G20, la crisi fa da sfondo. Ai leader interessano l’Africa e la distopica Agenda 2030
Torna Il Saccente ed è più incazzato che mai: I boss del pianeta ora giocano a carte scoperte. A Nagoya, in Giappone, metteranno sul piatto i loro piani mondialisti. I mantra sono due: “appiattire” e “cancellare”: la sovranità degli Stati, ogni forma di identità, il genere sessuale. Persino l’innocenza dei bambini. Non vi interessa? Guardate che si parla proprio dei vostri figli e dei vostri nipoti. che nelle nostre scuole vengono già educati a essere “bambini sostenibili”
Le peggiori zozzure avverranno con la scusa del clima, del contrasto dell’odio, dell’uguaglianza. Cibo, medicine, vaccini: non saranno la panacea contro tutti i mali, ma i mali li causeranno. La distopica e inquietante Agenda 2030 dell’Onu è chiara: povertà e differenze vanno “cancellate”. Non risolte, ma cencellate, e per cancellare completamente qualcosa – si sa – bisogna solo eliminarla.
“Se pensi che l’Agenda 2021 sia stata negativa, non hai ancora visto nulla”.
C’è, insomma, davvero poco per cui essere allegri: mentre da alcuni media indipendenti giunge la notizia shock che molti vaccini sarebbero serviti a provocare tumori nei bambini iniettati, il tempo comincia a stringere. Falliti i piani per il 2021, ai governanti chiamati a mettere in pratica il piano per eccellenza degli illuminati, comincia a pizzicare un po’ il deretano. Se perdono loro, vinciamo noi persone, induvidui, cervelli pensanti e poco manipolabili. Se vincono loro, semplicemente è la nostra fine. Si parla di vivere o morire o al limite vivere malissimo, quindi la politica, destra e sinistra, questo o quel partito, non c’entrano un bel niente.
Se qualche criceto fiorentino vi sussurra all’orecchio la parola “shock“, vuol dire proprio questo: un grande evento distruttivo di massa che ci farà piombare in un periodo oscuro alla fine del quale saremo disposti ad accettare tutto. Potrà essere una grande catastrofe ambientale come quelle calcolate che stanno affliggendo l’Italia per cederne al migliore offerente quel che resta di beni culturali inestimabili, un grande black-out o un evento tragico che sia in grado di scuotere per anni l’opinione pubblica. L’11 settembre, del resto, insegna, e Naomi Klein ci ha capito più di qualcosa. Da lì, e solo da lì, arriverebbero miliardoni a bordo della solita corriera: quella dell’emergenza.
Così i “fascisti del clima” tentano di farci accettare la povertà cui verseremo. L’educazione imposta ai “bambini sostenibili” e l’ipocrisia di Agenda 2030: costerà tra i 3 e i 5 trilioni di dollari l’anno. Sarà il prezzo che pagheremo per essere controllati e per perdere ogni libertà individuale
La manovalanza dell’Onu c’è anche in Italia. Si esprime sempre e solo per macro-concetti, e scherma tutto dietro la “sostenibilità” (cioè il predominio del vecchio Terzo mondo e dunque dell’Africa e della relativa Agenda 2063). Tra le facce più note e diligenti, la viceministra agli Affari esteri Emanuela Del Re, la collega Marina Sereni che preme insistentemente assieme a gente come Ivan Scalfarotto per l’entrata dell’Albania in Europa (e albanese è lo stesso marito della Del Re) e l’onnipresente ovunque tranne che in Parlamento Manlio Di Stefano. Non a caso, sono stati collocati tutti e tre nella superpotenziata Farnesina.
L’Onu può contare anche nella vecchia guardia incarnata da Elisabetta Alberti Casellati (in questi giorni impegnata in un inspiegabile tour tra le aziende Ferrari, Lamborghini e Ducati: forse stiamo per svendere anche loro) e in uno stuolo di genderisti il cui compito è gridare all’odio, istituire commissioni che tacitano la libertà di espressione e finanche di pensiero e normalizzare pedofilia e omosessualità.
