LA SEGNALAZIONE
TSO ingiusti, ci giunge una segnalazione inquietante da San Donato Milanese
E’ giunta in redazione una seconda segnalazione (qui la prima) su un caso di TSO “ingiusto” che starebbe avvenendo a San Donato Milanese ai danni di una 54enne. L’uso del condizionale è d’obbligo, visto che i fatti riportati sono ancora oggetto di verifica da parte nostra. Riportiamo la seconda missiva così come ci è giunta, provvedendo ad abbreviare i nomi riportati per intero. Come si leggerà, è una missiva piuttosto inquietante, che racconta di una donna ridotta in stato di disabilità da una serie di ASO e di TSO. Questi sono considerati ingiusti dalla sorella, che riporta anche una serie di violazioni dei diritti umani che si sarebbero verificate. Siamo a disposizione delle associazioni e dei colleghi giornalisti che vorranno occuparsi della vicenda e anche di chiunque altro volesse fornire la sua versione dei fatti.
Buonasera redazione di Rec News, vorrei segnalare che ancora ad oggi avvengono questi ricoveri da parte del CPS di San Donato Milanese i dottori D.S. e G. (cognomi) con la collaborazione di G.S. (nome e cognome) un’assistente sociale che è poco del sociale. Queste persone continuano ad attestare che mia sorella è pazza, che è una schizofrenica. Nel 2019 mia sorella Michela aveva fatto fare una relazione medica da parte di una psichiatra iscritto al Foro di Lodi come perito.
Questo psichiatra dopo una serie di incontri aveva comunque concluso che Michela era una persona che non era assolutamente disturbata da un punto di vista psichiatrico, una persona praticamente normale. Questa relazione è stata anche depositata al Tribunale di Lodi presso l’area di volontaria giurisdizione. Nonostante ciò, dopo cinque anni si può dire che ogni mese se mia sorella Michela si rifiuta di fare questo puntura a base di cocktail di psicofarmaci c’è sempre questa dottoressa D.S. Del CPS di San Donato Milanese che fa fare ordinanze da parte del sindaco di San Giuliano Milanese per fare ASO e se mia sorella Michela si ribella a queste decisioni della dottoressa D. S. di fare queste cure partono i ricoveri coatti detti TSO.
Oggi è successo che ci siamo visti arrivare la polizia locale per l’ennesima volta e ci hanno costretti ad andare con l’ambulanza all’ospedale di Melegnano con la scusa di un controllo, ma un controllo non era, c’era una psichiatra con una puntura con una siringa che ha iniettato il braccio di mia sorella e continuava a ripetere che ci sono dieci psichiatri dell’ospedale di Melegnano di Vizzolo che attestano che Michela M. è pazza, schizofrenica.
Quando poi ho chiesto di sapere i nominativi di questi dottori, non mi sono stati assolutamente forniti. Dopo avergli somministrato questo cocktail di farmaci hanno preso mia sorella, l’hanno praticamente sbattuto su una lettiga e l’hanno lasciata lì a marcire per tre ore dopo che la polizia locale aveva assicurato che almeno il rientro a casa sarebbe avvenuto con un’ambulanza chiamata e pagata dall’ospedale di Melegnano Vizzolo Predabissi.
Altro fatto sconcertante è che oltre che aver piegato completamente la volontà di mia sorella, si può dire plagiato e manipolato, l’aspetto più pesante è l’abbandono totale di una persona ridotta oramai in uno stato di totale invalidità. Mia sorella Michela dopo tutti questi massacranti psicofarmaci somministrati non è più autonoma non solo se deve fare anche una visita medica, perché magari sta male fisicamente.
I dottori hanno dei preconcetti che mia sorella si inventi le malattie intanto all’ospedale dove sono, Vizzoli Predebissi, mia sorella all’ultimo ricovero TSO è venuta a novembre 2022 e hanno trascurato completamente una necrosi alla testa del femore e anca gamba destra. Ormai non si può fare neanche più nulla che sostituirla con una protesi ma siamo dovuti andare in un’altra struttura ospedaliera perché a Melegnano si sono rifiutati di procedere a fare l’operazione di protesi.
