Astenuti, i dati del Viminale: sono più degli elettori che hanno votato per la coalizione vincitrice. Pubblicato il dato sulle schede bianche
Meloni, già prematuramente battezzata dai media come il nuovo premier, ha dunque ben poco da festeggiare se si pensa che il numero di italiani che non si è recato alle urne supera il numero di elettori della coalizione vincitrice, con cui deve spartirsi ulteriormente le preferenze. Tra Camera e Senato circa 16 milioni di astenuti. A votare la coalizione di centrodestra sono stati in 12 milioni
Il ministero dell’Interno ha pubblicato nel pomeriggio di ieri nuovi dati relativi alle Elezioni Politiche del 25 settembre. Mentre scriviamo, non sono ancora pervenute 24 sezioni per il Senato e 21 alla Camera ma, come spiegato ieri, la loro inclusione non influisce sui risultati ed è – a questo punto – dato meramente statistico. Avevamo anticipato che il computo delle schede bianche sarebbe arrivato tra ieri e oggi, e infatti i dati sono arrivati a stretto giro rispetto a quanto ci era stato riferito dagli uffici del Viminale, cioè alle 15.30 (Senato) e alle 15.42 (Camera) di ieri.
Stando ai dati che si possono consultare sul portale Eligendo, le schede bianche registrate sono state 989.439 (492.650 alla Camera e 496.789 al Senato). Il dato potrebbe cambiare di poco nei giorni, quando nel calcolo rientreranno le schede ancora oggetto di contestazione. Le schede nulle sono invece state 806.661 al Senato e 817.251 alla Camera, per un totale di 1.623.912. Al Senato le schede tuttora contestate sono 3.148, alla Camera 2.817.
Ma quello che salta all’occhio è il dato relativo all’Astensione che, non solo è il più alto di sempre, ma è il vero “partito” vincitore delle ultime Politiche. Non è retorica ma un dato di fatto: Al Senato su 45.210.950 potenziali elettori, i votanti sono stati appena 28.795.727. Calcoli alla mano, non si sono recati alle urne 16.415.223 italiani, 4 milioni in più rispetto al numero di elettori che ha votato per la coalizione del centrodestra. In pratica sono state espresse le seguenti preferenze di voto e non voto:
Astensionisti: 16.415.223
Elettori della coalizione di centrodestra: 12.129.547
Elettori della coalizione di centrosinistra: 7.161.688
Elettori Movimento Cinquestelle 2050: 4.285.894
Terzo Polo: 2.131.310
Italexit: 515.294
Unione Popolare: 274.051
ISP: 309.403
De Luca sindaco d’Italia: 271.549
Vita: 196.656
PCI: 70.961
Noi di centro 42.860
APL: 40.371
Partito Animalista: 16.957
Partito Comunista del Lavoratori: 4.484
Destre Unite: 2.412
FDP: 873
Non dissimile il discorso alla Camera:
Astenuti: 16.665.364
Elettori coalizione di centrodestra: 12.300.244
Elettori coalizione di centrosinistra: 7.337.975
Movimento 5 Stelle 2050: 4.333.972
Terzo Polo: 2.186.669
Italexit: 534.579
Unione Popolare: 402.964
Isp: 348.097
De Luca sindaco d’Italia: 212.685
Vita: 201.528
SVP: 117.010
Noi di centro 46.109
PCI: 24.555
Partito animalista: 21.442
APT: 16.882
Partito della follia 1.418
Free: 828
Forza del Popolo: 815
Meloni, già prematuramente battezzata dai media come il nuovo premier, ha dunque ben poco da festeggiare se si pensa che il numero di italiani che non si è recato alle urne supera il numero di elettori della coalizione vincitrice, con cui deve spartirsi ulteriormente le preferenze. Non serve nominare gli altri partiti, sotterrati dalle scelte impopolari degli ultimi anni che hanno influito sulla libertà di scelta dei cittadini, sulla loro occupazione, sui costi vivi e su quegli energetici. In una parola: sulle loro vite devastate (non migliorate) dall’azione di una politica letteralmente e trasversalmente punita alle urne.
Il nuovo governo che si formerebbe da queste elezioni, dunque, dovrebbe misurarsi con tensioni esterne e con numeri interni davvero risicati. Si tratterebbe in ogni caso di un esecutivo lampo, forse in vita per sei mesi, e a corrente – letteralmente – alternata: sfilati salviniani e berlusconiani, si ridurrebbe subito a un cumulo di macerie, né Meloni potrebbe avere da sola la pretesa di essere sostenuta da chi già sta tentando di salire sul carro del vincitore (eclatante l’endorsement della Morani – Pd – a ridosso dei primi exit poll).
