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Napoli alza la testa e scende in piazza contro le misure impopolari decise dal presidente della Regione Vincenzo De Luca, che ha disposto il cosiddetto coprifuoco a partire dalle 23 del 23 ottobre. Ma proprio mentre era prevista la serrata, migliaia di persone si sono riversate in strada da tutti i quartieri, dai più popolosi alle periferie, fino a raggiungere il lungomare e fino alla “presa” della Regione, in via Santa Lucia, dove c’è stata una protesta piuttosto accesa.

Tanti i giovani, poche le richieste, che in tempi normali sarebbero state superflue. Si sentono prevalentemente due cose, si intonano prevalentemente due cori: “lavoro” e “libertà”. Non mancano le invettive contro De Luca: una marea umana le ripete come se fossero una giaculatoria, in piedi, camminando, a bordo dei motorini.

Si registrano anche momenti di tensione, con lancio di fumogeni e bombe carta, ma è solo lo specchio della situazione economicamente drammatica che sta inghiottendo la Campania, il Sud, la stessa Italia. Una situazione che i napoletani non sono disposti a subire in silenzio.

CAMPANIA

Chiusure, nuove proteste dei ristoratori a Napoli

Adesioni rinvigorite ai sit-in dopo l’annuncio di De Luca sulla zona arancione. Centinaia di baristi, camerieri, pizzaioli e cuochi hanno chiesto la riapertura degli esercizi commerciali

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Chiusure, nuove proteste dei ristoratori a Napoli | Rec News dir. Zaira Bartucca
Immagine Ansa

Le proteste dei commercianti a Napoli vanno avanti da oltre un mese quasi ininterrottamente, ma ieri e questa mattina l’adesione si è rinvigorita. Il motivo è da rintracciare nella scelta di Vincenzo De Luca di lasciare la Campania nella cosiddetta zona arancione: una scelta contestata, che ha di nuovo gettato i ristoratori – già stremati dalla negazione del diritto al lavoro disposta dal governo – nel più totale sconforto. Centinaia di baristi, camerieri, pizzaioli, cuochi hanno riempito il lungomare Caracciolo per chiedere la riapertura degli esercizi commerciali. Registrati anche blocchi stradali che hanno paralizzato il traffico in tutta la città.

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CAMPANIA

Napoli, è comodo screditare il dissenso popolare

Il futuro che aspetta chi non ha il coraggio di reclamare i propri diritti con lo scritto, con la parola e con manifestazioni che devono rimanere pacifiche per non diventare pretesto di attaccabilità, è fatto di alienazione, di tecnocrazia, di ipocondria. Per questo, fa bene chi non vuole subire in silenzio

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Napoli, è comodo screditare il dissenso popolare | Rec News dir. Zaira Bartucca

“Fascisti” ma anche riottosi dei centri sociali. Un po’ “camorristi” un po’ “ultras violenti”. Della manifestazione che ieri ha animato il lungomare di Napoli snodandosi per le vie principali della città si è detto di tutto. Una levata di scudi tutt’altro che unanime tutta orientata verso la conservazione dello status quo post “emergenza”, quello che prevede un premier elevato a despota, e sindaci e presidenti di Regione promossi a podestà. Comandanti di un regime sanitario dove il cittadino è chiamato solo a subire misure restrittive, senza dire la sua, senza protestare, senza fiatare.

Anche mentre viene privato del lavoro, del frutto delle sue fatiche, della possibilità di mantenersi e mantenere il proprio nucleo familiare, del diritto a muoversi e a circolare liberamente. Se lo fa – se reclama i propri diritti – la condanna diventa inappellabile. È un “camorrista” (anche se la Camorra è dalla crisi indotta, dalle chiusure e dai prestiti usuranti che ne conseguono che guadagna), un “negazionista”, un riottoso. È il responsabile dei contagi, di quelli che ci sono stati e di quelli che ci saranno. È una persona che va arrestata, per alcuni “democratici” è addirittura da “sparare“.

Però no, non c’è nessuna dittatura in corso. Per carità. Sarà tutto debitamente normalizzato, goccia dopo goccia e passo dopo passo, finché non ci si ricorderà neppure cosa vuol dire uscire in libertà senza essere sotto l’occhio vigile delle forze dell’ordine, cosa vuol dire stare senza museruola respirando aria pulita, liberamente, anziché reintrodurre i propri scarti. La strada sarà in discesa fino al 2030 e magari fino al 2050 di cui si parla tanto nelle agende e nelle stanze dei bottoni.

Bastone e carota, domiciliari e giusto il minimo di svago, di sfogo, a Natale e in estate, ma senza esagerare. Tanto fuori non ci sarà più niente da fare, nessun posto di lavoro da occupare, nessun parente contagioso a prescindere da andare a trovare, nessun amico con cui organizzare feste divenute sovversive. Non un Dio da pregare, ma neppure molto meno, fosse anche un aperitivo da bere a un tavolo, dei soldi da spendere, una saracinesca da alzare.

Il futuro che aspetta chi non ha il coraggio – ora, oggi – di reclamare i propri diritti con lo scritto, con la parola e con manifestazioni che devono rimanere pacifiche per non diventare pretesto di attaccabilità, è fatto di alienazione, di tecnocrazia, di ipocondria, di libertà fondamentali negate, come già accade nella Cina tanto ammirata dal governo Conte. Il nemico peggiore non è quello invisibile, ma quello immaginato, nascosto dietro interessi precisi mascherati da buoni propositi.

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