TECH
Reputazione online, cosa (e chi) si nasconde dietro i servizi di rimozione di contenuti diffamatori
Sarà capitato a più d’uno o a più d’una di diventare il bersaglio dell’hater di turno che agisce online. Molti assimilano questa figura a quella di un disturbatore, di un frustrato o di una persona che non rispetta le opinioni altrui, e in effetti in molti casi è così. Ma quello che molti non sanno è che raramente si tratta di casi isolati o di schegge impazzite. Sì perché ormai molti account social e diversi siti sono gestiti da spin doctor che fanno capo a determinate organizzazioni, politiche e no.
Hanno diversi compiti: orientare l’opinione pubblica sui temi scottanti e divisivi, caricare di una connotazione negativa determinate notizie catalogandole come “Fake News”, tacitare il dissenso colpendo i personaggi in vista o che non si piegano al politically correct facendo restituire sul loro conto risultati infamanti dai motori di ricerca. Per capire quanto una persona sia indipendente, infatti, ormai basta farsi un giro su Google: se il motore di ricerca restituisce risultati palesemente falsi e infamanti scritti da testate commerciali, da presunti fact checker o da piattaforme che utilizzano discorsi d’odio, si può sapere che la vittima con ogni probabilità è una persona libera che esprime senza paura le proprie opinioni.
Se gli operatori di settore comprendono con facilità tutto questo e sono in grado di riconoscere questi casi e le dinamiche che li hanno creati, la situazione è più complessa per il cittadino. Spesso il malcapitato di turno si trova a dover subire conseguenze negative sul proprio lavoro o nella propria vita privata solo perché, magari, ha scritto un’opinione legittima ma in controtendenza su Facebook o perché ha commentato la pagina di un personaggio pubblico.
A quel punto si trova, inspiegabilmente, bersagliato da decine e decine di account che “prendono in carico il caso”, provvedendo a demonizzare la persona sui social o tramite articoli e recensioni negative. Un sistema che serve a molte cose: tacitare le critiche, riscrivere comportamenti sociali, instillare idee, sdoganare comportamenti e ottenere gradimento politico. I temi maggiormente attenzionati e seguiti da queste organizzazioni e dai loro account e comunicatori (talvolta anche giornalisti insospettabili) attualmente sembrano essere il presunto cambiamento climatico, la guerra in Ucraina, virus e vaccini, utero in affitto e quanto gravita intorno all’ideologia lgbt.
Se si dice quello che si pensa o se si presentano determinate evidenze su questi argomenti, si può star certi di finire spiattellati su un qualche motore di ricerca e su Google in particolare, che nella maggior parte dei casi – come si può leggere nella Community di riferimento – rifiuterà la richieste di rimozione dei contenuti diffamatori che gli spin doctor hanno provveduto a spargere.
E’ qui entrano in gioco le Agenzie per la rimozione dei contenuti. In molti casi sono gestite proprio da personale contemporaneamente occupato in motori di ricerca come Google o con un passato nelle Bigh Tech, in altri sembrano vantare collegamenti di tutto rispetto. Fanno parte di un sistema sfaccettato dove si muovono figure disparate e dove si generano problemi di web reputation per poi guadagnare con la loro risoluzione.
Tra le Agenzie che abbiamo interpellato per capirne un po’ di più, c’è chi ha sbandierato collegamenti, oltre che con i motori di ricerca, con organizzazioni come Cyber Right, chi si è detto forte di facce amiche che lavorano nelle polizie internazionali e chi ha svelato legami con altre organizzazioni. “Tanto – è quanto ci ha detto il CEO Europe di una delle Agenzie – denunce e richieste di rimozione le fanno cadere tutte nel vuoto, e in quel caso possiamo entrare in gioco noi”.
“Entrare in gioco” significa assicurare la rimozione dei contenuti che ledono la reputazione online in tempi brevi, dietro il pagamento di una cifra che può partire dai 2000 euro e può raggiungere i 12.000 euro, che è la somma più alta in cui ci siamo imbattuti nel corso della nostra indagine. Un sistema distorto in cui il cittadino, del tutto inconsapevole dei collegamenti tra motori di ricerca e Agenzie, può cadere, convincendosi a pagare anziché esercitare i propri diritti per vie gratuite, legali e convenzionali.
