Triptorelina e cambio di sesso, così le “gabbie gender” distruggono corpi e menti
Il farmaco che blocca la pubertà e le condizioni limite di molti uomini che decidono di farsi operare per poi rimanere segnati a vita. Ma “dalla ferita che viene praticata e dalla castrazione”, avverte Silvana De Mari, “poi non si torna più indietro, anche se sono molti a volerlo”
“A Sanremo gli fan vedere i gay che han dei bellissimi bambini, ma guarda che bella questa roba qui, perché son contrari? Guarda che carini i figli di Elton John, ma perché devi essere contrario a uno che sorride?”. Silvana De Mari nel corso dell’intervista già pubblicata nella prima parte (in basso) tenta di alleggerire, ma non è facile quando ci sono di mezzo la salute e un equilibrio fisico, mentale, endocrino che, avverte, già di per sé è precario, fatto com’è di maglie che si intersecano tra loro. Ne sposti o peggio recidi una, e si crea uno strappo irrimediabile. “Sono tutti aspetti – dice – che vanno insieme – tanto che vengono studiati in maniera inseparabile nell’ambito di una nuova scienza”. Il pensiero corre alla triptorelina e, di conseguenza, a quei medici che decidono di non dare abbastanza importanza al dato psicologico o, semplicemente, aspettare che passi perché, spiega De Mari, “nel 95 per cento dei casi il voler cambiare sesso è un fuoco di paglia che svanisce con la crescita”. Al contrario: “sono tanti – dice la dottoressa – quei giovani che si ritrovano in un circuito che li spinge e non fa altro che tranquillizzarli sulla loro omosessualità, che viene data per assodata”.
Sacrificati sull’altare del gender e condannati alla sterilità
La sostanza “pericolosa” che blocca lo sviluppo sessuale
L’utilizzo della triptorelina può avere ripercussioni sull’organismo?
Ha sicuramente ripercussioni enormi, la prima è quella di impedire la pubertà. Serve per trattare la cosiddetta disforia di genere, che si verifica quando qualcuno vuole appartenere all’altro sesso. In casi come questi, la mente non accetta il corpo. Ma la mente nasce dal corpo e quindi deve accettare necessariamente il corpo.
E’ reale come patologia?
L’espressione disforia di genere è stata inventata da pochi decenni. Una
volta inventata la parola il cervello umano funziona sull’imitazione e sull’auto-suggestione. Più noi parliamo di disforia di ragazzini che vogliono essere ragazzine e viceversa, più la gente se ne convince. Non è difficile convincere una persona di qualcosa, soprattutto un bambino.
Ci sono casi certificati nell’ambito di cui sono state registrate anomalie dello sviluppo?
Queste persone sono perfettamente sane e normali. Hanno cromosomi normali, sistema endocrino normale e corpi normali. La mente non accetta il proprio sesso e dunque non ha funzionato qualcosa nel processo di identificazione col genitore del proprio sesso. La pubertà nel 95 per cento dei casi con il fiume di ormoni che arrivano rimette tutto a posto. Dare un farmaco che blocca la pubertà è quindi un crimine. La pubertà non riguarda solo il corpo ma anche la mente, è un processo di maturazione in cui acquisti il senso di responsabilità e la capacità di non essere un bambino ma di essere un adolescente. Anche la mente ne risente. Un maschietto che vuole diventare una bambina è perché si sente inadeguato come maschio. Se gli dai la triptorelina il pene gli resta piccolo, la voce gli resta alta, non gli viene la barba e poi si sente ancora più inadeguato. Una bambina che vuole diventare maschio è perché si sente inadeguata come femmina. Se non le viene il seno, è evidente che si sentirà più inadeguata.
E per chi decide, incurante, di sottoporsi a cure inopportunamente prescritte e persino al cambio di sesso?
L’intervento maschio-femmina sul perianale è ulteriormente dannoso. Chiaramente per la donna non è possibile. L’uomo invece viene castrato, assume pillole progestiniche e gli vengono impiantate delle protesi mammarie. La castrazione dura circa sei ore e segue una convalescenza di due mesi, che è una roba enorme. La convalescenza per il trapianto di fegato, per capirci, è di dieci giorni. Si fa un buco nel perineo che dovrebbe essere la vagina, che l’organismo interpreta per quello che è, cioè una ferita che passa tutto il tempo a cercare di cicatrizzare. Questa cavità si realizza con la pelle scuoiata dei testicoli e del pene. Ma se i testicoli o il pene non sono abbastanza grossi e non c’è abbastanza pelle neanche scuoiandoli, bisogna ricorrere al colon, cosa che complica ulteriormente le cose. Quindi, lasciando da parte i bambini, qualsiasi scelta di questo genere è una scelta limite.
