L’Italia si trova di fronte a una sfida cruciale nell’attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), il piano strategico di investimenti e riforme volto a stimolare la ripresa economica e favorire la crescita sostenibile del Paese. Nonostante i finanziamenti sostanziali messi a disposizione dall’Unione Europea attraverso il programma Next Generation EU, ci sono preoccupazioni riguardo alla capacità dell’Italia di spendere questi fondi in modo efficiente ed efficace. È evidente che il PNRR rappresenti un’opportunità unica per l’Italia, ma è anche una sfida complessa da affrontare. Per superare le difficoltà attuali e garantire il successo del piano, è fondamentale affrontare le cause principali del ritardo nella sua road map.
Tre i fattori chiave che stanno ostacolando l’attuazione tempestiva del PNRR. In primo luogo, i vincoli imposti dal piano stesso rappresentano una sfida. I progetti che possono accedere ai fondi del PNRR devono essere conformi ai requisiti ambientali, e ciò comporta che i progetti già in corso, sviluppati prima dell’avvio del piano, rappresentino una sfida considerevole in termini di adattamento alle nuove normative ambientali e, attualmente circa 67 miliardi di euro sono destinati a tali progetti.
In secondo luogo abbiamo una carenza di capacità amministrativa negli enti pubblici territoriali, come i comuni e altri enti locali, che sono responsabili dell’attuazione dei progetti del PNRR. La mancanza di risorse umane e la complessità dei processi necessari per la realizzazione dei progetti stanno rallentando significativamente l’attuazione del piano. Sono stati affidati loro circa 43 miliardi di euro, ma siamo consapevoli delle difficoltà che devono affrontare.
Il terzo problema riguarda il mutato contesto economico internazionale e la carenza di materie prime. Questi fattori esterni stanno causando ritardi nella catena di approvvigionamento e nell’acquisizione delle risorse necessarie per l’implementazione dei progetti del PNRR. Al fine di affrontare queste sfide, il governo italiano sta attuando un monitoraggio accurato dei progetti previsti dal Piano al fine di individuare quelli che potrebbero essere considerati irrealizzabili. Si stanno suddividendo tali progetti in due categorie: i progetti strategici, per i quali lo Stato si impegnerà a fornire il supporto adeguato per completare i lavori, e i progetti non strategici, per i quali si proporrà la ricollocazione delle risorse in caso di impossibilità di superare le criticità.
È fondamentale identificare e affrontare tempestivamente i progetti irrealizzabili. Solo attraverso un monitoraggio accurato e un’attenta gestione delle risorse, saremo in grado di massimizzare l’efficacia e l’efficienza dell’attuazione del PNRR. Il governo italiano, in risposta a queste sfide, sta adottando misure concrete per affrontare il problema delle scadenze. Oltre al monitoraggio dei progetti previsti, il governo sta implementando azioni volte a semplificare le procedure amministrative, migliorare la coordinazione tra gli enti locali e le istituzioni centrali e promuovere la formazione e lo sviluppo delle competenze necessarie per l’attuazione del PNRR.
Al fine di garantire la trasparenza e la responsabilità, il governo dovrebbe implementare una stretta collaborazione con gli stakeholder, tra cui aziende del settore privato per sfruttare al massimo le conoscenze specializzate e favorire una migliore allocazione delle risorse. Insieme ad altre aziende specializzate nel settore finanziario e della consulenza, Finera è pronta ad offrire il proprio supporto e la propria esperienza per aiutare le amministrazioni e le PMI a navigare con successo in questo complesso percorso di attuazione del PNRR.
Quando Braque espose alcuni paesaggi al Salon d’Automne del 1908, rifacendosi in parte a Cézanne, qualcuno osservò che dipingeva con “piccoli cubi”. Era Matisse
“To’, guarda i cubi”, disse esattamente Matisse fermandosi ad osservare i paesaggi di Braque in cui le case somigliavano a dadi. La frase fece il giro di Parigi, fu ripresa dai giornali e dalla battuta spiritosa nacque il termine di Cubismo, che stava a indicare un’estetica nuova: l’artista guarda un oggetto reale, lo decompone nei suoi elementi e lo riorganizza secondo un ordine intellettuale, che non ha più nulla a che vedere con la realtà.