TECH
Anche i “Fact Checker” piangono. Meta chiude i rubinetti ai fomentatori della cultura woke
Mark Zuckerberg non finanzierà più i cosiddetti “Fact Checker” di Meta, almeno per quello che riguarda gli Stati Uniti. La notizia è arrivata come un fulmine a ciel sereno per i fomentatori della cultura woke, che nel social avevano trovato un porto (economico) sicuro e uno sfogo alle ansie censorie sui temi più disparati: sanità, famiglia, guerre, elezioni e chi più ne ha più ne met(t)a. Bastava un’aggettivo fuori posto o una sana critica e, ecco, arrivava pronto l’esercito di bastonatori a cottimo, che a suo insindacabile giudizio sceglieva quali contenuti potevano essere pubblicati e quali – al contrario – dovessero essere bannati e condannati alla damnatio memoriae digitale. Un gran bell’esercizio di libertà e tolleranza, non c’è che dire.
Un atteggiamento, che tuttavia, ha portato a un progressivo svuotamento del social, e che oggi sta costringendo Mark Zuckerberg – complice secondo alcuni il ritorno di Trump – a fare marcia indietro. Una chiusura dei rubinetti che potrebbe estendersi a macchia d’olio e riguardare più Paesi, che in qualche modo sta facendo anche in modo che si vuoti il sacco su alcuni temi divisivi che hanno alimentato il dibattito pubblico negli ultimi anni, come per esempio covid e vaccini.
TECH
Cos’è il diritto alla disconnessione e cosa c’entra con il lavoro
Negli ultimi anni, con lo sviluppo crescente delle tecnologie informatiche, si sta assistendo a un aumento dell’interazione e delle comunicazioni, come mail e messaggi WhatsApp, sia per quanto riguarda la sfera privata che il lavoro. E’ aumentato a livello esponenziale anche l’utilizzo dei gruppi e in particolare quelli Whatsapp, con le persone più impegnate che arrivano ad averne decine sui propri smartphone. Con tutte le difficoltà del caso a staccare la spina, quando necessario.
Ma è obbligatorio consultarli regolarmente, soprattutto quando si tratta di lavoro? E, in caso, l’obbligo persiste anche al di fuori delle ore lavorative? Difficile rispondere in maniera univoca abbracciando tutte le fattispecie presenti nel mercato del lavoro. Quel che è certo è che nel 2021 due accordi interconfederali per il settore pubblico e privato hanno ribadito il diritto alla disconnessione, almeno per quello che riguarda le modalità di lavoro flessibili e agili: il Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale e il Protocollo nazionale sul lavoro agile nel settore privato.
I punti chiave del Diritto alla disconnessione
- – Il lavoratore dipendente non è costretto a rimanere connesso 24 ore su 24 e 7 giorni su 7;
- – Non si è responsabili del mancato malfunzionamento della rete, anche se si sta svolgendo un’attività in smartworking
- – È la contrattazione collettiva oppure quella tra datore di lavoro e dipendente a definire regole certe e fasce orarie in cui il personale dovrà essere reperibile;
- – I Gruppi ospitati dai servizi di messaggistica non rappresentano un sostituto delle comunicazioni formali.
TECH
Ecco come l’IA vede i politici italiani
L’Intelligenza artificiale non è nuova a svarioni. Ne abbiamo raccontati alcuni in questo articolo, dove abbiamo parlato dello stress-test con cui abbiamo provato a mettere l’IA davanti ai suoi limiti. Questa volta, invece, abbiamo domandato a un generatore di immagini come vede i politici italiani. Ne è uscita fuori una serie di ritratti verosimili e a tratti esilaranti.
Il ministro degli Esteri Antonio Tajani secondo l’IA
Antonio Tajani. Nel ritratto fatto dall’Intelligenza Artificiale, spariscono i tratti somatici reali ma rimane la riconoscibilità del personaggio grazie a particolari come il taglio di capelli e il modo di vestire. Il ministro degli Esteri è quasi dentro uno specchio d’acqua, attorniato dalle colonne di un edificio classico e da quella che sembra una Chiesa.
Il ritratto che l’IA fa della premier Giorgia Meloni
Nessuna somiglianza, invece, per Giorgia Meloni o, meglio, per l’idea che ne ha l’Intelligenza Artificiale. La giovane che dovrebbe corrispondere a lei guarda l’obiettivo per uno scatto dal sapore veneziano, anche se più che la premier italiana sembra ritrarre l’attrice Anne Murphy. Alcuni particolari, tuttavia, fanno pensare all’esponente di FdI, come gli orecchini a goccia o lo scialle morbido dai toni pastello.
