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Era la “casta da abbattere“, la “lobby dell’informazione”, l’organismo inutile cui indirizzare aspre critiche. Si sa, però: il calore delle poltrone è in grado di scaldare anche i cuori più induriti da una lotta che bada più all’apparenza che alla sostanza, e che per alcuni va portata avanti finché serve. E oggi, per esempio, al sottosegretario con delega all’Informazione e all’Editoria i vecchi mantra non servono più. Nemmeno quelli più recenti relativi all’insediamento, che rimandavano all’abolizione dell’Ordine dei giornalisti e al taglio dei fondi all’Editoria.

Abolire i vecchi attori? No, solo aggiungerne di nuovi. Tutto sorpassato: oggi (lo ha fatto nel corso del primo appuntamento degli Stati generali dell’Informazione), Crimi parla di “scontro da superare”. L’interesse è ormai tutto per gli “over the top” della pubblicità. Facebook, Twitter, Youtube, Amazon: in grado di garantire ritorni di visibilità politica certi, alcuni loro rappresentanti sono stati invitati ai lavori in qualità di auditori. Far sì che le notizie ricevano il pollice alto dei grossi social brands, è dunque l’imperativo dell’informazione 2.0, come se quest’ultima non fosse già abbastanza condizionata di suo. Non solo colossi web, ma anche chi “è in grado di stare sul mercato con autorevolezza e credibilità”, e pazienza se diverse realtà che si occupano in maniera seria di informazione sul mercato non ci arrivano mai o poco e male, e proprio a causa della situazione ingarbugliata cui il sottosegretario aveva promesso di porre fine.

Piccolo – spazio – pubblicità. Lo spazio alla libera informazione? I tagli alle risorse che rimpinguano solo una decina di testate a danno della piccola e media impresa editoriale? Già acqua passata. Crimi ormai sembra aver fatto propri gli imperativi capitalistici, altro che movimento espressione della sinistra che non si ritrova nei partiti: “Avere i pubblicitari a questi tavoli è importante ed è la novità. La raccolta pubblicitaria – ha detto nel corso della prima tappa degli stati generali – deve essere finalizzata a investimenti reali. Le aziende devono decidere di investire in prodotti che possono dare loro rendimento”. E ci voleva proprio un sottosegretario all’Editoria che cambiasse passo, ma forse il suo compito non era esattamente quello di facilitare la trasformazione definitiva dell’informazione in oggetto (e niente altro) da piazzare sul mercato.

“Quando si cambia qualcosa bisogna stare attenti”. Insomma i moniti del presidente dell’Odg devono aver fatto presa su un Crimi che ha cambiato di netto registro. Appare quasi timoroso, al contrario di un Carlo Verna che non ha esitato a manifestare cosa vada bene alla categoria e cosa no, cosa si possa fare e su cosa, invece, bisogna andare oltre. “L’Odg – ha detto – si sta attrezzando per una proposta innovativa”. Talmente innovativa che è attesa da mesi ma ancora non se ne vede l’ombra, perché, in relazione a quanto manifestato inizialmente dal “vecchio” Crimi, nel progetto di auto-riforma o presunto tale sfornato negli scorsi mesi non c’è nulla. Le leggi – ha riferito ancora il presidente napoletano – devono essere ben fatte. Ogni volta che si cambia qualcosa del Quadro legislativo bisogna fare attenzione”. L’invito alla prudenza sembra essere tutto per Crimi la cui nullafacenza, certamente, farebbe piacere a un organismo che si conserva immutato dai tempi del Fascismo a oggi.

“Ci siamo visti a Torino”. Eppure la sintonia si può trovare lo stesso, e lo ha dimostrato l’incontro a Torino che Verna afferma di aver avuto con il sottosegretario all’Editoria. Rimane da chiarire se, oltre a quella che sembra profilarsi come la mancata occasione dell’abolizione dell’Odg, Crimi intenda digerire gli altri capisaldi della politica di Verna, e cioè lo smantellamento del pubblicismo (“Chiunque è libero di dire sciocchezze – non “esprimersi”, ha detto Verna – ma chi fa informazione professionale deve essere tutelato dall’inquinamento improprio”) e il controllo totalitario sull’accesso alla professione: “Non possiamo pensare che alcuni ambienti non sufficientemente formativi possano garantire l’acquisizione di un titolo”.

A che serve l’Ordine dei giornalisti? “Dare tesserini significa determinare un meccanismo improprio, uno scambio di attività professionali che l’Ordine a volte non riesce a controllare”, ha detto Verna. E pensare che “dare tesserini”, è proprio l’unica ragione d’essere dell’Odg. Lo ammette candidamente lo stesso presidente: “Sulla deontologia segnaliamo e sanzioniamo i casi spiacevoli ma non abbiamo potere”, e in più “l’obbligatorietà di iscrizione all’Albo già non c’è, e lo dimostra la stessa esistenza dell’infotainment. La legge del 1963 stabilisce poi che per il rilascio del tesserino servano due anni di attività e compensi certificati, ma la pratica pubblicistica può essere reiterata. Dare tesserini significa determinare un meccanismo improprio, uno scambio di attività professionali che l’Ordine a volte non riesce a controllare”. Insomma ansia di controllo sì, ma mancata vigilanza (nel caso dei pubblicisti sfruttati), anche.

