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Bounty campaign e le 50 cripto-truffe più in voga che inquinano Bitcoin Talk
Uno dei modi più comuni in cui le persone possono incappare in truffe sulla criptovaluta è aderendo a una campagna Bounty per la promozione sui social. Le truffe Bounty si verificano quando un team di progetto di criptovaluta, o una società di marketing, dicono di offrire incentivi monetari o di altro tipo come parte di una campagna promozionale sui social. Il truffatore può ripagare gli utenti che partecipano, ma spesso non li paga affatto. In questo caso, l’utente ha lavorato per la criptovaluta senza alcun compenso.
Può anche succedere che i truffatori promuovano una criptovaluta fittizia o non esistente, quindi gli utenti che partecipano alla campagna Bounty non ricevono neanche una moneta reale. In altri casi, i truffatori possono utilizzare i dati personali dei partecipanti al fine di rubare denaro o identità. Per evitare queste truffe, è importante fare ricerche sulla criptovaluta e sulla società che la promuove prima di partecipare a una campagna Bounty, assicurandosi che le monete digitali abbiano un Whitepaper, un responsabile della campagna chiaramente indicato per nome e cognome (niente pseudonimi e nomi fittizi) e che soprattutto ci siano un volume reale di transazioni sicure.
Se non si è sicuri e se le piattaforme per qualunque motivo non ispirano abbastanza fiducia, meglio astenersi perché un’adesione alla leggera può causare la perdita di denaro e l’acquisizione impopria di informazioni personali. Ecco alcune delle principali truffe che si possono incontrare aderendo a una campagna Bounty per la promozione sui social di una criptovaluta (scorri in fondo all’articolo per leggere la lista completa delle 50 cripto-truffe).
- Phishing: i truffatori possono inviare email o messaggi che sembrano provenire da una campagna Bounty legittima, ma in realtà cercano di ottenere informazioni sensibili come password o informazioni personali.
- False campagne: alcuni truffatori creano false campagne Bounty che sembrano ufficiali, ma in realtà non hanno alcun rapporto con la criptovaluta in questione.
- ICO Fraudolente: le campagne Bounty spesso promuovono Initial Coin Offering (ICO), che sono vendite di nuove criptovalute. Tuttavia, alcuni ICO possono essere truffe e gli investitori possono perdere i loro soldi.
- Airdrop Fraudolenti: alcuni truffatori promettono airdrop gratuiti di criptovalute in cambio di una partecipazione alla campagna Bounty. In realtà, i truffatori possono chiedere di fornire informazioni personali o di effettuare un pagamento per ricevere le criptovalute promesse.
- Token non validi: alcuni truffatori possono promuovere token che non esistono, che non sono sul mercato o che non hanno valore, cercando di convincere le persone a investire.
- Pump and Dump: alcuni truffatori cercano di manipolare il prezzo di una criptovaluta attraverso campagne Bounty, promuovendo l’acquisto di grandi quantità di token e poi vendendoli improvvisamente per realizzare un profitto.
In generale, è importante fare attenzione quando si partecipa a una campagna Bounty per la promozione sui social di una criptovaluta. Leggere attentamente le condizioni dell’offerta e del contratto, che deve essere ufficiale e sempre presente, verificare l’autenticità della campagna e non fornire mai informazioni personali o di pagamento a meno che non si sia sicuri che la campagna sia legittima. In caso di dubbio, è meglio evitare di partecipare.
Campagne Bounty sui social media
Le campagne Bounty per la promozione di criptovalute sui social media sono diventate una pratica comune nell’industria delle criptovalute. Queste campagne offrono ai partecipanti una ricompensa in criptovaluta in cambio di una serie di attività di promozione su piattaforme social come Twitter, Instagram, Facebook, Telegram, Reddit e altre. Spesso gli imbrogli viaggiano e vengono organizzati tramite forum come Bitcointalk, dove inizialmente si trovavano occasioni ma dove ormai è facile – certo non per colpa del forum ma di chi lo utilizza – incorrere in colossali fregature. Ci sono infatti diverse possibili truffe cui si può incorrere aderendo a una campagna Bounty per la promozione di criptovalute sui social media. Ecco alcune di queste:
- Promessa di ricompense esagerate: alcune campagne Bounty possono promettere ricompense esagerate per attività relativamente semplici come condividere post sui social media. Queste promesse possono essere allettanti, ma spesso si rivelano essere solo una truffa per attirare le persone a promuovere una criptovaluta di scarso valore o inesistente.
