Perché la strategia di controllo dell’influenza dell’Oms arriva fino al 2030?
Nel giro di 10 anni – forse anche meno – pare che anche l’influenza debba essere trasformata in un morbo incurabile da strumentalizzare. Anche se per il momento “un coronavirus è per sempre”
E se si finisse col coronavirus – finalmente – ma si iniziasse con l’influenza? Interrogativo legittimo a giudicare dalle incoerenze dei governi europei e da un documento dell’Oms che delinea la strategia di “controllo” dell’influenza da adottare dal 2019 (l’anno in cui si è registrato, a Wuhan, il primo caso certificato di covid) al 2030, l’anno dell’Agenda. Dieci lunghi anni, che per le eminenze grigie dovrebbero essere vissuti all’insegna del “niente sarà più come prima” e dell’alienazione dell’individuo, tra l’euforia per un concerto rigorosamente online e la scoperta di un nuovo salvifico vaccino per la malattia più in voga del momento.
Il nemico invisibile da sventolare in faccia alle masse si trova sempre. Il terrorismo ormai è inflazionato, e dà il fianco a chi non è un patito delle migrazioni economiche e della creazione dell’Eurafrica. Al clima si sta lavorando, ma l’influenza è già lì, pronta a diventare la nuova minaccia del secolo. Uno spettro utile ad instaurare un moderno regime dittatoriale sul modello della Cina dei campi di concentramento hi-tech nel peggiore degli scenari possibili, oppure un amico di una zona grigia risoluta a fare incetta di finanziamenti e di asset strategici. Nel giro di 10 anni – forse anche meno – pare dunque che anche l’influenza debba essere trasformata in un morbo incurabile da strumentalizzare. Anche se per il momento “un coronavirus è per sempre”, per citare una vecchia pubblicità.
L’influenza per l’organismo filo-cinese che ha come secondo finanziatore Bill Gates sembra essere il jolly da giocare se i piani col virus cinese dovessero andare storti, tanto che il programma per la gestione della “pandemia influenzale” sono identici a quelli per gestire il coronavirus. Il concetto delle “ondate” si può riproporre così all’infinito e riguardare non solo il virus che ci sta martellando da mesi, ma anche altri. Il tutto, per rientrare negli obblighi stabiliti in tavoli come Cop25 (stare a casa aiuta a diminuire le emissioni) o in sede di trattative ufficialmente non vincolanti tra Ue e singoli Stati membri e superpotenze come la Cina. Un piano iper-connesso, una tela di ragno difficile da comprendere se non si guarda all’insieme e se la mente è troppo impegnata a guardare al particolare (il virus e quanto fa parte della sua narrazione).
“Controllo“, nel documento di 34 pagine (in basso, nel Pdf) che delinea la strategia dell’Organizzazione mondiale della Sanità, è una delle parole che si legge più spesso. Il “secondo obiettivo strategico” è infatti quello di “rafforzare la sorveglianza, il monitoraggio e l’utilizzo dei dati. Questo obiettivo strategico – scrive l’Oms – si concentra sul rafforzamento delle GISRS e sul monitoraggio globale dell’influenza, per generare dati e informazioni che possono essere utilizzati dai responsabili politici per prendere decisioni. I dati sulla sorveglianza sono fondamentali per condurre valutazioni del rischio e comprendere l’impatto e l’onere dell’influenza. Strategie di comunicazione efficaci sono importanti per impegnare i responsabili politici e le comunità negli sforzi di prevenzione e controllo, e per aumentare il buy-in e la fiducia”.
In uno scenario del genere, l’Oms acquisirebbe un margine d’azione di gran lunga superiore a quello attuale, già vasto: “Il ruolo del Segretariato dell’Oms sulla sorveglianza, il monitoraggio e l’utilizzo dei dati – si legge nel programma strategico – è quello di fornire valutazioni del rischio in corso e consapevolezza della situazione attraverso la raccolta, l’analisi e la comunicazione di informazioni, contribuendo così a livello globale, regionale e nazionale processo decisionale (ad esempio sullo sviluppo di un candidato virus del vaccino); monitorare e diffondere regolarmente i dati sul carico di malattia, evitare oneri economici, per aiutare i paesi
e i responsabili politici con lo sviluppo e l’attuazione di programmi efficaci di prevenzione e controllo; fornire leadership su questioni di salute pubblica globale per quanto riguarda la condivisione dei dati sull’influenza e dei virus, anche all’interno del contesto di altri organismi e accordi internazionali“.