Per inciso: ieri un intero servizio del Tg1, mandato in prima serata, ha associato nella stessa frase la diceria che la patria del turismo sessuale, la Thailandia, sia “la terra del sorriso” con il fatto che “vi si prostituiscono 35mila minori”. A corollario di tutto, un prete ha detto – testuale – che “in Thailandia molti adulti fanno sesso con i bambini”, senza mai usare i termini dramma, pedofilia, sfruttamento e simili.
Questa del resto è la melma in cui a molti suini piace sguazzare. Qualcuno pensa di stare dentro la macchina dell’Agenda luccicante fuori e putrida dentro e di tirare il freno a mano un attimo prima? I danni al veicolo (e dentro ci sono gli Stati sovrani, l’economia, la disoccupazione e dunque la povertà e la salute di milioni di individui che non potranno difendersi), saranno irrimediabili e incalcolabili. Proviamo a essere più chiari: per giungere all’obiettivo del 2030 del mondo apparentemente perfetto ma in realtà solo anestetizzato, bisognerà sacrificare tanto. In termini di vite, di innocenza del minori, di benessere fisico, economico, mentale e sociale. Chi deciderà chi dovrà essere immolato? E con quali risultati?
Davvero c’è chi è così fesso da credere che le questioni che diversi Stati si trascinano da decenni (è il caso del Medio Oriente, di Israele e Palestina, delle due Coree), finiranno da un giorno all’altro solo perché l’Onu ha deciso così? Non è più verosimile che si tratti di scuse per farci digerire i tagli drammatici che dovremo patire, per farci inghiottire aborti e mancate nascite, in ultima analisi per sacrificare tutta la nostra libertà a favore di un usurpatore governo mondialista?
Davvero i potenti crederanno di stare al riparo da tutto questo nel loro mondo ovattato? Chiuderanno figli e nipoti in una campana di vetro impedendo loro di girare in un mondo che li vuole per forza omosessuali, accompagnati ad africani (genereranno insieme il “meticciato dominabile” teorizzato da Kalergi), carne da macello esposta all’orco di turno, se bambini? Davvero i politici sapranno accontentarsi di soldi e potere e accetteranno di distruggere bellamente ciò che ci (li) circonda? Certo che si, ma nessuno è al riparo dal volere di Dio. E per quanto ci si sforzi a manipolare gli eventi a sfavore della gente comune, quel che rimane è il vecchio adagio del “chi semina vento raccoglie tempesta“.
Nell’immediato raccoglieranno di sicuro il malcontento delle masse: non quello ordinato e pilotato, ma quello più pericoloso: spontaneo e mosso dalla rabbia. Perché anziché pensare alla crisi che sta piegando in due l’Europa occidentale, alla disoccupazione, alle varie economie al collasso, alla povertà estrema in cui versano milioni di occidentali nel silenzio generale, a Nagoya (Giappone), da oggi si discute di Africa e, guarda un po’, dell’Agenda 2030.
La riunione di Nagoya si è aperta oggi con una cena sociale per i Capi Delegazione. Nella mattinata di domani si svolgeranno due sessioni di lavoro: la prima sarà dedicata alla promozione del libero commercio e della governance globale (con particolare riferimento alla riforma dell’Organizzazione Mondiale del Commercio e delle Nazioni Unite); la seconda sarà incentrata sugli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030. A seguire, la riunione si chiuderà con un pranzo di lavoro dedicato all’Africa.
Tutto molto eloquente. Ma il peggio – a meno che qualcuno non decide per un cambio di rotta, deve ancora venire. E con un’opposizione come questa non c’è da ben sperare. Per quello che riguarda l’Italia, ognuno sta vendendo il suo pezzetto, persino gli sbandieratori che parlano incessantemente del bene della Nazione.