- Criptovalute di scarsa qualità: alcune campagne Bounty promuovono criptovalute di scarsa qualità o che non hanno alcun valore reale sul mercato. Partecipare a queste campagne significa promuovere un prodotto che potrebbe essere inutile o addirittura dannoso per il proprio portafoglio.
- Piattaforme social fittizie: le campagne Bounty possono richiedere la promozione su piattaforme social fittizie, che sono create solo per ingannare i partecipanti. Queste piattaforme possono sembrare reali, ma in realtà sono controllate dai truffatori per sfruttare i partecipanti e avere nomi simili a quelli delle piattaforme più note.
- Scam ICO: molte campagne Bounty sono collegate a Initial Coin Offering (ICO) fraudolenti. Queste ICO possono promettere enormi guadagni, ma in realtà sono solo un’altra forma di truffa. I partecipanti che aderiscono a queste campagne rischiano di perdere i propri fondi investiti.
- Clausole ingiuste: le campagne Bounty possono contenere clausole ingiuste che impediscono ai partecipanti di ricevere le ricompense promesse. Ad esempio, una campagna potrebbe richiedere un numero elevato di condivisioni sui social media, ma poi negare la ricompensa sostenendo che le condivisioni non erano di qualità sufficiente.
Per evitare queste truffe, è importante fare attenzione alle campagne Bounty a cui si partecipa e verificare l’autenticità della criptovaluta promossa. Inoltre, è importante leggere attentamente i termini e le condizioni della campagna e assicurarsi di comprendere le clausole. In generale, è sempre consigliabile fare ricerche approfondite prima di aderire a qualsiasi campagna di promozione di criptovalute sui social media, non fermarsi a qualche articolo celebrativo e nemmeno ai numeri apparentemente elevati di adesioni, interazioni e condivisioni. Anche perché è proprio attraverso le campagne Bounty che molte società sono in grado di gonfiare il loro seguito dietro la promessa di compensi.
Le campagne bounty per la promozione sui social di criptovalute sono comunque diventate sempre più popolari negli ultimi anni. Ecco, tuttavia, altri aspetti da tenere in considerazione prima di tuffarsi in queste forme di presunto investimento:
- Scambio di criptovalute fraudolente: alcuni bounty manager chiedono ai partecipanti di creare un account su uno specifico scambio di criptovalute e di condividere un link di riferimento. Tuttavia, alcuni di questi scambi potrebbero essere fraudolenti e i partecipanti potrebbero perdere i propri fondi.
- Truffe con il wallet della criptovaluta: alcuni bounty manager chiedono ai partecipanti di creare un wallet per una specifica criptovaluta e di condividere l’indirizzo del wallet. Tuttavia, alcuni di questi portafogli digitali potrebbero essere fraudolenti e i partecipanti potrebbero perdere i propri fondi.
- Campagne bounty false: alcune truffe consistono nell’organizzazione di una campagna bounty falsa per una criptovaluta che non esiste. I partecipanti potrebbero essere invitati a fare diversi compiti, come la promozione sui social, ma non riceveranno mai la ricompensa promessa.
- Social engineering e utilizzo di bot: i truffatori potrebbero cercare di convincere i partecipanti a condividere informazioni personali o a cliccare su link fraudolenti, utilizzando tecniche di social engineering.
