SOLUZIONI AL DEBITO
Ditta cessata e ristrutturazione dei debiti, chi può accedervi e quali sono gli strumenti
di Luca Barbuto*
Il nuovo codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, entrato in vigore il 15 luglio 2022 ha introdotto diversi strumenti di risoluzione della crisi destinati sia alle imprese fallibili che sia ai soggetti “minori” ovvero consumatori, professionisti e imprese sotto soglia di fallibilità. Tra gli istituti finalizzati alla risoluzione del debito il Codice prevede “la ristrutturazione dei debiti del consumatore a cui può accedere esclusivamente la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività d’impresa ed il concordato minore destinato invece ai professionisti, agli imprenditori agricoli, alle start up innovative ed a tutti gli altri imprenditori c.d. minori ovvero non fallibili.
Il legislatore ha inteso disciplinare quindi le situazioni di crisi e di insolvenza inerenti sia debiti di natura privatistica che scaturenti da attività d’impresa, a condizione, in quest’ultimo caso, che la proposta di ristrutturazione consenta la prosecuzione dell’attività.
Tuttavia, sono frequenti nella prassi i casi di esposizioni debitorie inerenti ditte cessate o attività professionali non più esercitate, alle quali non sarebbe applicabile né la ristrutturazione dei debiti del consumatore, strumento riservato al soggetto che agisce per scopi estranei all’impresa, né lo strumento del concordato minore posto che il Legislatore ha disposto espressamente all’art 33 comma 4 CCII che la domanda presentata dall’imprenditore cancellato dal registro delle imprese è inammissibile.
Paradossalmente, nei casi in questione ed in presenza di debiti di natura tributaria, relativi ad una pregressa attività ormai non più esercitata non sarebbe consentito di accedere ad alcuno degli strumenti di risoluzione della crisi, con l’unica via d’uscita, applicabile per ottenere l’esdebitazione, della liquidazione controllata dei beni.
In vero, dal confronto tra la vecchia disciplina di cui alla Legge 3/2012 e quella nuova del codice della crisi d’impresa parrebbe rinvenirsi una soluzione posto che, si è passati dal concetto di consumatore come colui che ha assunto obbligazioni per scopi estranei all’attività a quello di soggetto che agisce per scopi estranei all’attività. La definizione di consumatore appare quindi, con la nuova disciplina, maggiormente incentrata sull’attualità dell’attività svolta che non sull’origine del debito, di conseguenza, non può non riconoscersi, a parere di chi scrive, in capo al soggetto cessato o in capo a colui che non esercita più alcuna attività professionale o d’impresa, la qualifica di consumatore, il quale pur avendola svolta in passato non agisce più nell’attualità come impresa.
Tale interpretazione, del resto, è anche rinvenibile nella stessa relazione illustrativa al Codice della Crisi nella quale si legge che, non può definirsi consumatore la persona fisica che non abbia cessato di svolgere l’attività professionale o di impresa, ritenendo quindi a contrario che è consumatore colui che quella attività non esercita più.
La stessa Corte di Cassazione con sentenza 1869/2016, sotto il vigore della precedente normativa aveva puntato l’accento sull’attualità del debito, facendo rientrare nella nozione di consumatore il soggetto con debiti d’impresa purchè derivanti da attività imprenditoriale o professionale pregressa e non più proseguita.
Tale soluzione appare senza dubbio maggiormente compatibile con la nozione di consumatore quale persona fisica che nel presente ‘agisce’ per scopi estranei all’attività imprenditoriale pur avendola ‘eventualmente’ svolta nel passato”, la suddetta nozione appare capace di abbracciare qualunque persona fisica che al momento dell’accesso allo strumento di regolazione della crisi da sovraindebitamento, sia obiettivamente spogliato della veste di imprenditore o professionista e ciò indipendentemente dal proprio diverso passato dal quale abbia ancora ereditato debiti.
Del resto, escludere l’ex professionista o ex imprenditore dallo strumento della ristrutturazione ex art. 67 CCII per relegarli alla sola liquidazione risulta priva di motivazione e contraria allo spirito della legge di favorire un fresh start del debitore
Alla luce delle argomentazioni sopra riferite si ritiene che al soggetto sovraindebitato, con pregressa esposizione debitoria derivante da attività professionale o di impresa, non possa essere precluso l’accesso allo strumento della ristrutturazione dei debiti del consumatore, purchè il debito tributario oggetto di ristrutturazione non sia più attuale e l’attività non sia più esercitata.