In Italia è possibile fare operazioni del genere?
Sì e anzi sono a carico del sistema sanitario nazionale, cosa assolutamente sbagliata. La Svezia, dove hanno chirurghi seri e bravi e gente che fa bene le statistiche, ci dice che le persone che si sono sottoposte a questo intervento spesso sono segnate dal rimpianto e aumenta il loro tasso di suicidio. Molto interessante è il libro Paper genders di Walt Heyer, che parla di un ex trans pentito. Un chirurgo serbo che era uno dei maggiori esperti mondiali ha detto con chiarezza che un enorme numero di pazienti vanno da lui a chiedergli di disfare tutto, ma ormai l’apparato riproduttivo è stato buttato via. Anch’io sono un chirurgo e l’idea di testicoli e ovaie che si disfano e si buttano nella spazzatura mi dà le vertigini.
Qual è il numero di persone che decide di sottoporsi a questo tipo di interventi?
Per citare un dato semplificativo, in Inghilterra l’incidenza di questo tipo di interventi è aumentata del 1000 per cento negli ultimi tre anni.
Le campagne di comunicazione avranno aiutato?
Le campagne di comunicazione e la narrazione che si fa. Alcuni canali commerciali non parlano d’altro che di bambini che vogliono essere bambine e viceversa. I trans di successo, per così dire, sono pochissimi e vengono presentati sui giornali femminili o nei contest musicali come persone meravigliose. La loro volontà ha vinto su tutto, sesso biologico incluso. Ma noi questa guerra non dobbiamo farla al nostro corpo. L’essere umano è una fusione di cultura e natura, e questi due aspetti non devono litigare tra di loro.
Per quanto riguarda i mutamenti culturali, com’è possibile che siamo passati dal considerare l’omosessualità una malattia alla situazione di oggi in cui essere “gay” è quasi una moda?
L’omosessualità è tipica di persone sane che però hanno un comportamento disfunzionale di cui diventano dipendenti. A livello psicologico si realizza un’attrazione verso lo stesso sesso che è quasi fisiologica e quasi normale in moltissime persone in età puberale o adolescenziale. E’ un sistema di madre natura, perfino, che ci dice “senti, allenati all’idea di una relazione anche con qualcuno del tuo stesso sesso. Quando ti sei allenato, poi passi
alle relazioni vere”.
Stiamo parlando di un tipo di rapporto come può essere quello con l’amica del cuore da bambine o da ragazzine?
Esatto, l’amica del cuore! Io avevo l’amica del cuore che se non mi telefonava tutte le sere ci stavo male. Se lei andava da qualche parte senza di me, o mio dio, era la fine. E’ proprio una sorta di innamoramento. Per esempio una bellissima relazione tra due maschi è quella che c’è ne L’amico ritrovato di Fred Uhlman. Al protagonista quando vede l’amico batte il cuore. Queste amicizie tuttavia restavano sul piano platonico e la crescita sistemava tutto. Il tuo amico diventava poi il padrino dei tuoi figli e la tua amica del cuore quella di cui continuavi a essere amica anche da sposata.
Come mai oggi le cose si normalizzano con meno frequenza?
Oggi si va al pratico, ma soprattutto si resta incastrati in un ruolo, in particolare se per un qualche motivo il ragazzo o la ragazza non è riuscito come detto a identificarsi completamente col genitore dello stesso sesso o se è stato aggredito dai pari. Il ragazzino un po’ più timido che viene preso in giro magari perché non vuole giocare a calcio, poi rimane incastrato in un ruolo. Oppure un’esposizione precoce alla pornografia che è di una violenza bestiale contribuisce ad allontanare dal sesso sano. Più è forte in una Nazione la pornografia che contribuisce a farci sentire inadeguati, meno si fa l’amore e meno nascono i bambini. La gente resta quindi incastrata in un ruolo tutta la vita. Ti dicono devi accettare la tua omosessualità, va tutto bene. Se non lo fai, sei fuori. Basti pensare alle persecuzioni cui sono sottoposte persone come Nausica Della Valle.