OPINIONI
“I poveri mangiano meglio dei ricchi”. Sia data a Lollobrigida la possibilità di provare i benefici dell’indigenza
“In Italia abbiamo un’educazione alimentare interclassista: spesso i poveri mangiano meglio, perché comprano dal produttore e a basso costo prodotti di qualità”. Lollobrigida lo ha detto davvero e, del resto, eravamo già a conoscenza delle qualità del ministro-cognato. E’ davvero una fortuna, non c’è che dire, fare parte della singolare èlite a cui si riferisce il ministro delle Politiche agricole, che è stata fotografata dall’Istat in maniera impietosa.
In Italia quindi a sentire il nipote della compianta Gina Lollobrigida esistono milioni di privilegiati che possono comprare le carote direttamente dai contadini, e che – contemporaneamente – hanno la fortuna di mandare i figli a scuola senza colazione, perché non possono permettersela. Che non hanno un lavoro, fanno fatica ad arrivare alla fine del mese e, ormai, devono scegliere tra il pagare la benzina e le bollette e tra il mettere il piatto in tavola.
Per questo c’è da dire grazie anche al governo di cui fa parte il ministro Lollobrigida che, al pari di quelli che li hanno preceduti, non ha la volontà o le competenze per portare l’Italia al di fuori del limbo economico a cui l’ha condannata l’Unione europea. Ma vuoi mettere, in ogni caso e pur nelle ristrettezze, il vantaggi di avere il contadino sempre lì, quasi onnipresente, che ti spaccia il poco che puoi permetterti a prezzi contenuti con un’attenzione particolare ai nutrienti presenti nella dieta mediterranea?
Sono lussi che Lollobrigida – adottato dalla politica fin da ragazzo – dovrebbe provare almeno una volta nella vita. Come accade in alcuni film, dovrebbe scambiare un mese della sua esistenza con qualcuno preso a caso dal Paese reale. Lasciargli il posto di frequentatore di ristoranti gestiti da chef stellati e catapultarsi all’interno di una famiglia come tante, a mangiare i piatti poveri della cucina italiana per l’occasione elogiati da Vissani. Che saranno gustosi e nutrienti e piacevoli da mangiare, ma quando si è liberi di farlo. Quando, cioè, non rappresentano l’unica possibilità.
Chissà che non ci si possa giovare dello scambio di identità e non si possa avere un ministro dell’Agricoltura – anche se per un periodo limitato – che sa di cosa parla e che si occupi dei veri problemi che il suo dicastero dovrebbe risolvere.
OPINIONI
Che orrore parlare di maternità “solidale” e “commerciale”
La si chiami GPA – gravidanza o gestazione per altri – maternità surrogata o utero in affitto, il risultato non cambia. Si tratta di una pratica grazie al Cielo illegale in Italia, che in altri Paesi – purtroppo – si continua a praticare. Portando con sé il suo strascico di sofferenze: quelle di una donna trattata come un’oggetto o come incubatrice, indigente e costretta dalle vicissitudini della vita a dare alla luce un figlio o una figlia che non potrà crescere e da cui dovrà separarsi.
Oppure le sofferenze riconducibili all’applicazione di questa pratica barbara, che spesso avviene in cliniche degli orrori di cui ci siamo già occupati. Ancora, le sofferenze a cui incorrono i nati da GPA, impossibilitati come sono a sapere chi sia la loro vera madre e, dunque, condannati ad avere un’identità a metà.
Un quadro ancor più desolante se si pensa che tutto ciò avviene in tempi in cui della condizione della donna si fa una bandiera, per poi tralasciare deliberatamente episodi di sfruttamento come questi. Non solo. C’è chi addirittura ci tiene a operare i doverosi distinguo, parlando di GPA “solidale” e “commerciale”. L’articolano in questi termini ormai tutti i media mainstream, le associazioni e anche alcuni partiti, facendo un po’ il verso alla legislazione britannica che da tempo permette la surroga “altruistica”, con tanto di “rimborsi” e compensi ammessi.