L’impatto della crisi economica ha investito, per quello che interessa il presente contributo, anche il settore sportivo, sia professionistico che dilettantistico, nelle varie forme delle associazioni sportive dilettantistiche (ASD) – delle società sportive dilettantistiche (SSD) ed infine delle società sportive professionistiche le quali si differenziano tra loro per essere le prime (ASD) caratterizzate da una organizzazione di più persone che decidono di associarsi stabilmente per realizzare un interesse comune, cioè la gestione di una o più attività sportiva, senza scopo di lucro e per finalità di natura ideale, cioè praticate in forma dilettantistica; le seconde (SSD) caratterizzate dall’assenza del fine di lucro ma costituite nella forma di società di capitali, che esercitano attività sportiva dilettantistica; ed infine, le società professionistiche la cui attività viene svolta a titolo oneroso e in modo continuativo nelle discipline regolamentate dal CONI ed esercitata nelle forme di società per azioni (spa) e di società a responsabilità limitata (srl).
Il primo quesito da porsi, per giungere poi in concreto alle soluzioni praticabili sul tema della risoluzione del debito, è se le ASD e le SSD possono essere assoggettate a fallimento ed altre procedure concorsuali.
Normalmente le ASD risultano essere enti privi di scopo di lucro, il che potrebbe condurre ad affermare la non applicabilità, alle stesse, delle norme relative alle procedure concorsuali (fallimento, concordato preventivo), ma non sempre questa affermazione può essere considerata corretta posto che, l’orientamento dottrinale e quello giurisprudenziale offrono una risposta di segno opposto, nel senso che le ASD e le SSD sono potenzialmente sottoponibili ad una procedura fallimentare – infatti – se da un lato tali enti sono costituiti con una finalità che non comporta lo svolgimento di attività intesa in senso stretto come economica, non è da escludere tuttavia che l’attività economica sia effettivamente esercitata, anche in maniera eventualmente secondaria e strumentale rispetto a quella principale, con conseguente applicabilità della normativa fallimentare.
Per le Società Sportive Dilettantistiche la soluzione alla questione sembrerebbe invece più lineare dato che tali enti, costituiti come società di capitali o come cooperative, rientrano ancora più agevolmente nel novero delle imprese commerciali, con conseguente assoggettabilità delle stesse alle procedure concorsuali.
Ma quali strumenti possono essere utilizzati dalle entità sopra citate per risolvere la crisi da sovraindebitamento?
Di certo, per le realtà associative anzidette possono trovare applicazione gli strumenti di risoluzione della crisi introdotti dal Legislatore con il Nuovo Codice della Crisi D’Impresa e dell’insolvenza, in vigore dal 15 luglio 2022 quali, a titolo semplificativo, il concordato minore, la composizione negoziata della crisi ed ancora la liquidazione controllata strumenti che consentono concrete possibilità di abbattimento della esposizione debitoria, il superamento della situazione di sovraindebitamento del debitore, nonché la prosecuzione dell’attività.
Si ritiene invece non applicabile lo strumento della ristrutturazione dei debiti del consumatore posto che non è qualificabile come consumatore il soggetto in stato di sovraindebitamento le cui cause sono riconducibili al rivestito ruolo di Presidente di Associazione Sportiva Dilettantistica (A.S.D.). Secondo la giurisprudenza infatti, nell’associazione riconosciuta, l’attività esercitata può ben essere qualificata come “economica”, ossia potenzialmente in grado di produrre utile, il ché attribuirebbe la qualifica di imprenditore al soggetto rappresentante, per l’effetto, il carattere imprenditoriale negherebbe la possibilità di accedere ai benefici della ristrutturazione dei debiti del consumatore.
In conclusione, anche per le entità sopra descritte, ovvero associazioni e società sportive dilettantistiche esistono concreti rimedi per superare la crisi da sovraindebitamento e per la ripresa dell’attività con possibilità di definire l’esposizione debitoria in misura ridotta rispetto a quanto dovuto.
Il termine ludopatia indica una condizione di dipendenza dal gioco d’azzardo che si manifesta con bisogno crescente di giocare, ricerca di denaro da destinare al gioco per ottenere l’eccitazione desiderata, irrequietezza ed irritabilità nelle fasi di non gioco, presenza di pensieri insistenti inerenti le giocate passate e pianificazione delle future, desiderio di rientrare di quanto perduto, compromissione delle relazioni affettive e personali ed infine, ricerca continua di denaro da destinare al gioco anche a mezzo di ricorso al credito.