Sta facendo dei passi indietro ci si chiede come mai una persona si ritrova con questi problemi in un’età adulta di 54 anni. La prima segnalazione al CPS di San Donato Milanese è stata fatta da tre parenti, due sorelle e un cognato di nome O., R. e C. Queste persone hanno fatto false segnalazioni e queste persone invece che lavorano al GPS hanno creduto a tale versione e hanno in questo caso forzato a dei ricoveri TSO presso l’ospedale di Vizzolo. L’unica sono io che non dico falsità: mia sorella non è una malata mentale e nemmeno ci sono parenti o discendenti che abbiano avuto malattie mentali.
Nonostante ciò ogni mese la polizia locale di San Giuliano Milanese si presenta davanti al cancello e fa irruzione nell’abitazione di mia sorella Michela violando in questo caso anche la proprietà privata con la minaccia che se non si fa ricoverare immediatamente partono subito TSO e sono sempre fatti da personale e ospedale di Vizzolo Melegnano con l’autorizzazione del sindaco.
Io ritengo che è stato violato comunque il diritto di tutti noi esseri umani non solo di mia sorella, il diritto di libertà di scelta del medico e delle cure. Ci sono un infinito repertorio di leggi costituzionali che sono state violate da questi individui. Questa cosa non finirà perché ogni mese si ripresenta inesorabilmente, perché non dicono quando smetteranno con queste cure balorde che somministrano alla povera Michela, persona comunque indifesa che tutto il resto della società umana tranne voi della redazione si sono completamente dimenticati di aiutarla e applicare quelle che sono le regole del buon samaritano.
Non ci vuole poi tanto, talvolta basterebbe anche un sorriso e lasciare le persone libere di scegliere e andare dai dottori più idonei, dove viene riposta fiducia. Vi chiedo gentilmente di aggiungere questa comunicazione alla vostra testata giornalistica. Vi ringrazio siete gli unici che mi avete dato una mano, mi sono rivolta anche a più di un’associazione dei diritti umani ma non sono mai stata contattata nemmeno dall’avvocato C. Ringrazio di cuore, Anna M.
INCHIESTE
Ennesimo caso di malasanità all’ospedale di Vibo Valentia. Giuseppe Giuliano morto «solo e senza cure»
Il diritto al soccorso tempestivo e alle cure in Calabria non è poi così scontato. Essere ricoverati in questa regione, come abbiamo avuto modo di documentare, è spesso un terno al lotto. Vale un po’ per tutte le province, ma per Vibo Valentia e per l’ospedale Jazzolino – ormai al centro di innumerevoli fatti di cronaca, tutti rigorosamente senza colpevoli – vale di più. Lo sa bene la famiglia Giuliano, che da giorni si trova immersa nel dolore per la perdita prematura del loro caro.
Stando a quanto hanno riferito i familiari a Rec News, Giuseppe Giuliano – imprenditore della zona – il 14 settembre dopo un episodio di febbre e brividi inizia ad avere una gamba gonfia, arrossata e dolorante. La famiglia intorno alle 14 chiama il Pronto Soccorso dell’ospedale Jazzolino, ma viene a sapere che i tempi di attesa «sarebbero stati addirittura di tre ore».
Giuseppe viene quindi accompagnato al Pronto soccorso da uno dei figli e dalla moglie. Sta male ma, puntualizzano i familiari, riesce «a salire in macchina e a fare le scale di casa da solo, con le sue gambe». Nulla, insomma, che lasciasse presagire che da lì alle ore che sono seguite sarebbe accaduto l’irreparabile. All’arrivo al pronto soccorso, intorno alle 15, Giuseppe viene preso subito in carico, ma da lì a poco, suo malgrado, inizia un calvario fatto di abbandono e mancanza di interventi che porterà – nel pomeriggio – al decesso.
Il tempo perso per il tampone, alla ricerca del covid che non c’è
Giuseppe Giuliano, dunque, si reca all’ospedale Jazzolino di Vibo Valentia principalmente perché presenta una gamba gonfia, arrossata e dolorante. Giunto al nosocomio, però, il tempo destinato al primo soccorso di emergenza si perde tra il tampone e la ricerca del virus perduto, il covid: «Giuseppe – puntualizza la moglie – aveva una gamba molto gonfia e arrossata, dunque era andato in pronto soccorso per quei motivi». Dopo la sistemazione alla buona all’interno di una barella, inoltre, la famiglia viene allontanata «per i protocolli covid che non sono più in vigore». E’ l’ultima volta che la moglie Anna Maria e i figli Fabrizio, Stefano, TonyCristian e Dario vedono Giuseppe da vivo, anche se sono ancora convinti che al di là delle porte chiuse qualcuno si stia attivando per prestare tutte le cure necessarie.