Lei ha parlato di malattie legate all’omosessualità, a cosa si riferiva?
I rapporti anali provocano malattie, sia sull’uomo che sulla donna. Il tubo digerente serve per digerire, e se usato per altro si ammala. L’ano ha una mucosa sottilissima che si lacera facilmente, per cui il rischio di malattie sessualmente trasmissibili di moltiplica per venti. Inoltre nell’eiaculazione ci sono virus e batteri, che per la stessa conformità dell’ano vengono assorbiti facilmente.
Potrebbe interessarti anche:
>> Il primo Manifesto gay – Gay liberation front
>> “Sodomizzeremo i vostri figli”, il secondo Manifesto gay
ARTE & CULTURA
Cucinotta a Rec News: “Il mio Sud nel nuovo film da protagonista” (Video e Gallery)
Maria Grazia Cucinotta è la protagonista del nuovo film di Beppe Cino “Gli agnelli possono pascolare in pace”, presentato ieri in anteprima a Roma al Cinema Caravaggio e nelle sale dall’11 aprile. Nella pellicola ambientata in Puglia è Alfonsina, donna ingenua con abitudini singolari che a un certo punto viene colta da sogni rivelatori.
Bidella in pensione devota al culto dei cari defunti e lontana dal fratello, sarà un inaspettato incontro con il Sacro a mettere ordine in tutti quegli aspetti della sua vita rimasti in ombra, e a svelare i legami e i segreti che animano il borgo pugliese dove abita. Abbiamo intervistato Maria Grazia Cucinotta a margine della proiezione dell’anteprima romana.
Quanto c’è di lei nel film “Gli agnelli possono pascolare in pace?
Di sicuro il Sud. Il Sud mi appartiene e di conseguenza c’è molto di questo suo modo di essere. Attaccata alla terra, attaccata agli affetti, attaccata alla verità. E’ anche un personaggio molto distante. E’ una bidella che ama Pasolini e sembra uscita un po’ fuori da una favola. Anche il mondo che la circonda sembra essere uscito fuori da un piccolo metaverso che si muove in un mondo moderno.
Il film ha un messaggio particolare?
Ce ne sono tanti di messaggi, tra l’altro attualissimi. Tutte le guerre sono dettate dai confini e dal potere e un po’ questo film parla proprio di questo e al fatto che tutti i confini e tutti i pregiudizi portano alla fine alla rabbia e alla non accettazione. E’ un messaggio molto importante. Tra le risate e queste visioni c’è una grande verità.
Progetti futuri che può anticiparci?
Questo film è in uscita quindi aspettiamo di vedere come va. L’11 uscirà in tutta Italia e speriamo che la gente torni al cinema.
INTERVISTE
Reati contro i minori, intervista al ministro della Famiglia Eugenia Roccella (Video)
INTERVISTE
Ddl Nordio, Caporale: «Non libera la magistratura dai suoi mali, ma colpisce la Giustizia giusta»
Il Ddl Nordio è forse l’eredità più consistente lasciata da Silvio Berlusconi. E’ infatti figlio di un modo preciso di intendere la Giustizia, le leggi, la magistratura. Per alcuni rappresenta l’ennesimo colpo inferto alla libertà di espressione, all’autonomia dei magistrati e allo stesso cittadino, che potrebbe essere maggiormente esposto a determinate fattispecie di reato che potrebbero essere depenalizzate. Ne abbiamo parlato con il giornalista Antonello Caporale.
Il giornalista Antonello Caporale
È davvero necessario abolire l’abuso di ufficio per tutelare quei sindaci che, a sentire la maggioranza, hanno le “mani legate”?
Io penso che la riforma viva di un bisogno ideologico. Anziché definire ulteriormente un reato che, è vero, è molto vago, lo hanno tolto di mezzo. Così facendo hanno mostrato il loro intento, che è quello di sminuire ulteriormente la magistratura.
Nordio è un ex magistrato.
Ma è come quei tabagisti che fumano, smettono poi finiscono con l’odiare le sigarette. Nordio è un magistrato ma odia i magistrati, ha utilizzato in modo massiccio le intercettazioni e da ministro le ha tagliate. Si è sempre proposto come l’alfiere della magistratura di destra ma dice che i magistrati fanno politica. La sua sembra una vita capovolta. C’è un’idea di fondo ideologica prima ancora che giudiziaria. E’ la stessa cosa che ho visto con la dichiarazione del lutto nazionale, che come sai viene dichiarata dal governo utilizzando la sua discrezionalità. In genere si fa per i martiri della mafia, ma in questo caso hanno voluto elevare la figura di Berlusconi.