Quando Braque espose alcuni paesaggi al Salon d’Automne del 1908, rifacendosi in parte a Cézanne, qualcuno osservò che dipingeva con “piccoli cubi”.
Dalla battuta spiritosa nacque il termine di Cubismo, che stava ad indicare un’estetica nuova: l’artista guarda un oggetto reale, lo decompone nei suoi elementi e lo riorganizza secondo un ordine intellettuale, che non ha più nulla a che vedere con la realtà.
La Natura morta che riproduciamo (in alto, nella foto, un dettaglio) è del 1912, appartiene cioè al periodo del cubismo “analitico”.
Poiché gli si rimproverava un certo ermetismo, Braque introdusse a quel tempo nelle sue composizioni un elemento nuovo, che doveva riallacciare il quadro al mondo reale: le lettere tipografiche, come in questa scritta incompleta, Journal (procedimento introdotto per la prima volta da lui nell’opera Il Portoghese del 1911, e utilizzato poi largamente da tutti i Cubisti).
Questa Natura morta, una delle numerose “esercitazioni” su tale tema, non ha più alcun riferimento con la realtà. Gli oggetti che la compongono non sono riconoscibili, ma sono proiettati e scomposti sulla superficie del quadro attraverso una serie di grandi piani.
È riconoscibile invece la loro materia: superfici in falso legno, frammenti in falso marmo si richiamano a una realtà esistente, a un mondo concreto. (Braque utilizzò spesso queste “imitazioni”, rifacendosi all’esperienza compiuta da ragazzo nella bottega paterna come decoratore.
Più tardi arriverà al “collage”, all’applicazione cioè sulla tela di ritagli di giornale, pezzi di stoffa, carte da gioco, riallacciati alla superficie del quadro da una pennellata, da un tocco di gouache).
Osserviamo ancora, finendo, che già in questa Natura morta Braque cerca gli accordi preziosi di colore, avvalendosi di pochi toni: una grandissima maestria.
La Chiesa Ortodossa Italiana ha appreso con dolore la delibera della Duma ucraina di mettere fuorilegge la Chiesa Ortodossa Ucraina, nonostante questa abbia rotto formalmente il legame che la univa al Patriarcato di Mosca, le cui origine sono comuni e risalgono al 980 quando il principe della Rus’ di Kiev (di origine variaga) Vladimir I il Santo, dopo aver ricevuto il battesimo a Cherson (in Crimea) e preso il nome cristiano di Basilio tornato a Kiev promosse il battesimo di massa degli abitanti nelle acque del Dnepr.
Quella tra Russia e Ucraina è una guerra fratricida tra popoli ortodossi che, come ha affermato il Metropolita ortodosso ucraino Onufrij: i popoli russo e ucraino provengono dalla fonte battesimale del Dnepr e una guerra tra loro è una ripetizione del peccato di Caino, che uccise il suo stesso fratello. Una tale guerra non può essere giustificata né da Dio né dal popolo. Non si può cancellare la storia con un colpo di spugna oppure con una legge.
Questo provvedimento, sebbene possa essere visto come una mossa strategica da parte del governo di Kiev, porterà inevitabilmente ancora più rabbia e divisioni in quei territori già provati dalla guerra. La fede e la spiritualità non sono aspetti che possono essere facilmente rimossi o regolamentati. Esse fanno parte dell’anima di un popolo e rappresentano un legame profondo con la propria storia e cultura.
La soppressione di una Chiesa, che neppure Stalin pur perseguitandola aspramente non si azzardò mai a sopprimere (nonostante ben 50.000 ucraini avessero militato nelle SS naziste e oltre 250.000 in altre formazioni militari e gruppi anticomunisti), che nel 2014 rappresentava il 64,6% della popolazione ucraina, con 34 diocesi (eparchie) e oltre 6.000 tra parrocchie e monasteri non può che suscitare lo sdegno di tutti coloro che reputano la libertà religiosa come uno dei diritti fondamentali dell’uomo.