Giuseppe lasciato morire da solo, al freddo e senza cure
Sono dunque ore drammatiche scandite da mancate risposte quelle che la famiglia Giuliano si trova a vivere dopo l’accettazione in pronto soccorso. Alle 17.15 un’infermiera riferisce che Giuseppe “è in attesa della TAC”, poco più tardi si susseguono le telefonate del figlio TonyCristian e della moglie Anna Maria. Giuseppe dice di avere freddo, racconta la famiglia, e solo la gentilezza di una ragazza che era lì vicino per un parente fa sì che si possa coprire. Tra gli infermieri, a quanto pare, non ci aveva pensato nessuno. Non sono ancora le 18 quando i familiari non riescono più a raggiungere telefonicamente Giuseppe. Verso le 19.15 una dottoressa e un’operatrice sanitaria si avvicinano ai parenti per comunicare la situazione. La famiglia Giuliano si ritrova così a a dover gestire un secco e improvviso «è morto». Lo hanno detto così, raccontano i familiari, «senza dare alcuna spiegazione o motivazione riguardo le cause della morte e rientrando immediatamente all’interno del Pronto Soccorso».
«Non aveva flebo né macchinari per il monitoraggio dei parametri vitali»
Giuseppe sarebbe rimasto tutto il tempo in barella senza essere sottoposto ad accertamenti. «Abbiamo notato – è quanto fa sapere la famiglia – che non aveva alcuna flebo né alcun altro macchinario per il monitoraggio dei parametri vitali, ad esempio per monitorare il battito cardiaco o la saturazione». Un abbandono totale che ha convinto la famiglia Giuliano ad allertare subito le Forze dell’Ordine. «I carabinieri sono giunti al pronto soccorso dopo circa mezz’ora – racconta la famiglia – ma si sono e chiusi con il medico Paolo Leombroni in un ufficio». Oltre il danno, poi, la beffa: «In serata mi è stato pure detto che la TAC era rotta» racconta Fabrizio, uno dei figli di Giuseppe Giuliano.
La denuncia sporta presso la Stazione dei Carabinieri di Spilinga
Nel dolore della perdita improvvisa subìta e nella consapevolezza di aver assistito a un caso di malasanità, la famiglia Giuliano il 15 settembre presenta una denuncia presso la Stazione dei Carabinieri di Spilinga per “Responsabilità colposa per morte o lesioni personali”. «Ora che abbiamo fatto partire le denunce – racconta uno dei figli di Giuseppe, Fabrizio – molte persone che spesso non trovano la forza di sporgere denuncia o che vengono avvicinate e scoraggiate, mi hanno contattato riportandomi le situazioni al limite dell’umanità che hanno subito all’Ospedale di Vibo Valentia. Sappiamo per chi facciamo tutto questo: lo facciamo per lui, per noi, per i tanti che non hanno la forza e incassano con rassegnazione e frustrazione. Lo facciamo perché non riaccadano più episodi di sciatteria e di menefreghismo sanitario».
La lettera al presidente della Regione Occhiuto: “In Calabria la vita umana sacrificata sull’altare della negligenza e della sciatteria sanitaria”
Coraggio e motivazione hanno spinto Fabrizio a rivolgersi direttamente al governatore Roberto Occhiuto tramite una lettera aperta: “La tragedia della sanità in Calabria con Vibo Valentia a portare la bandiera – scrive il giovane – continua a essere un’oscura e incivile pagina della storia della nostra Regione. Al pari delle altre regioni d’Italia, il diritto ad essere curati dovrebbe essere garantito, purtroppo tutto ciò a Vibo Valentia non è scontato. Ci troviamo di fronte a una realtà in cui la vita umana sembra essere spesso ignorata. È un sistema marcio, corrotto dall’indifferenza, dall’inerzia e dal malaffare, dove il valore di una vita umana viene spesso sacrificato sull’altare della negligenza, del menefreghismo e della completa sciatteria sanitaria”.