Farà la fine di Craxi, un altro personaggio controverso che con il passare degli anni è diventato un’eroe nazionale. Si può dire che la Riforma Nordio sia un po’ l’ultimo lascito di Berlusconi, cioè la manifestazione ultima di un certo modo di intendere la Giustizia?
Possiamo anche dire per principio che i reati, la criminalità non esistono, ma restano comunque. Possiamo decretare sconfitta la mafia e la ‘ndrangheta, ma il pizzo c’è. Sono azioni temerarie, protervie e ingenue.
Prima hai parlato di intercettazioni. Secondo i detrattori del disegno di legge calerà una scure ulteriore sulla possibilità di informare liberamente.
Non sappiamo ancora cosa resterà e cosa verrà buttato della Riforma, che probabilmente sarà fatta a pezzi dalla Corte Costituzionale. Ma già con il solo fatto di aver annunciato una stretta sulla intercettazioni sono stati lanciati due messaggi. Uno alla magistratura, a cui in pratica è stato detto mettetevi in fila e capite che il vento è cambiato, e uno all’informazione, a cui si tenta di dire attenzione, perché non puoi più osare come prima. La magistratura, comunque, non è esente da mali. Con la riforma non si sta liberando la magistratura del proprio conformismo, delle proprie convenienze e del fatto che ci sono magistrati che non lavorano e non sono equi, ma si sta riducendo l’ampiezza della libertà dei magistrati. Avranno più margine quelli più convenzionali e collusi, meno quelli coraggiosi che hanno voglia di fare. Se ci fai caso si parla sempre di magistrati di destra e di sinistra, ma mai di chi lavora bene e di chi lavora male.
Erano forse più questi gli aspetti da riformare.
Appunto, invece si sceglie di trascurarli. Nessuno si domanda perché uno ha fatto cinque processi e un altro 55, oppure perché con l’aumentare dell’organico delle Forze dell’Ordine non si riducono i reati. Dovremmo essere più sicuri, e invece? Immagino che non sia un lavoro certosino, organico, sistemico, ma che sia un lavoro occasionale. Faccio quello che lavora, fingo per la televisione e poi chi si è visto si è visto. Arresto chi so già che non può stare dentro, indago persone su cui non ho nulla. Ci sono poi le querele temerarie, come quelle che sono capitate a me e ad altri giornalisti, che sono azioni di parassitismo giudiziario che diventano lecite, invece non lo sono affatto. La lotta però non è contro questi mali, ma contro la Giustizia giusta.
Dal punto di vista politico pensi che la Riforma possa essere in qualche modo divisiva oppure c’è un’intesa che va al di là degli schieramenti politici?
C’è sicuramente intesa, altrimenti il codice penale non sarebbe così cavilloso. Le leggi le fa il Parlamento e c’è interesse a rendere i processi pieni di cavilli, possibilità e subordinate. La politica teme la magistratura, a volte perché esagera a volte perché è un potere che controlla.
INTERVISTE
Il racconto della figlia del 72enne di Guardia Piemontese deceduto dopo ore di odissea
Antonio Caroccia era un 72enne di Guardia Piemontese, un paesino in provincia di Cosenza, in Calabria. Riferiscono i familiari, assumeva dei farmaci ma godeva di buona salute, era attivo e non era affetto da nessuna patologia. Il 5 marzo dello scorso anno avverte un dolore all’altezza dei reni. E’ tardo pomeriggio, Antonio è vigile, cosciente, i familiari sono preoccupati ma nessuno si immagina quello che sarebbe successo da lì alle ore successive, con una diagnosi iniziale sbagliata, “circa due ore e mezzo di attesa presso il pronto soccorso della clinica Tirrenia Hospital” – racconta una componente della famiglia – assenza di ambulanze, posti letto per ottenere i quali è necessario fare opere di convincimento, esami mai giunti a destinazione. Che sarebbe successo se i medici non avessero erroneamente diagnosticato un infarto e se il signor Antonio fosse giunto subito nel reparto di Chirurgia? Secondo i familiari, il decesso forse poteva essere evitato. Una delle due figlie, Valentina, ci ha spiegato le motivazioni alla base di questo convincimento.