Che il sottosegretario all’Informazione e all’Editoria possa trovarsi in linea con posizioni del genere è abbastanza paradossale, soprattutto se si guarda alla linea portata avanti dal vicepremier pentastellato Luigi Di Maio, convinto sostenitore dell’abolizione dell’Ordine, almeno fino a questo momento. Ma come si conciliano il vecchio con il nuovo, le necessità di lettori e operatori dell’informazione con i diktat dei “big” dell’editoria, la propaganda e le direttive del movimento con gli interessi di una casta risoluta a mantenersi tale? Domande che abbiamo tentato di porre, in altri termini, direttamente al sottosegretario, soprattutto per quanto riguarda il clamoroso dietrofront sull’abolizione dell’Odg. Contattato telefonicamente, ci ha invitato a chiedere a Sergio Nazzaro, il suo portavoce che, pur dimostrando disponibilità e pur avendo acquisito le nostre domande, tiene in bilico da giorni la nostra intervista. I tempi dell’informazione e quelli dei lettori, tuttavia, sono altri, e per questo abbiamo anticipato l’intervista – se mai giungerà – con questo pezzo.

POLITICA

Zuckerberg: “Su covid e vaccini costretti alla censura dagli uomini di Biden”

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Zuckerberg: "Su covid e vaccini costretti alla censura dall'amministrazione Biden" | Rec News

Dopo la decisione di sospendere i finanziamenti ai Fact Checker, il Ceo di Meta Mark Zuckerberg ha deciso di vuotare il sacco su alcune questioni controverse che avrebbero “costretto” il Social a fare piazza pulita di determinati contenuti. In particolare quelli riguardanti il covid e la campagna vaccinale, che negli Stati Uniti come altrove è stata caratterizzata dalla stigmatizzazione di chiunque osava avanzare dubbi e qualsivoglia critica rispetto al pensiero dominante.

Non un semplice caso – per quanto eclatante – di limitazione della libertà di espressione. Perché a sentire Zuckerberg dietro alla volontà di bannare i comunicatori indipendenti ci sarebbe stato un vero e proprio disegno politico messo in pratica per preservare gli interessi dei democratici. “Durante l’amministrazione Biden, quando cercavano di lanciare il programma di vaccinazione, mentre cercavano di promuovere quel programma, cercavano anche di censurare chiunque sostanzialmente si opponesse ad esso. E ci hanno pressati super forte per eliminare cose che, onestamente, erano vere… Fondamentalmente ci pressavano e dicevano “qualsiasi cosa dica che i vaccini potrebbero avere effetti collaterali, in pratica dovete rimuoverla“. E’ quanto ha dichiarato il Ceo di Meta l’altro ieri, ospite di un podcast condotto da Joe Rogan.

“Queste persone dell’amministrazione Biden – ha proseguito Zuckerberg – chiamavano la nostra squadra e urlavano contro di loro e imprecavano… ci sono i documenti, è tutto pubblico”. E ancora: “Non penso che le pressioni affinché le società di social media censurassero i contenuti fosse legale. Il Primo Emendamento si applica al governo. Questo è il punto. Che al governo non è consentito censurare queste cose. Quindi, a un certo livello penso che, sì, avere persone nell’amministrazione che chiamano i ragazzi del nostro team e urlano contro di loro e imprecano e minacciano ripercussioni se non eliminiamo cose che sono vere, è piuttosto brutto”.

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POLITICA

Maduro e la “grande alleanza mondiale contro i tiranni”

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Maduro e la "grande alleanza mondiale contro i tiranni" | Rec News

Nicolàs Maduro, presidente della Repubblica Bolivariana del Venezuela, ha giurato per il nuovo mandato nel corso della cerimonia che si è tenuta nei locali dell’Assemblea nazionale a Caracas. “Il Venezuela – ha detto il neo-eletto in occasione del discorso di insediamento – si prepara insieme a Cuba, al Nicaragua e ai nostri fratelli maggiori nel mondo, nel caso in cui un giorno dovessimo prendere le armi per difendere il diritto alla pace, il diritto alla sovranità e i diritti storici della nostra patria”. Concludendo il Festival internazionale antifascista mondiale, il successore di Hugo Chavez ha inoltre evocato una “grande alleanza globale” simile a quella che sconfisse il fascismo durante la Seconda guerra mondiale in grado di sfidare “la tirannia dei potentati occidentali”.

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POLITICA

Vogliono aumentare (ancora) l’età pensionabile

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Vogliono aumentare (ancora) l'età pensionabile | Rec News

Nel panorama economico e sociale attuale, il tema dell’età pensionabile è diventato particolarmente rilevante. L’aumento dell’età pensionabile che sarebbe previsto per il 2027 rappresenta una questione di grande interesse e preoccupazione per molti lavoratori. In questo articolo, esploreremo le ragioni dietro questa decisione, le sue implicazioni e cosa ci si può aspettare nel breve e nel lungo termine.

