Il valzer delle opposizioni
Capodanno è lontano, ma il valzer delle opposizioni si balla già. Chi sgambetta, chi sono i giudici e chi gli (interessati) spettatori
Costretti ad aspettare in un limbo punitivo, quasi si trovassero nel purgatorio immaginato da Dante. E’ la situazione degli italiani, soprattutto di quelli che si trovano al di sotto della fascia “media” tanto cara a Di Maio. Disoccupazione, sanità al collasso, meccanismi economici minacciosi come il Mes: tutto può aspettare, non solo nel sentire di chi è al governo ma – per assurdo – anche per i componenti dell’opposizione.
Giochi fatti, scadenze fissate e occasioni sprecate
Lascia fare e lascia passare: “gli italiani devono fare i conti che per due o tre anni la sitazione è questa” (Salvini). Le elezioni? “Non prima di giugno” (Meloni), anticipazione, quest’ultima, che già nelle scorse settimane era scappata anche a Giovanni Toti. I giochi, insomma, sono fatti. Le scadenze sono state fissate. Ma c’è davvero tutto questo tempo? E cosa faranno nel frattempo i presunti oppositori, oltre che chinare il capo ai diktat dell’Ue e a quelli di “democratici” e pentastellati? Si direbbe ben poco, visto che due occasioni ghiotte per dare un colpo nel fianco all’esecutivo giallo-rosso sono già andate perdute.
Già due occasioni hanno dimostrato la comunione di intenti
La prima è stata quella relativa all’approvazione del taglio dei parlamentari (che a fronte di risparmi irrisori ci esporrà ai voleri dei burocrati di Bruxelles), la seconda, l’instaurazione della commissione Segre che ricorda un po’ i vigilantes degli psico-reati di Orwell, scrittore che dall’attuale esecutivo avrebbe avuto qualcosa da imparare in termini di visioni apocalittiche. Lega e FdI erano contrari? A parole sì, ma anziché votare contro, si sono astenuti. E’ un giochetto rodato. Si accordano con pezzi del governo, lo appoggiano, vi iniettano lifa vitale e poi (a cose fatte) corrono dagli elettori e nelle piazze web a raccontare che la tale misura (che loro stessi hanno appoggiato) non va bene.
Che fine ha fatto l’Italexit?
Sembra il riassunto di una serie televisiva, ma chi segue le esilaranti vicende della politica da vicino sa si cosa si sta parlando. Ormai, del resto, la realtà supera l’immaginazione. Ce ne vuole tanta anche per stare al passo rispetto ai cambi di senatori e deputati. Le voci critiche, per esempio, si sono da tempo rabbonite. I teorici dell’Italexit, quelli che chiedevano a gran voce la fine dell’euro, quelli del piano B? Sono diventati mansueti, docili, forti solo del fatto di aver detto varie frasi ad effetto che avranno colpito il cuore degli italiani ormai disillusi, ma che non hanno avuto nessuna conseguenza.
“Diplomatici” vecchi e nuovi siglano accordi: peccato che le Pmi medie non potranno giovarsene
I difensori del Made in Italy sono inoltre in costante pellegrinaggio all’estero, e pazienza se aziende medie e piccole non potranno mai giovarsi si cotante virtù diplomatiche, semplicemente perché a causa della crisi indotta non potranno mai sostenere i costi relativi all’export. Trump chiede supplichevole l’uscita dell’Italia dall’Ue, ansioso di salutarla come partner commerciale? Il suo è un grido nel deserto, ché tanto a queste latitudini il capo dell’opposizione, Salvini, spiega che per due o tre anni la solfa è questa. Piazze come in Francia? Ognuno se ne guarda bene dal consigliarle: il dissenso deve essere rigorosamente organizzato, calendarizzato e presentato sotto lo stendardo di questo o di quel partito. L’importante è che non ci si spinga mai al di là delle lamentele e, dunque, che non si risolva mai nulla.
Prepariamoci alla diluizione dei partiti
Perché l’opposizione non solo ha costruito la sua fortuna sul malcontento, ma perché in fondo la vita di palazzo non è così male. Anche quella Bruxelles spesso additata è, alla fine, un lido accogliente, che permette agli eurodeputati di racimolare (almeno) 12mila euro al mese. Li portano a casa anche quelli che si proclamano euro-scettici, e certo che poi partiti come la Lega – ben rappresentata a livello di MEP – si sente sempre più in imbarazzo ad impersonare la parte del bastian contrario. Questo, senza troppi giri, è il valzer delle opposizioni. E da ballare ce ne sarà ancora tanto, ma almeno gli italiani saranno impegnati, distratti. Assisteranno nei prossimi mesi, inermi, alla diluizione dei partiti di destra a favore di un grande centro, con dentro un Renzi ingigantito.