Ma quali sono i segnali e gli indici del gioco d’azzardo?
Un segnale importante è dato dall’aumento nella frequenza delle giocate, sempre più ravvicinate con un numero sempre maggiore di accessi ai luoghi del gioco, siano essi fisici o virtuali, oscillazione e discontinuità nell’umore che si manifesta con irritazione, ansia o tristezza, distrazione e distacco.
Segnali importanti si manifestano ovviamente anche in ambito lavorativo, scolastico e familiare, dove si registra un mutamento nelle abitudini alimentari e nella frequenza del sonno. Ovviamente compromessa è la sfera economica, posto che il soggetto ludopatico è alla continua ricerca di liquidità per sostenere le proprie giocate. Ricerca che induce prima a non provvedere al pagamento delle spese correnti, affitto, bollette, rate di mutuo e finanziamenti, successivamente a richiedere aiuto economico ad amici, familiari e infine a richiedere prestiti a istituzioni bancarie e finanziarie.
Quali sono i rimedi all’indebitamento causato dal gioco?
Orbene, occorre chiedersi se il soggetto ludopatico possa accedere agli strumenti disciplinati dal codice della crisi d’impresa per ottenere l’esdebitazione e la cancellazione dei debiti contratti a causa del gioco e se possa sussistere, nei casi di ludopatia, il requisito cosiddetto della “meritevolezza”, cioè l’assenza di colpa nella determinazione dell’indebitamento.
La risposta ci viene fornita dalla giurisprudenza formatasi sul punto, orientata positivamente nell’ammettere il soggetto ludopatico alle procedure da sovraindebitamento, a condizione che la ludopatia non integri una natura colposa, ma sia frutto di una effettiva patologia, preferibilmente oggetto di riscontro anche da parte dell’unità sanitaria locale.
Occorre infatti distinguere il debitore sovraindebitato quale soggetto semplicemente dedito al gioco d’azzardo, rispetto a colui che è affetto da un vero e proprio disturbo di gioco d’azzardo patologico.
In sostanza la giurisprudenza ammette, per il soggetto ludopatico, l’accesso alle procedure per l’esdebitazione laddove il sovraindebitamento sia stato causato da un accertato disturbo di gioco d’azzardo patologico, riconoscendo perciò l’assenza di colpa nella determinazione dell’indebitamento. Il sovraindebitato, pur avendo causato il proprio debito risulta avere tenuto detto comportamento incolpevolmente per effetto di una vera e propria patologia psichiatrica – la ludopatia, per la quale è necessario documentare l’esistenza volontaria di un percorso di cure.
Assume rilievo quindi il modo in cui il debitore stesso ha inteso affrontare la propria patologia: Si esclude quindi la natura colposa del credito sproporzionato ogniqualvolta il debitore abbia intrapreso un percorso di recupero che gli consenta di superare la patologia e quindi di neutralizzare definitivamente la fonte dei propri debiti. L’accezione negativa viene traslata dalla condotta dell’accesso al credito, alla condotta inerte di fronte alla patologia che ha condotto il debitore allo sproporzionato accesso al credito: al debitore ludopatico viene preclusa l’esdebitazione non tanto perché ha contratto debiti in modo sproporzionato, quanto perché non ha reagito e non reagisce in modo responsabile alla condizione personale che lo ha condotto a contrarre debiti sproporzionati.
Il Legislatore, con il Codice della Crisi entrato in vigore il 15 luglio 2022, ha introdotto nel nostro ordinamento una serie di strumenti finalizzati alla risoluzione delle situazioni di crisi ed insolvenza, concetti questi definiti in maniera dettagliata all’art.2 rispettivamente come lo stato del debitore che rende probabile l’insolvenza e che si manifesta con l’inadeguatezza dei flussi di cassa a far fronte alle obbligazioni nei dodici mesi successivi (la crisi), e come lo stato del debitore che si manifesta con inadempimenti o altri fattori esteriori che dimostrano che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni (l’insolvenza).