Le ragioni dietro l’aumento. La “sostenibilità” del sistema pensionistico

Uno dei motivi principali per cui il governo sta considerando l’aumento dell’età pensionabile è la cosiddetta “sostenibilità del sistema pensionistico”, che in realtà ha molto a che vedere con le casse sempre più asciutte dei sistemi di previdenza. Con l’allungamento della vita media e con produttività e turnover sempre più risicati, il numero di anni in cui le persone percepiscono la pensione è aumentato, mettendo sotto pressione i fondi pensionistici. Secondo i promotori dell’iniziativa, dunque, aumentare l’età pensionabile potrebbe tamponare la situazione bilanciando entrate e uscite. Non si sa per quanto, però, in mancanza di una riforma che possa dirsi tale e che tenga conto di necessità variegate.

Cambiamenti demografici

Un altro fattore cruciale è il cambiamento demografico. La diminuzione del tasso di natalità e l’invecchiamento della popolazione significano che ci sono meno giovani lavoratori per sostenere finanziariamente i pensionati. L’aumento dell’età pensionabile potrebbe ridurre il rapporto tra pensionati e lavoratori attivi, ma ha ripercussioni dirette su quei lavoratori costretti a rimandare la loro uscita dal mercato del lavoro.

Le implicazioni per i lavoratori: maggior tempo nel mercato del lavoro, più il problema dei lavori usuranti

Con l’aumento dell’età pensionabile, i lavoratori dovranno necessariamente rimanere nel mercato del lavoro più a lungo. Questo può avere effetti sia positivi che negativi. Da un lato alcuni potrebbero trovare utile risparmiare di più per la pensione. D’altro canto, tuttavia, le nuove regole potrebbero essere sfidanti per coloro che svolgono lavori fisicamente usuranti o per chi desidera ritirarsi prima dal mercato del lavoro.

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POLITICA

Terzo mandato su misura. Ecco chi agevolerebbe

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Terzo mandato su misura. Ecco chi agevolerebbe | Rec News

Quest’anno si torna alle urne per decretare sei nuovi governatori, quelli di Campania, Marche, Puglia, Toscana, Valle d’Aosta e Veneto. Di questi solo due sono investiti dal problema del terzo mandato: Vincenzo De Luca in Campania e Luca Zaia in Veneto.

In teoria anche la Puglia di Michele Emiliano rientrerebbe nella conta dei presidenti di regione che hanno già compiuto due mandati ma lo stesso Emiliano ha annunciato la sua intenzione di farsi da parte per garantire il ricambio generazionale. Diverso il caso di Lombardia e Friuli Venezia Giulia: due regioni dove si potrebbe porre il problema del terzo mandato visto che sia Attilio Fontana che Massimiliano Fedriga stanno compiendo il loro secondo giro alla presidenza. Ma il tema è decisamente prematuro perché, in assenza di crisi politiche, le due regioni andranno al voto solo nel 2028.

Le Regioni che andranno al voto nel 2025, come detto, sono sei. Certamente quella più al centro delle polemiche è la Campania: i cittadini dovranno scegliere il successore di Vincenzo De Luca (Pd). Al voto anche le Marche governate da Francesco Acquaroli (Fratelli d’Italia), la Puglia guidata da Michele Emiliano (Pd), la Toscana di Eugenio Giani (Pd), la Regione speciale della Valle d’Aosta governata da Renzo Testolin (Union Valdôtaine), subentrato in corso d’opera ad Erik Lavévaz (dimessosi nel 2023 a seguito di una forte crisi politica) e il Veneto guidato da Luca Zaia (Lega).


 Complessa è la situazione del Veneto. Perché, con una rincorsa partita già da un anno, è in gioco il nome di Luca Zaia, che allo stato non sarebbe ricandidabile ad una presidenza numero 3 nel 2025. Formalmente Luca Zaia è al secondo incarico consecutivo, perché la legge regionale che ha introdotto il limite dei due mandati ininterrotti per le cariche elettive – recependo la norma nazionale 2004 – è stata approvata dal Consiglio Veneto nel 2012, con decorrenza dal 2015, fatto salvo il mandato che era già in corso. Zaia in quel momento era al suo primo quinquennio da presidente, dopo l’elezione-plebiscito del 2010. L’eventuale ricandidatura – per la prossima legislatura – aprirebbe di fatto per l’esponente leghista la possibilità di una quarta elezione a presidente del Veneto.

Anche in Valle d’Aosta, seppur in forme diverse, c’è un acceso dibattito intorno al limite dei mandati per le cariche apicali all’interno della Giunta regionale. La vicenda, in particolare, riguarda l’attuale presidente della Regione, Renzo Testolin, e il vice presidente, Luigi Bertschy, entrambi esponenti dell’Union valdotaine. Le forze di opposizione sostengono che, secondo la legge regionale 21/2007, entrambi non potranno ricoprire incarichi nella prossima Giunta, anche se eletti (il voto è previsto nel settembre 2025). Ovvero al massimo dovranno “accontentarsi” di fare il semplice consigliere. Della vicenda è stata investita la presidenza del Consiglio regionale.  (ANSA)

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