Una delle strade tuttora considerate è infatti l’intesa innaturale con Enrico Letta, che viene defenestrato dai dem proprio per consentire, nel lungo termine, un avvicinamento alla nemica-amica europeista e atlantista. Forse, di nuovo, nel nome di Mario Draghi o di un’altra figura considerata super partes. Non lo si chiamerebbe, certamente, inciucio, ma “governo di unità nazionale”, benedetto dal placet dai colonnelli della Lega che non a caso hanno tentato di giocarsi la carta dell’epurazione di Salvini.
Rec News dir. Zaira Bartucca – recnews.it
POLITICA
Zuckerberg: “Su covid e vaccini costretti alla censura dagli uomini di Biden”
Dopo la decisione di sospendere i finanziamenti ai Fact Checker, il Ceo di Meta Mark Zuckerberg ha deciso di vuotare il sacco su alcune questioni controverse che avrebbero “costretto” il Social a fare piazza pulita di determinati contenuti. In particolare quelli riguardanti il covid e la campagna vaccinale, che negli Stati Uniti come altrove è stata caratterizzata dalla stigmatizzazione di chiunque osava avanzare dubbi e qualsivoglia critica rispetto al pensiero dominante.
Non un semplice caso – per quanto eclatante – di limitazione della libertà di espressione. Perché a sentire Zuckerberg dietro alla volontà di bannare i comunicatori indipendenti ci sarebbe stato un vero e proprio disegno politico messo in pratica per preservare gli interessi dei democratici. “Durante l’amministrazione Biden, quando cercavano di lanciare il programma di vaccinazione, mentre cercavano di promuovere quel programma, cercavano anche di censurare chiunque sostanzialmente si opponesse ad esso. E ci hanno pressati super forte per eliminare cose che, onestamente, erano vere… Fondamentalmente ci pressavano e dicevano “qualsiasi cosa dica che i vaccini potrebbero avere effetti collaterali, in pratica dovete rimuoverla“. E’ quanto ha dichiarato il Ceo di Meta l’altro ieri, ospite di un podcast condotto da Joe Rogan.
“Queste persone dell’amministrazione Biden – ha proseguito Zuckerberg – chiamavano la nostra squadra e urlavano contro di loro e imprecavano… ci sono i documenti, è tutto pubblico”. E ancora: “Non penso che le pressioni affinché le società di social media censurassero i contenuti fosse legale. Il Primo Emendamento si applica al governo. Questo è il punto. Che al governo non è consentito censurare queste cose. Quindi, a un certo livello penso che, sì, avere persone nell’amministrazione che chiamano i ragazzi del nostro team e urlano contro di loro e imprecano e minacciano ripercussioni se non eliminiamo cose che sono vere, è piuttosto brutto”.
POLITICA
Maduro e la “grande alleanza mondiale contro i tiranni”
Nicolàs Maduro, presidente della Repubblica Bolivariana del Venezuela, ha giurato per il nuovo mandato nel corso della cerimonia che si è tenuta nei locali dell’Assemblea nazionale a Caracas. “Il Venezuela – ha detto il neo-eletto in occasione del discorso di insediamento – si prepara insieme a Cuba, al Nicaragua e ai nostri fratelli maggiori nel mondo, nel caso in cui un giorno dovessimo prendere le armi per difendere il diritto alla pace, il diritto alla sovranità e i diritti storici della nostra patria”. Concludendo il Festival internazionale antifascista mondiale, il successore di Hugo Chavez ha inoltre evocato una “grande alleanza globale” simile a quella che sconfisse il fascismo durante la Seconda guerra mondiale in grado di sfidare “la tirannia dei potentati occidentali”.
POLITICA
Vogliono aumentare (ancora) l’età pensionabile
Nel panorama economico e sociale attuale, il tema dell’età pensionabile è diventato particolarmente rilevante. L’aumento dell’età pensionabile che sarebbe previsto per il 2027 rappresenta una questione di grande interesse e preoccupazione per molti lavoratori. In questo articolo, esploreremo le ragioni dietro questa decisione, le sue implicazioni e cosa ci si può aspettare nel breve e nel lungo termine.
Le ragioni dietro l’aumento. La “sostenibilità” del sistema pensionistico
Uno dei motivi principali per cui il governo sta considerando l’aumento dell’età pensionabile è la cosiddetta “sostenibilità del sistema pensionistico”, che in realtà ha molto a che vedere con le casse sempre più asciutte dei sistemi di previdenza. Con l’allungamento della vita media e con produttività e turnover sempre più risicati, il numero di anni in cui le persone percepiscono la pensione è aumentato, mettendo sotto pressione i fondi pensionistici. Secondo i promotori dell’iniziativa, dunque, aumentare l’età pensionabile potrebbe tamponare la situazione bilanciando entrate e uscite. Non si sa per quanto, però, in mancanza di una riforma che possa dirsi tale e che tenga conto di necessità variegate.