Lei sta portando avanti una battaglia per il riconoscimento di un caso di malasanità che potrebbe aver causato il decesso di suo padre. Ha avuto risposte dalle Istituzioni?
Il 28 marzo ho inviato una PEC al ministero della Salute, alla Procura della Repubblica presso il tribunale di Paola e Cosenza e al presidente della Regione Calabria in qualità di commissario ad acta della Sanità. Il ministero mi ha risposto l’11 aprile chiedendo alla Regione di relazionare sull’accaduto e domandando di mettermi a conoscenza degli esiti. La Regione ha scritto all’Asp di Cosenza limitandosi di fatto a fare da tramite, senza esprimersi sull’accaduto. Mi ha risposto allegando semplicemente i documenti ricevuti dall’Asp stessi, per giunta incompleti. Il tutto dopo circa tre mesi, durante i quali ho fatto numerosissimi solleciti telefonici e via mail.
Dal decesso di suo padre in poi è stata costretta ad appellarsi continuamente, oltre che alle istituzioni, alle strutture sanitarie coinvolte. Ha trovato disponibilità o chiusura?
Sostanzialmente dopo aver fatto più solleciti con le istituzioni ho trovato qualche forma di apertura. Il resto è stato un po’ sorprendente, anche per quello che riguarda le risposte del direttore della centrale operativa. Mi è capitato di fare presente il comportamento di un infermiere che con mio padre era stato sgarbato e poco professionale, ma la mia versione è stata messa in dubbio.
Sta dicendo che ha denunciato il comportamento di un infermiere e l’ospedale interessato non ne ha voluto saperne di più? Non è stata avviata nessuna indagine interna per comprendere se si era in presenza di una negligenza o di un disservizio?
No, assolutamente no. Anzi ho avuto l’impressione contraria, cioè che facessero da scudo a chi era intervenuto quella sera. Mi sono anzi sentita dire dal direttore della centrale operativa del 118 le testuali parole: “posto che ciò corrisponda a verità, come fa notare la scrivente signora Valentina Caroccia, rientra nei comportamenti personali del singolo, sicuramente censurabili, ma non perseguibili”.
Della vicenda che ha raccontato a Rec News ha fatto molta impressione l’atteggiamento di parte del personale sanitario coinvolto.
Abbiamo provato tanta rabbia, tanta tristezza e tanto dolore. Quando i sanitari sono venuti a casa per soccorrere mio padre non riuscivano a trovargli la vena e sgarbatamente gli davano dei comandi del tipo “Metti il braccio così”, strattonandolo. L’hanno poi portato giù sulla sedia a rotelle a petto nudo, faceva pure freddo perché era quasi sera. E’ stata mia madre a coprirlo. Alla Clinica Tirrenia Hospital doveva essere ricoverato, come testimoniano gli audio, su indicazione del medico del 118 intervenuto e del cardiologo dell’UTIC di Paola (la terapia intensiva cardiologica, nda), ma arrivati lì non volevano ricoverarlo, non ho capito per quale ragione. Il medico del 118 si è rivolto a mia madre e a mio zio dicendo: “Dovete insistere per fare uscire il posto”.
“Insistere per fare uscire il posto” è una frase strana.
Alla fine comunque è stato accettato presso il pronto soccorso della Tirrenia Hospital, ma quando i sanitari della stessa hanno ritenuto di dover trasferire mio padre presso l’ospedale Annunziata di Cosenza la clinica non era in possesso di alcuna ambulanza. Ho scavato per capire le motivazioni e chiesto spiegazioni, ma la clinica in tutta risposta mi ha scritto tramite legale facendo finta di non sapere che ero una parente diretta. Ho parlato anche con il vicedirettore della clinica Tirrenia Hospital perché in tutto questo è stato anche smarrito un esame che si chiama emogasanalisi che la clinica sostiene di aver effettuato e di aver consegnato all’ambulanza di Amantea che ha trasportato papà in un secondo momento. Sta di fatto che di quest’esame non c’è traccia.
Non si trova un esame di marzo del 2022?