Questo per rispondere al tentativo – promosso da Fratelli d’Italia – di rendere l’utero in affitto reato universale. E’ di ieri la notizia del primo via libera della Camera alla proposta di legge della deputata Carolina Varchi. A guardarla di fretta ce ne sarebbe abbastanza per esultare. Ma prima di farlo bisognerebbe domandarsi cosa rimarrà, alla fine di tutto l’iter, di questa proposta di legge.
Ci si deve anzitutto augurare che non sia l’ennesimo cavallo di Troia per trasformare quello che oggi è un reato in una pratica da sfaldare, un domani, con una modifica dopo l’altra alla legge che sarà, oppure con la solita serie di sentenze strumentali che spesso si antepongono alle stesse leggi.
E’ forse in questo contesto che va inserito un dibattito preparatorio e una propaganda che cerca costantemente di avvicinare e rendere familiari determinati argomenti. Senza, si badi bene, mai demolirli, criticarli e chiamarli con i giusti termini, che sono quelli che non ammettono sfumature di sorta.
In questo intreccio sembrano muoversi, con gli stessi identici fini, sia i cerchiobottisti che quelli che danno platealmente all’utero in affitto una connotazione solidale e, dunque, in fin dei conti accettabile e positiva.
La GPA rimane comunque commerciale anche quando è altruistica (perché comunque prevede un pagamento e, letteralmente, la vendita del malcapitato bambino) ma per convenienza viene chiamata in un altro modo, così da darle un valore etico e morale che venga accettato dai più distratti. Che, spesso, non sanno nemmeno cosa si celi dietro determinati acronimi o dietro gli slogan della politica.
Se fa orrore l’idea di arrivare a commercializzare anche la Vita che nasce? Ovviamente sì, o, almeno, alle persone normali o per intenderci umane dovrebbe farne. Eppure l’opera di sdoganamento continua imperterrita senza che nessuno batta ciglio, anzi a utilizzare questi termini spesso sono proprio quelli che dicono di battersi contro l’utero in affitto.
OPINIONI
È morto Berlusconi, ma non il berlusconismo
Berlusconi non lascia solo un impero finanziario e un partito in cerca di leader. Se il lascito morale è stato quasi nullo, tanto è stato quello pratico. All’ex fondatore di Forza Italia devono praticamente tutto uno stuolo di politici rampanti strategicamente posizionati (che già sgomitavano dalla fondazione del Popolo delle Libertà e oggi si trovano a essere ministri e sottosegretari) e volti noti del giornalismo mainstream.
Se, dunque, è morto Berlusconi, lo stesso non si può dire del berlusconismo. Una sorta di movimento parallelo – sia esso sincero o fieramente utilitaristico – in cui militano decine di attivisti, che oggi comunque potrebbe avere vita più difficile. Lo raccontano le ultime considerazioni del senatore Gianfranco Micciché, che già dà il partito per estinto, ma anche le tensioni che si rincorrono per le varie successioni.
Una delle foto di rito del IV governo Berlusconi. A sin. l’attuale premier Giorgia Meloni (allora ministro alla Gioventù), al centro l’attuale governatore del Veneto Luca Zaia e poco distante l’attuale ministro per gli Affari europei Raffaele Fitto. A sinistra, l’attuale presidente del Senato Ignazio La Russa
Piaccia o meno la sua figura, Berlusconi – uomo controverso che ha incarnato lo spirito italiano con i suoi pregi e difetti – ha rappresentato un pezzo di storia nazionale e internazionale. Uomo visionario e di sistema, il suo approccio ha avuto impatto sul mondo produttivo, sul mondo dell’informazione e sul costume. A conti fatti, sulla società stessa, (purtroppo) riscritta e riprogrammata dai codici della tv commerciale. E’ questo, forse, il lascito più pesante.
Se c’è, infatti, una cosa che dovrebbe estinguersi del berlusconismo, è l’idea malsana che tutto l’illecito può diventare lecito dopo il giusto trattamento, nonché quel fardello che continua a gravare sull’autonomia di certi giornalisti e comunicatori che non sanno o non vogliono scrollarsi di dosso quel piglio di referenza verso il padrone che li ha portati a occupare i posti che occupano, tralasciando questioni di capitale importanza come la libertà di stampa e i diritti di critica e di cronaca.