I due Matteo e Silvio si scambiano effusioni a distanza
E’ quello che stanno tentando di portare a casa i leader di tutti i partiti, ma piano, in silenzio, senza offendere l’amor proprio degli elettori che invece sono nauseati dalle larghe intese. Mosse che avevamo anticipato all’indomani della nascita di Italia viva e che confermiamo ancor di più alla luce delle recenti esternazioni dei leader dei maggiori partiti. Il capo di Iv ci ha provato giusto ieri ad aprire ulteriormente, forte dei risultati (scontati) portati a casa con l’Altra Italia, con cui lo scambio di effusioni a distanza è ormai ripetuto e costante. Ha quindi lanciato una pietruzza in direzione di Salvini dall’alto del podio di Vespa, ma poi ha nascosto la mano smentendo via Twitter e per mezzo di un comunicato.
Ma Renzi non spaventa solo per quanto riguarda la tenuta del governo
Da Letta a Nardella, fino agli oppositori che è costretto a farsi mandare giù pur di ottenere quanto si è promesso, la tecnica è sempre questa. Si sistemano le pedine, si manda qualche scheggia apparentemente impazzita ma debitamente pilotata, e si aspetta sogghignando dietro l’angolo. Tanto se l’opposizione è questa, non è difficile manipolarla come si fa con i pupi siciliani, con le marionette. Non è impossibile, addirittura, farle inghiottire quanto di più distante ci possa essere dal sentire popolare, dall’immigrazione di massa alle menate arcobaleno.
OPINIONI
“I poveri mangiano meglio dei ricchi”. Sia data a Lollobrigida la possibilità di provare i benefici dell’indigenza
“In Italia abbiamo un’educazione alimentare interclassista: spesso i poveri mangiano meglio, perché comprano dal produttore e a basso costo prodotti di qualità”. Lollobrigida lo ha detto davvero e, del resto, eravamo già a conoscenza delle qualità del ministro-cognato. E’ davvero una fortuna, non c’è che dire, fare parte della singolare èlite a cui si riferisce il ministro delle Politiche agricole, che è stata fotografata dall’Istat in maniera impietosa.
In Italia quindi a sentire il nipote della compianta Gina Lollobrigida esistono milioni di privilegiati che possono comprare le carote direttamente dai contadini, e che – contemporaneamente – hanno la fortuna di mandare i figli a scuola senza colazione, perché non possono permettersela. Che non hanno un lavoro, fanno fatica ad arrivare alla fine del mese e, ormai, devono scegliere tra il pagare la benzina e le bollette e tra il mettere il piatto in tavola.
Per questo c’è da dire grazie anche al governo di cui fa parte il ministro Lollobrigida che, al pari di quelli che li hanno preceduti, non ha la volontà o le competenze per portare l’Italia al di fuori del limbo economico a cui l’ha condannata l’Unione europea. Ma vuoi mettere, in ogni caso e pur nelle ristrettezze, il vantaggi di avere il contadino sempre lì, quasi onnipresente, che ti spaccia il poco che puoi permetterti a prezzi contenuti con un’attenzione particolare ai nutrienti presenti nella dieta mediterranea?
Sono lussi che Lollobrigida – adottato dalla politica fin da ragazzo – dovrebbe provare almeno una volta nella vita. Come accade in alcuni film, dovrebbe scambiare un mese della sua esistenza con qualcuno preso a caso dal Paese reale. Lasciargli il posto di frequentatore di ristoranti gestiti da chef stellati e catapultarsi all’interno di una famiglia come tante, a mangiare i piatti poveri della cucina italiana per l’occasione elogiati da Vissani. Che saranno gustosi e nutrienti e piacevoli da mangiare, ma quando si è liberi di farlo. Quando, cioè, non rappresentano l’unica possibilità.
Chissà che non ci si possa giovare dello scambio di identità e non si possa avere un ministro dell’Agricoltura – anche se per un periodo limitato – che sa di cosa parla e che si occupi dei veri problemi che il suo dicastero dovrebbe risolvere.
OPINIONI
Che orrore parlare di maternità “solidale” e “commerciale”
La si chiami GPA – gravidanza o gestazione per altri – maternità surrogata o utero in affitto, il risultato non cambia. Si tratta di una pratica grazie al Cielo illegale in Italia, che in altri Paesi – purtroppo – si continua a praticare. Portando con sé il suo strascico di sofferenze: quelle di una donna trattata come un’oggetto o come incubatrice, indigente e costretta dalle vicissitudini della vita a dare alla luce un figlio o una figlia che non potrà crescere e da cui dovrà separarsi.