Al di là degli strumenti previsti dal Codice per la risoluzione delle situazioni conclamate di sovraindebitamento, il legislatore ha inteso porre degli obblighi in capo all’imprenditore individuale e collettivo, individuati dal combinato disposto di cui agli artt. 3 e 375 del CCII e dall’art. 2086 c.c. finalizzati alla prevenzione ed alla emersione tempestiva delle situazioni di crisi. In tal senso l’imprenditore è tenuto secondo il citato art. 3 a:
- adottare misure idonee a rilevare tempestivamente lo stato di crisi e assumere senza indugio le iniziative necessarie per farvi fronte;
- adottare un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato ai fini della rilevazione tempestiva dello stato di crisi.
L’art. 375 CCII ha riformulato l’art. 2086 c.c. il quale, secondo la nuova formulazione prevede che: l’imprenditore che operi in forma collettiva o societaria ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale.”
In buona sostanza l’amministratore dovrà predisporre e mantenere un assetto organizzativo adeguato ai fini della tempestiva rilevazione della crisi e, laddove questa venga rilevata, assumere ogni iniziativa idonea nell’individuazione delle misure funzionali ad affrontare e superare lo stato di crisi.
Di fatto, con gli articoli citati viene introdotta una sorta di nuova responsabilità per l’imprenditore al quale viene imposto di mettere in essere strumenti/servizi che siano in grado di rilevare tempestivamente i sintomi della crisi adottando indicatori in grado di cogliere i segnali di una crisi futura in modo tempestivo.
Ma quali sono i segnali di previsione della crisi?
I segnali di una probabile crisi vengono individuati dal Legislatore all’art.3, comma 4, lettere a-d ovvero:
- esistenza di debiti per retribuzioni scadute da almeno trenta giorni pari ad oltre la metà dell’ammontare complessivo delle retribuzioni;
- esistenza di debiti verso fornitori scaduti da almeno 90 giorni di ammontare superiore a quello dei debiti non scaduti;
- esposizione debitoria nei confronti di banche e finanziarie, scadute da più di 60 giorni o che abbiano superato da almeno 60 giorni il limite degli affidamenti ottenuti purchè rappresentino almeno il 5% del totale delle esposizioni;
- esistenza di esposizioni debitorie nei confronti creditori pubblici qualificati quali Inail, Inps, Agenzia delle entrate ed Agenzia delle Entrate riscossione, i quali, ai sensi dell’art. 25 novies hanno l’obbligo di segnalare, all’imprenditore l’esistenza di esposizioni debitorie per mancato versamento dei contributi previdenziali o il mancato pagamento dei premi assicurativi scaduti o ancora l’esistenza di un debito scaduto relativo ad Iva ed infine l’esistenza di crediti affidati per la riscossione.
Il legislatore ha pertanto non solo chiarito la funzione delle misure e degli assetti organizzativi a cui l’imprenditore dovrà adeguarsi in ottemperanza alle nuove norme dettate dal codice, anche ai fini di una sua esclusione da responsabilità, ma ha anche espressamente esplicitato i segnali di allarme ritenuti più significativi rispetto ad una possibile situazione di difficoltà in cui può venirsi a trovare l’impresa. Occorre quindi per il futuro, ed in particolare per le c.d. PMI, diffondere una cultura che induca l’imprenditore a dotare la propria azienda di modelli di governance e di sistemi di controllo interni più adeguati ad affrontare le nuove complessità nonché garantire la prospettiva della continuità aziendale.
SOLUZIONI AL DEBITO
Difendersi dal pignoramento esattoriale. Quando è legittimo, effetti e casi pratici
di Luca Barbuto*
Capita sovente di ricevere da parte dell’Agente di Riscossione la notifica di un atto di pignoramento per cartelle esattoriali non pagate o ancor peggio di scoprire casualmente o a seguito di comunicazione della Banca, di avere un pignoramento sul proprio conto corrente sul quale l’Istituto di credito ha apposto un vincolo ed un blocco.
Per fare chiarezza sull’istituto oggetto di disamina, occorre premettere che il c.d. pignoramento esattoriale trova la sua disciplina nell’art 72-bis del d.P.R. n. 602 del 1973 – rubricato “disposizioni sulla riscossione delle imposte sui redditi” il quale prevede che, l’atto di pignoramento dei crediti del debitore verso terzi può contenere, in luogo della citazione secondo le regole ordinarie, l’ordine al terzo di pagare il credito direttamente al concessionario, fino a concorrenza del credito per cui si procede.
Il legislatore ha introdotto quindi una forma c.d. di pignoramento “diretto” a mezzo del quale l’Agente della Riscossione attiva la procedura di recupero forzoso del credito nel caso di sussistenza in capo al debitore, di debiti derivanti da cartelle esattoriali non pagate.