“Sì, proprio così – prosegue Fabrizio Giuliano – “sciatteria sanitaria” perché ogni qual volta si ha bisogno di curarsi si ha l’impressione di percepire un mix di adrenalina e ansia al pari di una puntata alla roulette russa. In Calabria, la morte sembra essere diventata una statistica, un numero tra i tanti. Le persone soffrono e muoiono senza ricevere le cure di cui hanno bisogno, mentre chi dovrebbe proteggerle e curarle sembra voltare lo sguardo altrove. Il dolore delle famiglie, costrette a vedere i propri cari andarsene prematuramente, è amplificato dall’impotenza di fronte a un sistema che non funziona, un sistema appunto marcio da dentro”.
“Questo – continua Fabrizio Giuliano – è un appello alla coscienza di tutti noi, ma soprattutto alla vostra, che siete i nostri rappresentanti, affinché si metta fine a questa indifferenza verso la sofferenza umana. Oggi a morire inerme per mano di un’equipe di lestofanti e negligenti è stato il mio caro papà, ma le prometto che non ci arrenderemo di fronte a niente e nessuno pur di arrivare a far chiarezza sulle responsabilità di ognuno. Ogni vita conta, e nessuno dovrebbe morire come se niente fosse, a causa di mercenari sanitari perché i medici, quelli animati da vocazione alla missione, sono ben altro”. La famiglia di Giuseppe Giuliano, vittima di un caso di malasanità, è attiva sui social con l’hashtag #GiustiziaPerGiuliano.
LA SEGNALAZIONE
“Psichiatri, forze dell’ordine e medici, entrati in casa mia per questo motivo”
Dopo aver pubblicato diverse segnalazioni (qui e qui), riceviamo e pubblichiamo questa nuova lettera di una signora di San Donato Milanese, sperando che chi di competenza si occupi del caso.
Buonasera redazione Rec News,
Oggi – la mail è del 30 marzo, ndr – si sono presentati davanti a casa di mia sorella Michela la psichiatra D.S., un infermiere di nome Sergio, tre agenti della polizia locale, l’assistente sociale G.S. Hanno preteso di entrare in casa, hanno fatto un giro per vedere dove si trova Michela. Ho fatto entrare sole tre persone perché fuori erano almeno 10 persone! Assurdo. Ho provato a spiegare che stava in ospedale per riabilitazione dovuta al operazione protesi anca ma non mi hanno creduta e se non li facevo entrare partiva una denuncia “per sequestro di persona“.
E’ inutile dire che ho fatto presente le loro violazioni ma in risposta mi hanno detto che c’è un altra ordinanza del sindaco Marco Segala di San Giuliano Milanese. Ho chiesto alla dottoressa D.S. come mai a dicembre 2022 Michela si trovava a Vaprio D’Adda e mi ha risposto che era in riabilitazione, in risposta ho detto che prima doveva operarsi e poi si riabilita. Comunque l’infermiere ha voluto che aprissi le ante armadio della camera di mamma per vedere se avevo nascosto Michela nell’armadio.
Ho fatto vedere qualche foto di Michela scattata a dicembre 2022 ma non ho visto tracce sui loro volti di umanità. La dottoressa D.S. mi ha detto che vuole sapere lo pschiatra, chi segue Michela, ho detto il nome ma non le è bastato. In conclusione se non li facevo entrare avrebbero chiamato i pompieri per entrare in casa…Non capisco ci sono innumerevoli articoli del codice civile e del codice deontologico medico che non obbligano la persona ad andare o seguire una prescrizione farmacologica, per diritto ogni individuo è libero di scegliere il medico, costruire un rapporto di fiducia e la cura più adatta.
In questo Paese non siamo più liberi a questo punto e non credo minimamente che la dottoressa D.S. finisce di infastidire Michela anche se andrà da un altro psichiatra. Non c’è nessuna perizia che dica che Michela è schizofrenica paranoide anzi nel 2019 il perito psichiatra aveva fatto una relazione che era sana di mente. I medici che avevano visitato e richiesto TSO e ASO lavorano nella stessa struttura anche se cps è a San Donato. La dottoressa D.S. lavora come dirigente medico al reparto psichiatrico di Melegnano Vizzolo Pedrabissi.