Oppure le sofferenze riconducibili all’applicazione di questa pratica barbara, che spesso avviene in cliniche degli orrori di cui ci siamo già occupati. Ancora, le sofferenze a cui incorrono i nati da GPA, impossibilitati come sono a sapere chi sia la loro vera madre e, dunque, condannati ad avere un’identità a metà.
Un quadro ancor più desolante se si pensa che tutto ciò avviene in tempi in cui della condizione della donna si fa una bandiera, per poi tralasciare deliberatamente episodi di sfruttamento come questi. Non solo. C’è chi addirittura ci tiene a operare i doverosi distinguo, parlando di GPA “solidale” e “commerciale”. L’articolano in questi termini ormai tutti i media mainstream, le associazioni e anche alcuni partiti, facendo un po’ il verso alla legislazione britannica che da tempo permette la surroga “altruistica”, con tanto di “rimborsi” e compensi ammessi.
Questo per rispondere al tentativo – promosso da Fratelli d’Italia – di rendere l’utero in affitto reato universale. E’ di ieri la notizia del primo via libera della Camera alla proposta di legge della deputata Carolina Varchi. A guardarla di fretta ce ne sarebbe abbastanza per esultare. Ma prima di farlo bisognerebbe domandarsi cosa rimarrà, alla fine di tutto l’iter, di questa proposta di legge.
Ci si deve anzitutto augurare che non sia l’ennesimo cavallo di Troia per trasformare quello che oggi è un reato in una pratica da sfaldare, un domani, con una modifica dopo l’altra alla legge che sarà, oppure con la solita serie di sentenze strumentali che spesso si antepongono alle stesse leggi.
E’ forse in questo contesto che va inserito un dibattito preparatorio e una propaganda che cerca costantemente di avvicinare e rendere familiari determinati argomenti. Senza, si badi bene, mai demolirli, criticarli e chiamarli con i giusti termini, che sono quelli che non ammettono sfumature di sorta.
In questo intreccio sembrano muoversi, con gli stessi identici fini, sia i cerchiobottisti che quelli che danno platealmente all’utero in affitto una connotazione solidale e, dunque, in fin dei conti accettabile e positiva.
La GPA rimane comunque commerciale anche quando è altruistica (perché comunque prevede un pagamento e, letteralmente, la vendita del malcapitato bambino) ma per convenienza viene chiamata in un altro modo, così da darle un valore etico e morale che venga accettato dai più distratti. Che, spesso, non sanno nemmeno cosa si celi dietro determinati acronimi o dietro gli slogan della politica.
Se fa orrore l’idea di arrivare a commercializzare anche la Vita che nasce? Ovviamente sì, o, almeno, alle persone normali o per intenderci umane dovrebbe farne. Eppure l’opera di sdoganamento continua imperterrita senza che nessuno batta ciglio, anzi a utilizzare questi termini spesso sono proprio quelli che dicono di battersi contro l’utero in affitto.
OPINIONI
È morto Berlusconi, ma non il berlusconismo
Berlusconi non lascia solo un impero finanziario e un partito in cerca di leader. Se il lascito morale è stato quasi nullo, tanto è stato quello pratico. All’ex fondatore di Forza Italia devono praticamente tutto uno stuolo di politici rampanti strategicamente posizionati (che già sgomitavano dalla fondazione del Popolo delle Libertà e oggi si trovano a essere ministri e sottosegretari) e volti noti del giornalismo mainstream.
Se, dunque, è morto Berlusconi, lo stesso non si può dire del berlusconismo. Una sorta di movimento parallelo – sia esso sincero o fieramente utilitaristico – in cui militano decine di attivisti, che oggi comunque potrebbe avere vita più difficile. Lo raccontano le ultime considerazioni del senatore Gianfranco Micciché, che già dà il partito per estinto, ma anche le tensioni che si rincorrono per le varie successioni.
Una delle foto di rito del IV governo Berlusconi. A sin. l’attuale premier Giorgia Meloni (allora ministro alla Gioventù), al centro l’attuale governatore del Veneto Luca Zaia e poco distante l’attuale ministro per gli Affari europei Raffaele Fitto. A sinistra, l’attuale presidente del Senato Ignazio La Russa
Piaccia o meno la sua figura, Berlusconi – uomo controverso che ha incarnato lo spirito italiano con i suoi pregi e difetti – ha rappresentato un pezzo di storia nazionale e internazionale. Uomo visionario e di sistema, il suo approccio ha avuto impatto sul mondo produttivo, sul mondo dell’informazione e sul costume. A conti fatti, sulla società stessa, (purtroppo) riscritta e riprogrammata dai codici della tv commerciale. E’ questo, forse, il lascito più pesante.