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Rischio Phishing con il sistema di allarme It Alert. Come difendersi
It Alert, il servizio nazionale di allarme e controllo promosso dal governo e dalla protezione civile, non ha mancato di sollevare critiche per i rischi connessi alla privacy e per l’effettiva inefficacia nel segnalare le calamità. Nonostante tutto continua la sperimentazione: il 19 settembre è stata la volta di Lombardia, Molise e Basilicata, mentre i cittadini di altre regioni saranno interessati dall’invio di notifiche di massa nei prossimi giorni. I test andranno avanti fino a ottobre.
C’è da dire subito che chi non vuole ricevere le notifiche push di It Alert può disattivare una specifica funzione presente negli smartphone, come si leggerà nei prossimi paragrafi. Si tratta di un buon modo per troncare a monte le possibilità di finire nella rete dei cybercriminali, che stanno sfruttando il sistema di allarme e controllo per inviare messaggi e notifiche del tutto simili a quelle inviate dalla protezione civile.
Gli avvisi e il rischio di incorrere nella rete dei cyber-criminali
IT Alert potrebbe infatti rappresentare un ponte tra l’utente del tutto ignaro e i malintenzionati che sfruttano le dinamiche digitali. E’ quanto ha affermato il Cybersecurity di NordVPN Adrianus Warmenhoven, che ha chiarito come “gli avvisi governativi possano essere utilizzati in modo improprio da terzi che non hanno buone intenzioni”. Il riferimento è alle truffe via phishing, e al rischio di ricevere messaggi contenenti link che molti potrebbero essere indotti a cliccare nella convinzione che si tratti degli avvisi di It Alert.
Come disattivare It Alert
Per disattivare il servizio IT-Alert sui dispositivi Android:
- Accedere alle Impostazioni dello smartphone.
- Fare clic su “Sicurezza ed emergenza” o “Password e Sicurezza” oppure “Alert e terremoti”, a seconda del tipo di dispositivo.
- Nella sezione “Avvisi di emergenza” o “Allarmi pubblici” troverete l’opzione IT-Alert. Potrete disattivarla semplicemente rimuovendo il flag di attivazione. Per evitare di ricevere notifiche, è però necessario deselezionare tre voci: “Consenti allerte“, “IT Alert” e “Messaggi di test“. E’ inoltre necessario selezionare la voce “Mai” nella scheda “Promemoria allerte”. Queste funzioni sono poste una di seguito alle altre. Per verificare se è già stata ricevuta una notifica IT Alert, si può invece cliccare su “Cronologia allerte di emergenza”.
Per chi utilizza dispositivi Apple, disattivare IT-Alert è altrettanto semplice:
- Accedere alle Impostazioni.
- Selezionare “Notifiche” e scorrere verso il basso fino alla sezione denominata “Avvisi di emergenza”.
- Disattivare la funzione IT-Alert in questa sezione per non ricevere più notifiche e controllare le aree che potrebbero aggiungersi a seguito di aggiornamenti dello smartphone.
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L’ennesimo Pass (con tanto di microchip) per oggetti che ci seguono ovunque
Gianluca Isaia, presidente e Amministratore Delegato di ISAIA S.p.a., ha un modo tutto suo di interpretare il controllo e la volontà di estenderlo in sempre più settori della vita quotidiana. E’ una “coccola” – ha detto ieri alla Farnesina presentando il progetto esteso di un passaporto digitale per i capi di abbigliamento – che si fa al cittadino, che però in alcuni casi è ignaro delle decisioni che vengono prese ai piani alti e in altri non gradisce questo tipo di “attenzioni”. Per il supermanager Vittorio Colao l’idea di controllo coincideva con quella di “aiuto“, per l’AD della Società per azioni specializzata in abbigliamento maschile è più attinente alla sfera delle sensazioni. Sarà.