La legge prevede uscita e visita di due psichiatri che non lavorino nello stesso luogo. Comunque oggi mi hanno messo in guardia che se Michela non si fa trovare parte una denuncia di sequestro di persona, ma Michela si trova adesso in ospedale lontano chilometri per cercare di tornare a camminare! Mi sono rivolta associazione diritti umani non li ho più sentiti. Sono pochissimi gli avvocati che seguono questi casi. Spero sempre che tutto finisca come un brutto sogno. Grazie per tutto, cordiali saluti A. M.
LA SEGNALAZIONE
“Mia sorella sottoposta senza motivo a quattro TSO”
Buongiorno gentilissima redazione. Vorrei narrarvi la storia di mia sorella di 54 anni, 4 tso e altrettanti ASO. Ultimo oggi, con obbligo iniezione con farmaco psichiatrico. È partito tutto da alcuni parenti che hanno segnalato al CPS di San Donato Milanese, dopodiché da anni siamo bersagliate da continue pressioni a fare cure inadeguate. Per evitare i TSO mia sorella ha dovuto accettare di fare questa iniezione mensile. Ci siamo rivolti a diverse associazioni e anche ad avvocati chiedendo aiuto, ma nulla è servito.
Mia sorella, M.M., ha fatto una relazione psichiatrica ed è stata riconosciuta sana di mente, ma dall’ospedale di Melegnano sostengono il contrario. Per loro mia sorella non è sana di mente, per loro è una persona schizofrenica e paranoide. Non hanno mai fatto una perizia che dimostri questa loro teoria, ma comunque loro continuano a fare ricoveri forzati e a propinare tutti questi farmaci che comunque nel tempo hanno lasciato i loro segni. Io stessa che non ho subito una violenza come il TSO ma ne subisco indirettamente gli effetti mi sento impotente, avvilita, priva di forze e sconfitta davanti a un sistema che ritengo sia dittatoriale.
Perché priva non solo la persona ma tutta la famiglia delle libertà di scelta di andare dal medico che ispira fiducia e scegliere le cure con piena consapevolezza. Chiedo a voi di pubblicare questa lettera e attendo vostre notizie speranzosa, ringraziando porgo cordiali saluti. A.M.
INCHIESTE
L’Odissea lunga otto ore, poi il decesso. Storia di Antonio, vittima di un caso di malasanità
Commissariamenti, carenze di posti letto, personale e attrezzature, negligenze. Pur esistendo picchi di eccellenze, curarsi e ricevere soccorso in Calabria si rivela spesso un terno al Lotto, con esiti anche letali. Lo documentano i numerosi fatti di cronaca e lo sa bene la famiglia di Antonio Caroccia, 72enne di Guardia Piemontese. E’ il 5 marzo di quest’anno quando – intorno alle 18.00 – avverte un dolore lombare che nel giro di una decina di minuti si trasforma in un malessere generale. Alle 18.50 circa è chiaro che la situazione è preoccupante, ma recuperabile. Nel giro di un’ora il signor Caroccia tenta di farsi spalmare un unguento nell’illusione di poter allievare il dolore, cerca di misurarsi la pressione e alla fine si accascia al suolo. Sta male ma da lì alla serata rimarrà“vigile, collaborante e orientato nel tempo e nello spazio”, si legge nella relazione del Tirrenia Hospital di Belvedere Marittimo, dove giungerà alle 19.31. Di tenore differente quanto scritto dall’ASP di Cosenza, dove si parla di “paziente non cosciente” già alle 18.48.
Il signor Antonio non aveva malattie, anzi – pur assumendo farmaci – era un uomo che si definirebbe, almeno in apparenza, in salute. “Lui era quello che a 72 anni riusciva ancora a rincorrere un mezzo”, racconta la figlia senza riuscire a celare l’emozione. Quel pomeriggio tutto lascia pensare che può farcela: l’ambulanza del PET di Cetraro è fortunatamente nei paraggi e arriva sul posto nel giro di 7 minuti. Ma da lì a poco iniziano una serie di eventi concatenati che porteranno nel giro di diverse ore al decesso. Tutto inizia da un tracciato diagnostico ECG teletrasmesso dal 118 ma mai arrivato all’ASP di Cosenza. “Problemi di linea dati”, si legge nella relazione del Direttore della centrale operativa dei soccorsi.