Se c’è, infatti, una cosa che dovrebbe estinguersi del berlusconismo, è l’idea malsana che tutto l’illecito può diventare lecito dopo il giusto trattamento, nonché quel fardello che continua a gravare sull’autonomia di certi giornalisti e comunicatori che non sanno o non vogliono scrollarsi di dosso quel piglio di referenza verso il padrone che li ha portati a occupare i posti che occupano, tralasciando questioni di capitale importanza come la libertà di stampa e i diritti di critica e di cronaca.
Non è, certo, questo, il tempo della critica o peggio dell’odio fine a sé stesso che sta eviscerando chi non riesce ad avere rispetto nemmeno davanti alla morte. Ma dovrà di certo venire il tempo dei bilanci, e se è vero che Berlusconi ha avuto impatto sulla storia dei partiti e dell’Italia – un Paese che ha tentato di plasmare e ridurre a sua immagine e somiglianza – lo è altrettanto che chi si interfaccia con il centrodestra merita di più di un esercito di Yes man che in queste ore ricordano i personaggi in cerca di autore di pirandelliana memoria.
OPINIONI
Alluvione in Emilia, l’ipocrita circo mediatico per nascondere la verità
E’ un bilancio da guerra quello dell’ultima alluvione in Emilia Romagna. Un copione destinato a ripetersi ancora e ancora, una volta in questo pezzo d’Italia e una volta in quell’altro
Quattordici morti e 36mila sfollati. Abitazioni, strutture, aziende, fabbriche e campi da coltivazione distrutti, con il fango che inghiotte tutto e porta con sé devastazione e precarietà. E’ un bilancio da guerra quello dell’ultima alluvione in Emilia Romagna. Un copione destinato a ripetersi ancora e ancora, una volta in questo pezzo d’Italia e una volta in quell’altro, perché i miliardi stanziati dai vari governi per mitigare gli effetti del dissesto idrogeologico – sia esso frutto di comportamenti umani irrispettosi o di eventi naturali – non vengono mai impiegati dove servono.
Costruzione di dighe di contenimento, pulizia degli argini di fiumi e torrenti, prevenzione dell’abusivismo e suoi rimedi: nonostante le iniezioni continue di denaro (tanto), è ormai abitudine consolidata trascurare tutto, perché tanto poi a danni fatti si mette in moto la solita macchina dell’emergenza. Dopo l’acqua iniziano a piovere i miliardi, inizia il “magna magna” di chi controlla il business della solidarietà e si fa a gara a chi è più bravo a dire la frase a effetto per sostenere le popolazioni colpite, a chi fa la donazione più cospicua o a chi si intesta il gesto più eclatante.
Tutto doveroso, sia chiaro, ma non saranno certo 900 euro a testa o la premier in stivali a riportare in vita quattordici persone, oppure a restituire ai romagnoli le attività andate distrutte, forse per sempre. Senza contare che il circo mediatico che si è attivato fin da subito è tuttora teso a nascondere quello che conta davvero: le responsabilità. Quelle che negli ultimi anni – stando ai dati pubblicati da Legambiente – hanno fatto registrare dal 2010 a oggi 510 eventi alluvionali (per contare solo quelli censiti), con i relativi danni a cose e persone.
Si poteva evitare tutto questo? Di chi è la colpa? Cosa è mancato e continua a mancare? Cosa non hanno fatto e cosa hanno sbagliato gli enti che negli anni hanno amministrato i territori colpiti? E ancora: come evitare che catastrofi del genere si verifichino di nuovo? Perché se le alluvioni in Italia sono diventate la “nuova normalità” – per rubare un’espressione usata in epoca covid – si deve pensare che esista una certa volontà o quantomeno una qualche tolleranza verso questi fenomeni assolutamente prevedibili ed evitabili. Si sa che prima o poi pioverà, e oggettivamente esistono modi anche sofisticati per verificare se il territorio è pronto a gestire eventi piovosi di una certa portata. Se non lo è, basta intervenire, senza aspettare nuovi danni.
Scomodare il cambiamento climatico o “la siccità che rende i terreni impermeabili” non basta più, sono scuse che non possono reggere a lungo e soprattutto non possono bastare a chi ha perso tutto, tanto più che se le alluvioni in Europa sono un costume nazionale prettamente italiano un motivo ci deve essere.