informazione e la comunicazione sono più efficaci in tutti i campi della coercizione. Occorre fare chiarezza sugli affari milionari e sulla compravendita di mascherine e respiratori”. Un passaggio del discorso pronunciato questa mattina da Giorgia Meloni alla Camera. Dentro non c’è la cronistoria di Fratelli d’Italia (che in tempi di pandemia ha appoggiato e anzi promosso misure lesive delle Libertà fondamentali come il Green Pass) ma ci sono, fondamentalmente, le due promesse che hanno caratterizzato la campagna elettorale di FdI: l’istituzione di una commissione d’Inchiesta sulla gestione della pandemia da parte dei governi Conte II e Draghi e la fine di ogni imposizione e di ogni compressione dei diritti costituzionalmente acquisiti.
Meloni arringa, prende impegni e alza qualche barricata, per esempio sulla questione rigassificatori. Si devono fare punto e basta, anche se Piombino è già sul piede di guerra con l’annuncio del ricorso al Tar da parte del sindaco Francesco Ferrari e con la sconfessione da parte degli amministratori locali di Fratelli d’Italia, che non condividono la posizione della dirigenza del partito. Proprio i rigassificatori, peraltro, pongono due questioni toccate dallo stesso presidente del Consiglio: il mare e i sismi, perché l’idea – di per sé buona – di aumentare l’approvvigionamento nazionale di gas, in Italia si va inevitabilmente a scontrare con il pericolo aumentato di terremoti e con l’inquinamento delle acque marine.
Le preoccupazioni che giungono da mesi dagli abitanti di Piombino non coincidono, dunque, con i cosiddetti “no a prescindere”, ma nonostante questo l’approccio del governo sembra escludere in partenza l’idea di dialogo e di apertura sulla questione: “Farò quel che devo”, ribadisce varie volte il premier, “anche a costo di non essere più eletta e anche a costo di non essere capita”. Magra consolazione per una fetta importante di elettorato che ha consegnato al suo partito le sorti del Paese, certo non per subire una riedizione del governo Draghi. Ma Meloni, eccezion fatta per la pandemia, del governo del banchiere sembra sposare praticamente tutto: dall’Atlantismo ideologico all’esecuzione dei dettami provenienti dall’Unione Europea, dal ricorso agli uomini di sistema come Cingolani alla “transizione digitale con un cloud nazionale”, anche se non c’è più Colao con il suo ministero transumanista.
Sul Reddito di cittadinanza e sui migranti l’approccio annunciato è diverso ma – viste le reali condizioni del Paese – piuttosto favolistico: Meloni invoca il lavoro “per chi può”, ma non dice come il governo interverrà e come la domanda di occupazione si concilierà con l’idea totalitaria di sostenibilità promossa da Bruxelles, con la concorrenza che proviene dal mercato libero, con lo strapotere delle multinazionali, con l’internazionalizzazione imposta e con quella transizione digitale a cui si richiama, che – da sola – è in grado di falciare centinaia di migliaia di posti di lavoro.