Matteo Renzi nella sua Firenze nello “scatto” immaginario generato dall’IA
Matteo Renzi o, meglio, l’idea che si è fatta di lui l’Intelligenza Artificiale, è invece ritratto nella sua Firenze. Anche qui più che i tratti somatici sono i particolari riconoscibili a farla da padrone, e infatti l’esponente di Italia Viva – Renew Europe è ritratto con la classica camicia col colletto sbottonato e con le tempie imbiancate.
Un Matteo Salvini irriconoscibile quello rappresentato dall’IA
L’altro Matteo, Salvini, sarebbe invece irriconoscibile se non fosse per il pizzetto e per l’evocativo Ponte sullo Stretto che si staglia sullo sfondo. Il ministro alle Infrastrutture nel ritratto che ne fa l’Intelligenza Artificiale appare con gli occhi azzurri, appesantito e con lo sguardo perso nel vuoto.
L’unico Conte che l’IA sembra conoscere è Antonio, l’allenatore di calcio
Giuseppe Conte, invece, come direbbe un agguerrito direttore, “non esiste”. L’Intelligenza artificiale ne fa un ritratto alquanto esilarante e sembra scambiarlo con un altro Conte, l’allenatore Antonio. Unica concessione: le stelle del partito, che spiccano – enormi – come nella reclame di una famosa marca di biscotti.
TECH
Pasticcio Ue
sull’AI Act
Il 13 marzo 2024 il Parlamento europeo ha approvato l’AI Act. Cosa cambierà? Secondo gli avvocati Lydia Mendola, Luca Tormen e Francesca Ellena, l’iter legislativo in realtà non è ancora completo e per la sua piena applicabilità ci vorranno alcuni anni, con la conseguenza che la norma nasca obsoleta.
“Il testo dell’AI Act – affermano gli avvocati – è tuttora soggetto a un controllo finale e manca l’approvazione del Consiglio europeo. Anche i tempi di entrata in vigore degli obblighi e delle sanzioni previsti dal testo di legge non sono immediati, posto che l’AI Act entrerà in vigore 20 giorni dopo la pubblicazione nella Gazzetta ufficiale e sarà pienamente applicabile solo 24 mesi dopo la sua entrata in vigore, ad eccezione di alcune previsioni che prevedono tempistiche ancora più lunghe: le previsioni sulle applicazioni AI vietate (6 mesi dopo la data di entrata in vigore); le previsioni sui codici di condotta (9 mesi dopo l’entrata in vigore); le regole AI di portata generale, compresa la governance (12 mesi dopo l’entrata in vigore) e gli obblighi per i sistemi AI ad alto rischio (36 mesi dopo l’entrata in vigore). E proprio questa scaletta temporale ha sollevato alcuni commenti negativi, perché la norma rischierebbe di nascere obsoleta.”
Chi sono i destinatari del Regolamento?
“Sono gli sviluppatori/fornitori (providers), i distributori, i produttori, gli importatori di sistemi di intelligenza artificiale, anche con sede fuori dall’Unione europea purché utilizzino dati di soggetti residenti nel territorio europeo o offrano servizi a questi ultimi (si parla di efficacia extra-territoriale del Regolamento). Ci sono poi previsioni anche per gli utilizzatori (deployers) di sistemi di intelligenza artificiale.”
Quali sono gli obblighi di natura tecnica in capo ai soggetti interessati?
“Essenzialmente, la maggior parte degli obblighi sono posti a carico dei provider di sistemi di AI. Ad esempio, sono i provider di sistemi di general purpose AI a dover soddisfare gli obblighi di disclosure previsti dal Regolamento (e.g. pubblicazione dei contenuti usati per il training per le verifiche copyright, messa disposizione di documentazione tecnica e istruzioni per l’uso), così come sono i provider di sistemi di AI ad alto rischio a dover condurre valutazioni di rischio, assicurare supervisione umana dei sistemi e gestire le richieste di informazioni dei cittadini. Le sanzioni previste per Il mancato rispetto di questa normativa sono significative. A seconda della gravità della violazione, è infatti previsto che le sanzioni varino in un range tra 10 e 40 milioni di euro o tra il 2% e il 7% del fatturato annuo globale dell’azienda.”