Quel che è certo, è che non sanno più cosa inventarsi per farci digerire un passaporto digitale dietro l’altro. L’archetipo sperimentale è stato il Green Pass, ma non è con la tessera sanitaria che si sono esaurite le mire dei vari governi che si succedono, che in tema di controllo la pensano tutti allo stesso modo. Nel caso appena citato si cavalca l’idea – tutto sommato accettabile in alcuni casi specifici – di “dare più informazioni” per citare lo stesso Isaia e, anche, quella già stantìa del “passaporto di unicità”. Ma è sulla possibilità di geolocalizzare le persone che indossano un determinato abito che, ovviamente, si concentrano i dubbi degli scettici.
E’ possibile tracciare gli spostamenti di una persona che indossa un abito dotato di chip RFID? A quanto pare, sì. La questione è stata sollevata nel 2017 da alcuni sindacati che agivano in tutela di 22mila dipendenti del sistema sanitario pubblico della Liguria, regione posta già allora sotto le ali del governatore Toti. Un fervente sostenitore, sia detto per inciso, del Green Pass e delle vaccinazioni di massa. Il caso era stato riportato dalla Repubblica di Genova, che così scriveva: “Il portiere del Galliera, Tullio Rossi, non sapeva di portare addosso un microchip. Lo ha scoperto, abbottonandosi la camicia della divisa: ha toccato un affarino duro all’interno della cucitura, l’ha tagliata ed ha visto la “cimice nera” grossa quanto una lenticchia. Si è chiesto cos’era. Nessuno lo aveva avvertito (anche se è un rappresentante sindacale) che l’ospedale avrebbe introdotto la novità”.
“In ogni momento e durante le ore di servizio, quel micro trasmettitore inserito in ciascun capo di abbigliamento, emanerà un segnale elettronico, permetterà di sapere dove si trova quella “divisa”. E pure chi la indossa“, scriveva Giuseppe Filetto in una disamina inquietante di sapore decisamente orwelliano. Cosa ne pensavano i dipendenti di questa “coccola”, come la chiamerebbe Isaia? Presto detto. “Credono che il localizzatore sia una grave violazione della Privacy e un controllo “fuorilegge” sul posto di lavoro. Si sentono spiati” e pensano che “la presenza di più microchip a contatto con varie parti del corpo costituisca un rischio per la salute”.
Il tema del controllo nascosto, operato senza informare chi ne è bersaglio, è dunque quanto mai attuale, come pure quello delle epurazioni contro chi dissente, come si legge ancora nell’articolo del 2017. All’epoca un appalto di 66 milioni suggellato dall’Azienda Ligure Sanitaria – che aveva a capo lo stesso Giovanni Toti – permetteva di affidare i camici dei dipendenti a una ditta di lavaggio e asciugatura che, in più, ha offerto il singolare extra della chippatura. Non è un caso isolato e non riguarda la sola Liguria: il sito di Noleggio Divise di questi servizi se ne fa addirittura un vanto: “Applichiamo un chip/tag con tecnologia a radio frequenza (RFID) su tutti i capi lavati per monitorare le entrate e le uscite dalla lavanderia”. Ma, usciti dalla lavanderia, i chip continuano il loro viaggio sui corpi dei dipendenti – spesso inconsapevoli – collocati nei diversi settori strategici serviti dall’azienda.
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IT Alert “non dà indicazioni sull’esposizione al rischio”. Ma, allora, a che serve?
IT Alert è stato definito il “Sistema di allarme pubblico italiano” ma – complice la diffidenza verso determinati servizi digitali che si registra dal periodo covid in poi – la sua presentazione è stata accompagnata da critiche e da dubbi sulla Privacy. In che modo la Protezione Civile, che promuove il servizio, entrerà negli smartphone senza un consenso propedeutico dell’utente? Rimarranno file temporanei nei dispositivi di destinazione? Il servizio sarà così risolutivo nell’Italia in cui non si puliscono gli argini dei fiumi e si aspettano le catastrofi nella convinzione che un’app salverà tutti? Le domande sono davvero tante e chi le fa, come sempre, è considerato un “complottista autore di fake news”, per citare Sky Tg 24.