Non si può cancellare per legge una parte significativa della storia e dell’identità spirituale di milioni di fedeli, con la conseguenza di accendere ulteriormente le micce in un’area già duramente colpita dal conflitto. La nostra Chiesa chiede al Governo italiano di intervenire presso le autorità ucraine in difesa della libertà religiosa del popolo ucraino, ricordando che l’Ucraina il 28 febbraio 2022 ha fatto domanda di adesione alla Comunità Europea e dal 14 dicembre 2023 ha iniziato le trattative per entrare a farne parte.
Si ricorda che per aderire all’Unione occorre riconoscersi nella Carta dei diritti fondamentali della stessa che, all’articolo 10 riconosce a tutti il diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione. Tale diritto comprende la libertà di professare o anche di cambiare religione o credo, nel culto, nell’insegnamento, nella pratica e nell’osservanza. Tale diritto alla libertà di culto è un principio fondamentale che non dovrebbe mai essere compromesso, neanche in tempi di crisi.
La nostra Chiesa, pur comprendendo le ragioni di sicurezza nazionale e di sovranità che possono spingere a misure drastiche, ritiene che la pace e la riconciliazione debbano sempre essere ricercate attraverso il dialogo e il rispetto reciproco e tale decisione non farà che rafforzare ulteriormente le divisioni, alimentando sentimenti di ingiustizia e persecuzione tra i fedeli.
*Arcivescovo Metropolita della Chiesa Ortodossa Italiana
Visitare una cattedrale o un edificio ed essere in grado di distinguerne l’epoca richiede almeno una sommaria conoscenza dei caratteri architettonici delle varie epoche e, principalmente per l’inesperto, il sapere dove posare l’occhio per individuare tali caratteristiche.
Allora, se visitiamo una chiesa, gettiamo anzitutto un’occhiata alla parte esterna, osservandone la facciata, le finestre, i portali e i contrafforti, gli archi rampanti, i campanili, fissando la nostra attenzione alle loro caratteristiche; entreremo poi nell’interno, dove osserveremo la pianta della costruzione, le colonne, i capitelli, le volte, gli archi, cercando di captarne i principali particolari costruttivi; diciamo i principali particolari costruttivi poiché, va detto subito ed è importante, non dobbiamo pretendere di voler determinare l’epoca esatta di un’opera d’architettura basandoci esclusivamente sui caratteri stilistici che abbiamo sotto gli occhi.
Le chiese, specialmente, non sono state di solito costruite in “una sola stagione” e di frequente vi si trovano mescolati e gli stili di varie epoche e i vari sistemi costruttivi. Quanti soffitti e quante facciate, per esempio, sono stati rifatti per cause diverse ed eseguiti in epoche posteriori senza preoccuparsi di rispettare la struttura originaria!
Dopo aver cercato di individuare l’epoca del monumento che visitiamo cominceremo a meglio comprenderne la possanza dell’insieme e la bellezza dei particolari e, nella nostra pochezza, saremo più preparati e meno intimiditi di fronte alla creazione d’arte che ci dà tanta emozione.
Contrariamente alla credenza popolare che lo vuole tipica espressione dell’arte tedesca (anche il Vasari la chiama, impropriamente, “tedesca”), questo stile nacque in Francia e di là si diffuse in tutta l’Europa.
Si potrebbe dire che le nuove aspirazioni ed il raffinarsi della civiltà artistica, il senso religioso ancor più legato alle cerimonie del culto ed il desiderio, forse, di esprimere il misticismo in una sinfonia di linee lanciate verso l’alto con l’arco a sesto acuto che sembra voler ripetere il gesto delle mani congiunte nell’atto di pregare, siano stati il lievito che ha contribuito allo sviluppo del passaggio dalle forme romaniche al Gotico. Inoltre, rispetto al Romanico pesante e massiccio, perché rispondente a regole costruttive empiriche, il gotico si basa sul calcolo matematico, adottando le prime regole della statica; regole che saranno poi approfondite nel Rinascimento, dominato dal sommo Michelangelo, che all’austerità ed alla forza unirà forme leggiadre ed eleganti.