In concreto, l’agente della riscossione, con il pignoramento esattoriale impartisce ad un soggetto terzo, Banche o datore di lavoro, l’ordine di pagare il credito direttamente all’agente stesso entro il termine di 60 giorni dalla notifica dell’atto. L’ordine di pagamento diretto, rivolto dall’agente della riscossione, configura un vero e proprio processo esecutivo per espropriazione di crediti presso terzi, differenziandosi dalla procedura ordinaria essenzialmente per la possibilità del creditore di “ordinare” direttamente al terzo il pagamento delle somme pignorate senza dover attivare le procedure esecutive ordinarie dinanzi il Tribunale.
Per espressa previsione normativa sono tuttavia esclusi da tale forma di pignoramento i crediti pensionistici, i crediti alimentari, i sussidi e le somme dovute a titolo di stipendio, di salario o di altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, le quali possono essere pignorate dall’agente della riscossione in misura pari ad un decimo per importi fino a 2.500 euro e in misura pari ad un settimo per importi superiori a 2.500 euro e non superiori a 5.000 euro.
Per quanto di interesse nella presente disamina occorre porsi l’interrogativo relativo a quali effetti pratici conseguono al pignoramento esattoriale decorso il termine di 60 gg. per l’adempimento del terzo in ragione della prassi, spesso attuata dalle banche, di far permanere il vincolo sul conto corrente oltre i limiti temporali indicati nella norma.
In primo luogo può accadere che l’ordine di pagamento rimanga inevaso dalla nostra Banca e quindi nessun riscontro venga fornito e nessun adempimento venga attuato dalla stessa, nel termine previsto di 60 gg. Orbene, in tali casi, l’agente della riscossione, dovrà attivarsi – secondo l’art. 72, comma 2, con le ordinarie norme esecutive e procedere quindi con la notifica di atto di citazione nei riguardi del terzo intimato e del debitore a comparire innanzi al giudice dell’esecuzione, in difetto il pignoramento perderà la sua efficacia, con l’obbligo del terzo di svincolare ogni limitazione apposta sul conto corrente.
Nell’ipotesi in cui il terzo adempia all’ordine e provveda al pagamento si avrà l’immediato effetto satisfattivo del credito e la procedura dovrà ritenersi definita e conclusa, anche in caso di pagamento parziale e non totalmente satisfattivo. In tale ultimo caso rimane comunque fermo l’obbligo del terzo di eseguire, sempre nei limiti temporali di 60 giorni, ulteriore pagamento nell’ipotesi in cui sopraggiungano ulteriori crediti in favore del debitore, proprio in ragione del termine di efficacia dell’ordine. Diverso orientamento ritiene tuttavia che il pagamento effettuato dal terzo determinerebbe immediatamente la chiusura della procedura espropriativa speciale venendo meno, quindi, la permanenza del vincolo oltre la data del versamento all’agente della riscossione.
Decorsi comunque i 60 gg. il terzo può ritenersi liberato dal vincolo in ragione del principio per il quale l’ordinamento esclude vincoli senza limiti temporali sicché non potrebbe prospettarsi, in mancanza di una specifica disposizione, una protrazione degli effetti del pignoramento. Potrebbe tuttavia ritenersi che, in applicazione analogica del disposto di cui all’art. 497 cpc l’agente della riscossione debba, in assenza di comunicazioni da parte del terzo, procedere nel termine ulteriore di 45 giorni, con il pignoramento ordinario, in mancanza, secondo il disposto dell’articolo sopra citato, il pignoramento perderebbe efficacia. Può affermarsi quindi che, il pignoramento esattoriale si sviluppa in due fasi: la prima si conclude con la dichiarazione negativa rispetto alla quale è onere dell’agente della riscossione avviare una seconda fase, costituita dal pignoramento ordinario.
E’ pacifico comunque che il pignoramento esattoriale non può avere una durata ed effetti illimitati in danno del contribuente, diversamente da quanto accade nella prassi bancaria, laddove molto spesso l’istituto di credito vincola il rapporto oltre i termini indicati dalla norma con effetti pregiudizievoli per il cittadino. In presenta di tale condotta è opportuno sollecitare la Banca, tramite diffida legale, allo svincolo del conto corrente per inefficacia del pignoramento ed in difetto citare in giudizio la banca stessa, dinanzi il Tribunale competente per far dichiarare giudizialmente l’inefficacia del pignoramento.