- Promesse di ricompense eccessive: alcune campagne bounty potrebbero promettere ricompense eccessive per compiti semplici come la promozione sui social, il che potrebbe essere troppo bello per essere vero. In alcuni casi, la promessa di una ricompensa così elevata potrebbe essere una truffa.
In generale, è importante che i partecipanti a una campagna bounty per la promozione sui social di una criptovaluta facciano attenzione e verifichino sempre la reputazione dell’organizzazione che organizza la campagna e l’autenticità della criptovaluta, che deve avere un valore chiaro, riconoscibile e reale. Le criptovalute che non riescono neppure a raggiungere il tetto di un dollaro (o un euro) sono spesso concepite con il solo fine di arricchire i creatori, perché molto difficilmente acquisteranno valore in fase di lancio e saranno in grado di generare guadagni per gli investitori. Inoltre, dovrebbero evitare di condividere informazioni personali, di cliccare su link sospetti e di compilare moduli con troppa leggerezza.
La lista delle Top 50 cripto-truffe
Ecco dunque la lista delle top 50 truffe cui si può incorrere aderendo a una campagna bounty per la promozione sui social di una criptovaluta:
- Scambio di criptovalute fraudolente
- Truffe con il wallet della criptovaluta
- Campagne bounty false
- Social engineering
- Promesse di ricompense eccessive
- Richiesta di pagamenti iniziali
- Falsi airdrop
- Airdrop che richiedono un pagamento iniziale
- Schema ponzi
- Progetti fraudolenti
- ICO e IDO fraudolente
- Telegram phishing
- Truffe con il bot Telegram
- Scam con i wallet hardware
- Ransomware
- Cryptojacking
- Mining fraudolento
- Scam con i segnali di trading
- Truffe con i robot di trading
- Truffe con i contratti intelligenti
- Truffe con i programmi di affiliazione
- Phishing sui social media
- Truffe di phishing tramite email
- Truffe con le criptovalute sugli e-commerce
- Scam su Telegram per la raccolta di fondi
- Scam con i bounty di pre-registrazione
- Scam con i bounty di referral
- Truffe con la vendita di token falsi
- Truffe con i token exchange
- Scam con i sistemi di gestione del portafoglio
- Truffe con le app mobile di criptovalute
- Truffe con i programmi di ricompense
- Scam con i social media bot
- Scam con i bot di telegram per la promozione sui social
- Truffe con i gruppi Telegram di segnali di trading
- Scam con i gruppi Telegram di pump and dump
- Truffe con i gruppi Telegram di crypto VIP
- Truffe con le chat di trading su WhatsApp
- Scam con le chat di gruppo di trading su Facebook
- Scam con le chat di gruppo di trading su Telegram
- Truffe con le app di trading automatico
- Truffe con i segnali di trading su Instagram
- Truffe con i bot di trading su Twitter
- Truffe con i gruppi di trading su Reddit
- Truffe con le app di trading social
- Truffe con i portafogli di trading
- Truffe con i robot di trading di criptovalute
- Scam con i programmi di scambio di criptovalute
- Truffe con le app di scambio di criptovalute
- Truffe con i programmi di formazione di trading di criptovalute
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Anche i “Fact Checker” piangono. Meta chiude i rubinetti ai fomentatori della cultura woke
Mark Zuckerberg non finanzierà più i cosiddetti “Fact Checker” di Meta, almeno per quello che riguarda gli Stati Uniti. La notizia è arrivata come un fulmine a ciel sereno per i fomentatori della cultura woke, che nel social avevano trovato un porto (economico) sicuro e uno sfogo alle ansie censorie sui temi più disparati: sanità, famiglia, guerre, elezioni e chi più ne ha più ne met(t)a. Bastava un’aggettivo fuori posto o una sana critica e, ecco, arrivava pronto l’esercito di bastonatori a cottimo, che a suo insindacabile giudizio sceglieva quali contenuti potevano essere pubblicati e quali – al contrario – dovessero essere bannati e condannati alla damnatio memoriae digitale. Un gran bell’esercizio di libertà e tolleranza, non c’è che dire.