Caratteristico del Gotico è l’uso diffusissimo dell’arco a doppio centro, a sesto acuto, e lo slanciarsi verso l’alto delle strutture del fabbricato.
I contrafforti che prima erano quasi dissimulati poiché inderogabile necessità costruttiva, diventano, nel Gotico, parte integrante della decorazione, legano l’edificio come in una armatura che pare voglia fare individuare i punti dove è concentrato il gioco tra il peso e il sostegno.
L’arco a sesto acuto, lanciandosi verso l’alto, richiede che i piedritti sui quali appoggia siano ravvicinati e perciò le colonne si moltiplicano. Le finestre aumentano di numero e illuminano maggiormente gli interni.
I pilastri sono dei veri fasci di colonne verso le quali vanno a terminare i costoloni e i sottoarchi.
I capitelli finiscono per essere delle specie di nicchie dove sono solitamente posate delle statue.
La decorazione è ricca, esuberante di statue e di fregi di ogni dimensione con soggetti estremamente vari. La pianta, nell’architettura chiesastica, è quella basilicale dove però le campate crescendo di numero – per una necessità di una più fitta serie di pilastri – diventano spesso rettangolari con il lato più lungo volto verso la larghezza della navata centrale. L’abside è sostenuta dal coro poligonale circondato da cappelle e la cripta quasi sempre è sparita.
La tipica copertura è formata dalla volta a crociera. I campanili hanno una base quadrata, ma spesso più in alto sono ottagoni.
L’Arte Gotica è originaria della fine del XII secolo ed ha avuto il suo massimo splendore nel secolo XIV. Le varie forme di Gotico si raggruppano normalmente in gotico francese, tedesco, italiano, inglese e spagnolo. Ma mentre il Gotico francese e tedesco hanno tra loro una affinità dovuta alla priorità di adozione di questo stile, il Gotico italiano rifiuta, si può dire, gli elementi decorativi stranieri e finisce col diventare un gotico a sé, con caratteristiche rispecchianti il gusto latino (S. Maria del Fiore ne è un tipico esempio). In Italia solo il Duomo di Milano si può dire rispettoso delle più pure regole costruttive e decorative del Gotico francese e tedesco. Altra caratteristica del Gotico italiano è la pittura murale che Giotto introdusse abolendo in parte le superfici a grandi vetrate che avevano tolto lo spazio necessario alla pittura.
È necessario citare fra gli esempi tipici di arte gotica in Italia, veri incomparabili gioielli (oltre alla già citata S. Maria in Fiore ed il Duomo di Milano), la Cattedrale di Orvieto, la Chiesa di S. Francesco in Assisi, S. Petronio di Bologna, il Duomo di Siena, per tacere di numerose altre chiese.
La mattanza degli infortuni e morti sul lavoro purtroppo non conosce sosta. Oggi a Mestre un tecnico manutentore è caduto dal tetto del teatro Momo, perdendo la vita a 45 anni.
La sicurezza sul luogo di lavoro è un imperativo assoluto che non può essere trascurato in nessuna circostanza. È fondamentale che tutte le parti coinvolte nel settore edile, dalle imprese agli enti di vigilanza, fino alle istituzioni pubbliche, assumano la massima responsabilità per garantire un ambiente lavorativo sicuro e protetto per tutti i lavoratori e le lavoratrici.
Il diritto di lavorare in condizioni di sicurezza è sacrosanto per ogni individuo impiegato, e come sindacato continueremo a lottare per il rispetto di questo principio in ogni cantiere e in ogni settore lavorativo, anche nella nostra Regione Veneto.
L’Osservatorio Vega, fino a pochi giorni fa, rilevava 4 decessi rilevati nel primo bimestre del 2024 (contro i 12 del 2023). Sempre secondo Vega le vittime hanno perso la vita in occasione di lavoro nelle province di: Verona, Padova, Belluno e Treviso.
Insieme, anche qui in Veneto, dobbiamo impegnarci al massimo per assicurare che nessun’altra vita venga tragicamente persa in incidenti sul lavoro.