Eppure di certezze ce ne sono davvero poche, se si fa eccezione per i test che – a rotazione – riguarderanno diverse città italiane e che consisteranno nell’invio di una notifica standard. Il 5 luglio, tra qualche giorno, sarà la volta della Sicilia, mentre il 7 toccherà alla Calabria. Chiusura estiva il 10 luglio che – ironia della sorte – toccherà all’Emilia Romagna, regione recentemente martoriata dall’alluvione. IT Alert, fanno sapere dalla Protezione Civile, “potrebbe raggiungere i territori interessati” da “gravi emergenti e imminenti catastrofi” ma, una volta arrivata la notifica, spetterà al cittadino cavarsela. L’app infatti, spiega la Prociv nella cartella stampa inviata ai giornalisti, “non fornisce indicazioni rispetto all’esposizione individuale al rischio“.
Ma, allora, a cosa serve in realtà? E in che modo inciderà positivamente sulle “imminenti catastrofi” quali – mano all’elenco ufficiale – maremoto da sisma, collasso di grande diga, attività vulcanica, precipitazioni intense e incidente nucleare? Tutto molto rasserenante, non c’è che dire. Ma se, anziché “inculcare la cultura del rischio” si iniziasse ad amministrare e a curare il territorio in maniera tale da prevenire i danni a cose e persone? E’ pur vero che, a quel punto, organismi costosi come la protezione civile non avrebbero più motivo di esistere.
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La boutade di Butti: per curarsi, votare e guidare servirà l’app IO
Lo abbiamo già scritto: anche il governo Meloni ha il suo “Colao”, laddove il termine più che un cognome è un eufemismo per indicare una persona votata alla digitalizzazione a tutti i costi, proprio come l’ex ministro all’Innovazione del governo Draghi. E’ Alessio Butti, zelante sottosegretario all’Innovazione tecnologica strappato alla politica locale per far sì che portasse a termine l’Agenda tech scritta dai piani alti. Unico vincolo: nessun apporto originale ma tanta adesione – a secchi – verso i dettami che provengono dall’Europa e dai vari forum che contano. Testa bassa e fare (solo ed esclusivamente) quanto è richiesto.
E’ in questo contesto che nascono idee – se così si possono definire – come quella di subordinare all’utilizzo di un app la possibilità di accedere a cure, di guidare e di andare a votare. Proprio così, perché Butti e il governo Meloni sono al lavoro per inserire la tessera elettorale, la patente di guida e la tessera sanitaria direttamente nell’App IO. Che è, per chi non lo ricorda, la controversa applicazione introdotta dal governo Conte e bocciata dal Garante per la Privacy, ma poi riesumata dai governi Draghi e Meloni. Ci sarà libertà di scegliere tra un documento cartaceo e la sua versione digitale? Non è dato saperlo, e quel poco che si sa è emerso nel corso di un’audizione sulla digitalizzazione della pubblica amministrazione che si è tenuta negli scorsi giorni presso la Camera dei Deputati.
“Entro la fine dell’anno prevediamo un ulteriore importante cambiamento positivo per la vita quotidiana di tutti gli italiani. Se così sarà, saremo anche tra i più virtuosi in Europa, anticipando il percorso previsto dalla UE per il portafoglio elettronico europeo” ha detto Butti nell’occasione. Resta da capire che fine faranno i documenti cartacei e in che modo sarà garantita la parità di fruizione dei servizi essenziali agli anziani – che spesso non hanno familiarità con i dispositivi elettronici – o ai non vedenti, che sono impossibilitati a usare gli smartphone tradizionali. E, non da ultimo, con quali modalità avverrà l’esercizio del diritto di voto, visto che il decreto-legge 1°aprile 2008, n. 49 è vieta di introdurre nelle cabine elettorali “telefoni cellulari o altre apparecchiature in grado di fotografare o registrare immagini”.