Non è, certo, questo, il tempo della critica o peggio dell’odio fine a sé stesso che sta eviscerando chi non riesce ad avere rispetto nemmeno davanti alla morte. Ma dovrà di certo venire il tempo dei bilanci, e se è vero che Berlusconi ha avuto impatto sulla storia dei partiti e dell’Italia – un Paese che ha tentato di plasmare e ridurre a sua immagine e somiglianza – lo è altrettanto che chi si interfaccia con il centrodestra merita di più di un esercito di Yes man che in queste ore ricordano i personaggi in cerca di autore di pirandelliana memoria.
OPINIONI
Alluvione in Emilia, l’ipocrita circo mediatico per nascondere la verità
E’ un bilancio da guerra quello dell’ultima alluvione in Emilia Romagna. Un copione destinato a ripetersi ancora e ancora, una volta in questo pezzo d’Italia e una volta in quell’altro
Quattordici morti e 36mila sfollati. Abitazioni, strutture, aziende, fabbriche e campi da coltivazione distrutti, con il fango che inghiotte tutto e porta con sé devastazione e precarietà. E’ un bilancio da guerra quello dell’ultima alluvione in Emilia Romagna. Un copione destinato a ripetersi ancora e ancora, una volta in questo pezzo d’Italia e una volta in quell’altro, perché i miliardi stanziati dai vari governi per mitigare gli effetti del dissesto idrogeologico – sia esso frutto di comportamenti umani irrispettosi o di eventi naturali – non vengono mai impiegati dove servono.
Costruzione di dighe di contenimento, pulizia degli argini di fiumi e torrenti, prevenzione dell’abusivismo e suoi rimedi: nonostante le iniezioni continue di denaro (tanto), è ormai abitudine consolidata trascurare tutto, perché tanto poi a danni fatti si mette in moto la solita macchina dell’emergenza. Dopo l’acqua iniziano a piovere i miliardi, inizia il “magna magna” di chi controlla il business della solidarietà e si fa a gara a chi è più bravo a dire la frase a effetto per sostenere le popolazioni colpite, a chi fa la donazione più cospicua o a chi si intesta il gesto più eclatante.
Tutto doveroso, sia chiaro, ma non saranno certo 900 euro a testa o la premier in stivali a riportare in vita quattordici persone, oppure a restituire ai romagnoli le attività andate distrutte, forse per sempre. Senza contare che il circo mediatico che si è attivato fin da subito è tuttora teso a nascondere quello che conta davvero: le responsabilità. Quelle che negli ultimi anni – stando ai dati pubblicati da Legambiente – hanno fatto registrare dal 2010 a oggi 510 eventi alluvionali (per contare solo quelli censiti), con i relativi danni a cose e persone.
Si poteva evitare tutto questo? Di chi è la colpa? Cosa è mancato e continua a mancare? Cosa non hanno fatto e cosa hanno sbagliato gli enti che negli anni hanno amministrato i territori colpiti? E ancora: come evitare che catastrofi del genere si verifichino di nuovo? Perché se le alluvioni in Italia sono diventate la “nuova normalità” – per rubare un’espressione usata in epoca covid – si deve pensare che esista una certa volontà o quantomeno una qualche tolleranza verso questi fenomeni assolutamente prevedibili ed evitabili. Si sa che prima o poi pioverà, e oggettivamente esistono modi anche sofisticati per verificare se il territorio è pronto a gestire eventi piovosi di una certa portata. Se non lo è, basta intervenire, senza aspettare nuovi danni.
Scomodare il cambiamento climatico o “la siccità che rende i terreni impermeabili” non basta più, sono scuse che non possono reggere a lungo e soprattutto non possono bastare a chi ha perso tutto, tanto più che se le alluvioni in Europa sono un costume nazionale prettamente italiano un motivo ci deve essere.