Un atteggiamento, che tuttavia, ha portato a un progressivo svuotamento del social, e che oggi sta costringendo Mark Zuckerberg – complice secondo alcuni il ritorno di Trump – a fare marcia indietro. Una chiusura dei rubinetti che potrebbe estendersi a macchia d’olio e riguardare più Paesi, che in qualche modo sta facendo anche in modo che si vuoti il sacco su alcuni temi divisivi che hanno alimentato il dibattito pubblico negli ultimi anni, come per esempio covid e vaccini.
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Cos’è il diritto alla disconnessione e cosa c’entra con il lavoro
Negli ultimi anni, con lo sviluppo crescente delle tecnologie informatiche, si sta assistendo a un aumento dell’interazione e delle comunicazioni, come mail e messaggi WhatsApp, sia per quanto riguarda la sfera privata che il lavoro. E’ aumentato a livello esponenziale anche l’utilizzo dei gruppi e in particolare quelli Whatsapp, con le persone più impegnate che arrivano ad averne decine sui propri smartphone. Con tutte le difficoltà del caso a staccare la spina, quando necessario.
Ma è obbligatorio consultarli regolarmente, soprattutto quando si tratta di lavoro? E, in caso, l’obbligo persiste anche al di fuori delle ore lavorative? Difficile rispondere in maniera univoca abbracciando tutte le fattispecie presenti nel mercato del lavoro. Quel che è certo è che nel 2021 due accordi interconfederali per il settore pubblico e privato hanno ribadito il diritto alla disconnessione, almeno per quello che riguarda le modalità di lavoro flessibili e agili: il Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale e il Protocollo nazionale sul lavoro agile nel settore privato.
I punti chiave del Diritto alla disconnessione
- – Il lavoratore dipendente non è costretto a rimanere connesso 24 ore su 24 e 7 giorni su 7;
- – Non si è responsabili del mancato malfunzionamento della rete, anche se si sta svolgendo un’attività in smartworking
- – È la contrattazione collettiva oppure quella tra datore di lavoro e dipendente a definire regole certe e fasce orarie in cui il personale dovrà essere reperibile;
- – I Gruppi ospitati dai servizi di messaggistica non rappresentano un sostituto delle comunicazioni formali.
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Ecco come l’IA vede i politici italiani
L’Intelligenza artificiale non è nuova a svarioni. Ne abbiamo raccontati alcuni in questo articolo, dove abbiamo parlato dello stress-test con cui abbiamo provato a mettere l’IA davanti ai suoi limiti. Questa volta, invece, abbiamo domandato a un generatore di immagini come vede i politici italiani. Ne è uscita fuori una serie di ritratti verosimili e a tratti esilaranti.
Il ministro degli Esteri Antonio Tajani secondo l’IA
Antonio Tajani. Nel ritratto fatto dall’Intelligenza Artificiale, spariscono i tratti somatici reali ma rimane la riconoscibilità del personaggio grazie a particolari come il taglio di capelli e il modo di vestire. Il ministro degli Esteri è quasi dentro uno specchio d’acqua, attorniato dalle colonne di un edificio classico e da quella che sembra una Chiesa.
Il ritratto che l’IA fa della premier Giorgia Meloni
Nessuna somiglianza, invece, per Giorgia Meloni o, meglio, per l’idea che ne ha l’Intelligenza Artificiale. La giovane che dovrebbe corrispondere a lei guarda l’obiettivo per uno scatto dal sapore veneziano, anche se più che la premier italiana sembra ritrarre l’attrice Anne Murphy. Alcuni particolari, tuttavia, fanno pensare all’esponente di FdI, come gli orecchini a goccia o lo scialle morbido dai toni pastello.
Matteo Renzi nella sua Firenze nello “scatto” immaginario generato dall’IA
Matteo Renzi o, meglio, l’idea che si è fatta di lui l’Intelligenza Artificiale, è invece ritratto nella sua Firenze. Anche qui più che i tratti somatici sono i particolari riconoscibili a farla da padrone, e infatti l’esponente di Italia Viva – Renew Europe è ritratto con la classica camicia col colletto sbottonato e con le tempie imbiancate.