In centrale iniziano a piovere chiamate dai famigliari di Antonio e dal medico che ha fatto la prima diagnosi, che per giunta poi si rivelerà errata. Si tenta di capire che fine abbia fatto l’ECG, ma dall’altro capo del telefono – documentano gli audio – si succedono stranianti attese con tanto di registrazioni della “Primavera” di Vivaldi e infermieri flemmatici e in alcuni casi sgarbati, come se in quelle drammatiche ore non si decidesse della vita e della morte di una persona. “Quello che mi fa ancora male – racconta Valentina, una delle due figlie del signor Antonio – è la mancanza di tatto e di umanità da parte di alcuni che hanno dovuto subire mio padre e la mia famiglia”.
Ascoltando le registrazioni audio si sente infatti a un “Che vuoi?”, leggendo i resoconti si apprende che il povero Antonio nelle quasi otto ore angoscianti che sono intercorse tra il malore e la morte, avvenuta all’1.30 di notte, è stato maltrattato dall’infermiere della PET di Cetraro che provvedeva al posizionamento dell’agocannula per la somministrazione di un farmaco e trasportato fuori di casa seminudo in sedia a rotelle per essere imbarcato in una delle ambulanze che ha visto quel giorno. “E’ stata mia mamma a mettergli un plaid addosso”, ricorda la figlia amareggiata e ancora addolorata per quell’immagine del padre. Anche l’istantanea di un autista del 118 fermo e “occupato a fumarsi tranquillamente una sigaretta” mentre il papà aspetta di essere trasportato in un altro presidio sanitario è un qualcosa che non dimenticherà facilmente.
Sballottato da una parte all’altra in forza di convinzioni e diagnosi che poi si riveleranno errate, Antonio riesce a raggiungere il reparto di Chirurgia dell’Ospedale Annunziata di Cosenza solo alle 22.37, quasi cinque ore dopo il malore. Alle 23.10, si tenta di intervenire per l’“aneurisma soprarenale dell’aorta addominale di 10 centimetri” finalmente diagnosticato. All’1.30 di notte subentra il decesso, che forse poteva essere evitato. All’arrivo dei soccorsi – documenta un verbale del 118 – A. è infatti in grado di tenere gli occhi aperti, risponde agli stimoli esterni, è in grado di interloquire, non presenta asimmetrie facciali, disartrie o afasie e non ha emiparesi o ipostenie agli arti. Ma dalla richiesta di soccorso all’arrivo in Chirurgia in codice rosso – complici le diagnosi errate, la mancanza di posti letto e i veti posti al ricovero di cui riferisce la famiglia – trascorrono quasi cinque lunghe ore che saranno, purtroppo, tra le ultime di Antonio. Altre le passerà sotto i ferri, prima che subentri il decesso.
Oggi, nove mesi dopo la scomparsa del loro congiunto, per i familiari è stato il Natale più triste. C’è poca voglia di festeggiare ma non si perde la speranza, perché c’è una battaglia da combattere. Quella per far sì che la morte – per quanto dolorosa e ingiusta – di un marito e di un padre non sia stata vana. “Credo fortemente – scrive a Rec News Valentina, una delle due figlie – che portare all’attenzione della opinione pubblica questi episodi non sia solo un dovere civico ma sia importante per far risvegliare sempre più le coscienze di coloro che devono decidere, nella speranza che le cose cambino“. Parole che vengono dalla Calabria buona, quella che non si arrende alle ingiustizie, non si nasconde e lotta per un futuro in cui non si debba morire per le attese infinite, per la mancanza di posti letto, per le disattenzioni croniche e per le diagnosi errate. Tutte cose che il povero A. ha dovuto subire e che ancora oggi provocano “rabbia e tristezza” nei familiari.
Un futuro dove la vita di un paziente venga considerata preziosa, dove l’assistenza di qualità e la solidarietà prendano il posto delle negligenze e del cinismo che paradossalmente spesso si registra in molti operatori sanitari, cioè in chi è preposto al soccorso e alla cura delle persone. Un caso di malasanità – l’ennesimo in una Regione vittima di tagli selvaggi alla Sanità – che è giunto anche al Ministero della Salute con protocollo 7374-31/03/2022, che per ora si è perso nel turnover politico e nelle richieste di relazioni inoltrate alla Regione Calabria.