Cambiamenti demografici
Un altro fattore cruciale è il cambiamento demografico. La diminuzione del tasso di natalità e l’invecchiamento della popolazione significano che ci sono meno giovani lavoratori per sostenere finanziariamente i pensionati. L’aumento dell’età pensionabile potrebbe ridurre il rapporto tra pensionati e lavoratori attivi, ma ha ripercussioni dirette su quei lavoratori costretti a rimandare la loro uscita dal mercato del lavoro.
Le implicazioni per i lavoratori: maggior tempo nel mercato del lavoro, più il problema dei lavori usuranti
Con l’aumento dell’età pensionabile, i lavoratori dovranno necessariamente rimanere nel mercato del lavoro più a lungo. Questo può avere effetti sia positivi che negativi. Da un lato alcuni potrebbero trovare utile risparmiare di più per la pensione. D’altro canto, tuttavia, le nuove regole potrebbero essere sfidanti per coloro che svolgono lavori fisicamente usuranti o per chi desidera ritirarsi prima dal mercato del lavoro.
POLITICA
Terzo mandato su misura. Ecco chi agevolerebbe
Quest’anno si torna alle urne per decretare sei nuovi governatori, quelli di Campania, Marche, Puglia, Toscana, Valle d’Aosta e Veneto. Di questi solo due sono investiti dal problema del terzo mandato: Vincenzo De Luca in Campania e Luca Zaia in Veneto.
In teoria anche la Puglia di Michele Emiliano rientrerebbe nella conta dei presidenti di regione che hanno già compiuto due mandati ma lo stesso Emiliano ha annunciato la sua intenzione di farsi da parte per garantire il ricambio generazionale. Diverso il caso di Lombardia e Friuli Venezia Giulia: due regioni dove si potrebbe porre il problema del terzo mandato visto che sia Attilio Fontana che Massimiliano Fedriga stanno compiendo il loro secondo giro alla presidenza. Ma il tema è decisamente prematuro perché, in assenza di crisi politiche, le due regioni andranno al voto solo nel 2028.
Le Regioni che andranno al voto nel 2025, come detto, sono sei. Certamente quella più al centro delle polemiche è la Campania: i cittadini dovranno scegliere il successore di Vincenzo De Luca (Pd). Al voto anche le Marche governate da Francesco Acquaroli (Fratelli d’Italia), la Puglia guidata da Michele Emiliano (Pd), la Toscana di Eugenio Giani (Pd), la Regione speciale della Valle d’Aosta governata da Renzo Testolin (Union Valdôtaine), subentrato in corso d’opera ad Erik Lavévaz (dimessosi nel 2023 a seguito di una forte crisi politica) e il Veneto guidato da Luca Zaia (Lega).
Complessa è la situazione del Veneto. Perché, con una rincorsa partita già da un anno, è in gioco il nome di Luca Zaia, che allo stato non sarebbe ricandidabile ad una presidenza numero 3 nel 2025. Formalmente Luca Zaia è al secondo incarico consecutivo, perché la legge regionale che ha introdotto il limite dei due mandati ininterrotti per le cariche elettive – recependo la norma nazionale 2004 – è stata approvata dal Consiglio Veneto nel 2012, con decorrenza dal 2015, fatto salvo il mandato che era già in corso. Zaia in quel momento era al suo primo quinquennio da presidente, dopo l’elezione-plebiscito del 2010. L’eventuale ricandidatura – per la prossima legislatura – aprirebbe di fatto per l’esponente leghista la possibilità di una quarta elezione a presidente del Veneto.
Anche in Valle d’Aosta, seppur in forme diverse, c’è un acceso dibattito intorno al limite dei mandati per le cariche apicali all’interno della Giunta regionale. La vicenda, in particolare, riguarda l’attuale presidente della Regione, Renzo Testolin, e il vice presidente, Luigi Bertschy, entrambi esponenti dell’Union valdotaine. Le forze di opposizione sostengono che, secondo la legge regionale 21/2007, entrambi non potranno ricoprire incarichi nella prossima Giunta, anche se eletti (il voto è previsto nel settembre 2025). Ovvero al massimo dovranno “accontentarsi” di fare il semplice consigliere. Della vicenda è stata investita la presidenza del Consiglio regionale. (ANSA)