Un Matteo Salvini irriconoscibile quello rappresentato dall’IA
L’altro Matteo, Salvini, sarebbe invece irriconoscibile se non fosse per il pizzetto e per l’evocativo Ponte sullo Stretto che si staglia sullo sfondo. Il ministro alle Infrastrutture nel ritratto che ne fa l’Intelligenza Artificiale appare con gli occhi azzurri, appesantito e con lo sguardo perso nel vuoto.
L’unico Conte che l’IA sembra conoscere è Antonio, l’allenatore di calcio
Giuseppe Conte, invece, come direbbe un agguerrito direttore, “non esiste”. L’Intelligenza artificiale ne fa un ritratto alquanto esilarante e sembra scambiarlo con un altro Conte, l’allenatore Antonio. Unica concessione: le stelle del partito, che spiccano – enormi – come nella reclame di una famosa marca di biscotti.
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Pasticcio Ue
sull’AI Act
Il 13 marzo 2024 il Parlamento europeo ha approvato l’AI Act. Cosa cambierà? Secondo gli avvocati Lydia Mendola, Luca Tormen e Francesca Ellena, l’iter legislativo in realtà non è ancora completo e per la sua piena applicabilità ci vorranno alcuni anni, con la conseguenza che la norma nasca obsoleta.
“Il testo dell’AI Act – affermano gli avvocati – è tuttora soggetto a un controllo finale e manca l’approvazione del Consiglio europeo. Anche i tempi di entrata in vigore degli obblighi e delle sanzioni previsti dal testo di legge non sono immediati, posto che l’AI Act entrerà in vigore 20 giorni dopo la pubblicazione nella Gazzetta ufficiale e sarà pienamente applicabile solo 24 mesi dopo la sua entrata in vigore, ad eccezione di alcune previsioni che prevedono tempistiche ancora più lunghe: le previsioni sulle applicazioni AI vietate (6 mesi dopo la data di entrata in vigore); le previsioni sui codici di condotta (9 mesi dopo l’entrata in vigore); le regole AI di portata generale, compresa la governance (12 mesi dopo l’entrata in vigore) e gli obblighi per i sistemi AI ad alto rischio (36 mesi dopo l’entrata in vigore). E proprio questa scaletta temporale ha sollevato alcuni commenti negativi, perché la norma rischierebbe di nascere obsoleta.”
Chi sono i destinatari del Regolamento?
“Sono gli sviluppatori/fornitori (providers), i distributori, i produttori, gli importatori di sistemi di intelligenza artificiale, anche con sede fuori dall’Unione europea purché utilizzino dati di soggetti residenti nel territorio europeo o offrano servizi a questi ultimi (si parla di efficacia extra-territoriale del Regolamento). Ci sono poi previsioni anche per gli utilizzatori (deployers) di sistemi di intelligenza artificiale.”
Quali sono gli obblighi di natura tecnica in capo ai soggetti interessati?
“Essenzialmente, la maggior parte degli obblighi sono posti a carico dei provider di sistemi di AI. Ad esempio, sono i provider di sistemi di general purpose AI a dover soddisfare gli obblighi di disclosure previsti dal Regolamento (e.g. pubblicazione dei contenuti usati per il training per le verifiche copyright, messa disposizione di documentazione tecnica e istruzioni per l’uso), così come sono i provider di sistemi di AI ad alto rischio a dover condurre valutazioni di rischio, assicurare supervisione umana dei sistemi e gestire le richieste di informazioni dei cittadini. Le sanzioni previste per Il mancato rispetto di questa normativa sono significative. A seconda della gravità della violazione, è infatti previsto che le sanzioni varino in un range tra 10 e 40 milioni di euro o tra il 2% e il 7% del fatturato annuo globale dell’azienda.”