Non si trova. Il vicedirettore sostiene che sia stato consegnato ma le cose sono tre: o non è stato effettuato, o è stato fatto e non è stato consegnato o è stato consegnato ed è stato smarrito. Al vicedirettore ho anche domandato come mai l’ambulanza non fosse disponibile e lui ha risposto che ne hanno solo una e che era impegnata per il trasferimento di un paziente leucemico a Reggio Calabria. Pensare che la Tricarico è l’unica clinica della costa tirrenica cosentina ad avere l’emodinamica. Mio padre del resto non doveva neppure essere lì, perché la diagnosi inziale di infarto si è poi rivelata sbagliata.
Negli audio vagliati da Rec News si sentono anche i sanitari che rispondono flemmatici e le attese lunghe intervallate dalla Primavera di Vivaldi…
Infatti si nota subito l’incapacità di comunicare e gestire l’urgenza. Si passano il telefono di persona in persona. Mancavano mezzi, preparazione e c’era pure chi rispondeva scocciato alla richiesta di intervento.
Suo padre è deceduto dopo un’Odissea durata ore e ore.
Era un codice rosso. Avrebbero dovuto mobilitarsi subito, non avere quell’atteggiamento rilassato passandosi il telefono di persona in persona.
C’è stato anche quel problema “di connessione” che ha impedito a un esame di arrivare a destinazione.
Quando si fa l’ECG a casa, a esito ottenuto c’è il consulto tra il medico che è sul posto, del medico che è in centrale operativa e del medico di turno all’UTIC di competenza, in questo caso l’UTIC di Paola. Però alla centrale operativa del 118 l’esame non è mai arrivato per mancanza di linea. E’ arrivato però, come documentano gli atti, all’UTIC di Paola, quindi gli unici due che hanno avuto modo di confrontarsi sono stati il medico del 118 che è venuto qua a casa e il cardiologo. Il medico non è stato assolutamente in grado di gestire la situazione. Mio padre era a casa lucido e cosciente, avvertiva un dolore all’altezza dei reni ma gli è stato diagnosticato un infarto. Quando è stato trasportato sulla seconda ambulanza già non rispondeva e secondo i referti aveva già i valori sballati. Dopo ore di attesa, due ore circa delle quali presso la Tirrenia Hospital, è deceduto.
Mi diceva che in un referto clinico anziché scrivere “sottorenale” hanno scritto “soprarenale”. Sono questioni di lana caprina oppure ha senso porsi delle domande?
Sì, ha senso porsi il quesito e stiamo seguendo anche tutta la parte medica per comprendere meglio come si sono svolti i fatti. Sappiamo che è arrivato in Chirurgia all’Annunziata in condizioni già critiche e che i medici hanno innestato le protesi. L’operazione è durata circa due ore e mezzo e da come si legge dalla cartella clinica ci sono stati due arresti cardiaci, uno dei quali ripreso con il defibrillatore. Hanno provato a recuperarlo, ma all’una e trenta di notte è stato constatato il decesso.
Nel caso di suo padre la diagnostica appare mancante o errata.
Sì, non gli è stata fatta la TAC a contrasto che avrebbe dovuto evidenziare le rotture subentrate che inizialmente non c’erano, e poi gli è stato diagnosticato, sbagliando, un infarto. Mio padre aveva bisogno di essere trasferito immediatamente, e sottolineo immediatamente, presso la struttura dove è stato operato, invece è stato perso inutilmente tanto tempo e non c’erano neppure i mezzi per effettuare il trasporto.
La prima diagnosi di suo padre è avvenuta tramite telemedicina, però il referto non è mai giunto a destinazione per un problema di connessione. Il timore è che determinate procedure macchinose che coinvolgono tanto personale sanitario e tante unità distanti tra loro, possano mettere in pericolo il paziente. Se si spezza un anello della catena, i rischi possono superare i vantaggi.
Ma se alla fine mi sono sentita dire “Ritieniti fortunata che quella sera c’era il medico con l’ambulanza”, perché la prima ambulanza è venuta 5 minuti dopo la chiamata, ma solo perché stava facendo rifornimento lì vicino. Mi sono vergognata per loro a sentire frasi del genere. Per riuscire a fare gli accessi agli atti che riguardano il decesso di mio padre mi sono trovata di fronte a telefoni sbattuti in faccia. Se scegli di fare il medico devi avere una vocazione, una passione, ma se poi non hai professionalità e sei perfino disumano, è meglio che cambi mestiere. Ora non c’è solo il dolore, ma anche la rabbia.